Racconti molto sciolti

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Segena, oppure le storie dal futuro. Quinta

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PIU’ A SUD NELLO STESSO MOMENTO

<< Aiutami a trovare l’uscita, figlia mia.>>

Dissi al vento, con il viso rivolto al cielo, gli occhi umidi, ed a volte una lacrima che scendeva seguendo il solco di una ruga.

Avevo le braccia tese in avanti, nei pugni un po’ di terra che lasciavo andare, che il vento se la porti via, un granello alla volta, poi si ritroveranno cadendo giù.

Stavo completando il rito, quando una scossa dai piedi piantati nella Madre, mi arriva fino in testa, i miei pugni si stringono fino allo spasimo, si contraggono fino a farmi male.

E’ l’ora della rabbia. Quando è cominciato tutto questo, anzi quando è finita?

Questa è la mia terra, anche se possedere un pezzo di terra mi offende, è una definizione assurda. Come può un uomo possedere? Come può l’Uomo possedere la Terra.

Come può pretendere di imprigionare un essere vivente e pulsante come la Terra. Farne oggetto dei suoi desideri speculativi, arricchirsi, depredare la natura senza concederle niente, prosciugarla. Come ci siamo permessi, in nome di che cosa? Denaro, potere, fama, tutte le fragilità dell’animo umano per togliersi la sete solo momentaneamente,

in questo frangente di vita che il cielo ci ha donato, seppellendo la scintilla divina che portiamo in noi, quella si che innalza lo spirito, che ci fa sentire figli di questa terra.

Ci condanniamo da soli a dover ritornare.

Ma la strada del ritorno si sta accorciando. Quando prevale la caducità nostra Madre ne soffre, e lo fa vedere. Ha bisogno d’aiuto la Terra, languisce, urla dolore.

Ed io lo sento.

No, non è un sentire usuale, come una vera persona sensibile sa guardarsi intorno e capire la situazione.

Quando qualcuno sente il distacco dalle abitudini comuni, quelle che gli fanno più comodo, che non gli danno da pensare, il sentire comune, io l’ ho superato, non posseggo una percezione usuale. Non voglio sminuire le sensazioni di tutti, che provano tutti i giorni. Ma io sento diverso. Ho un dono, un dono dall’universo che acuisce la mia sensibilità, aumenta la mia percezione delle emozioni. Io sento ciò che prova un essere vivente, nel profondo. Tutti sentono le emozioni altrui, spinti dall’amore, dalla simpatia, dall’empatia. È una forma di compartecipazione, come condividere il cordoglio in un lutto, o dividere la gioia nella vittoria della tua squadra. Io di più, divento te che stai male, soffro il tuo dolore come fai tu. Io ti sento.

E sento gli animali, la natura, la terra.

È da molto tempo che non sto bene.

A volte riesco a chiudere i canali e non sentire niente, ho bisogno di pause anche io.

Ma stavolta sono coinvolto in prima persona, anzi siamo, io e mia moglie. Mia figlia no, siamo riusciti ad evitarle tutto questo.

Anche mia moglie ha un dono, una sensibilità: riesce a percepire il tuo malessere fisico senza aver bisogno di sostenere lastre od esami vari. Toccando la persona sente il male che ha dentro. Quando tutto era a colori, appoggiando la mano sul fianco della nostra cavalla sentì un tumore all’ovaia di destra. Il nostro amico veterinario aspettò la sua valutazione poi decise come intervenire. Era sempre così con lui, interveniva solo dopo aver visto mia moglie in azione, e guariva. Non riuscì a guarirsi da un cancro devastante ai polmoni, del resto devi pur respirare, e frequentando queste terre, respiri veleno.

Poi lei decise di non toccare più nessuno, ed era più la sofferenza nel non poter accarezzare gli animali in agonia che non poterli sentire, perché guarire non potevano.

Tempo fa chiamarono questo pezzo d’Italia Regno Libero delle due Sicilie.

Che fantasia!

E perché non chiamarla Regno delle quattro mafie libere? Perché questo siamo ora. In balia completamente pa lese delle mafie:

camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita, mafia. Si sono diviso il territorio, spartiti tutti i beni, le ricchezze. Certo solo quelle materiali.

Hanno stracciato e distrutto questa terra.Era cosi anche prima, lo so. Quando l’Italia era una, le mafie erano fuorilegge, agivano subdole e striscianti. Mi ricordo. Corrompevano, compravano, ammazzavano, tutto fuori dalla legge, ma sempre tutto con il benestare e la complicità dei potenti di turno. Quelli legali, intendo, quelli che si servono della legge per fare i mafiosi.

Ora no, la mafia si è legalizzata grazie alle debolezze delle autorità, grazie alla forte volontà di volersi far corrompere e comprare degli attuali uomini di potere, la Delinquenza Organizzata è stata legittimata, è esplosa apertamente, diventando legge.

Quei pochi onesti, per non esporsi, sono fuggiti, per evitare una carneficina. E come biasimarli, come condannarli. Fu la loro onestà a condannarli, ad una vita blindata, sotto scorta, una non-vita, sempre a cambiare indirizzo, sorvegliati fin nel loro intimo. Colazione, pranzo e cena con la scorta. Altre persone giuste travolte dal mare di mota che ci ha travolto, le scorte, gli ultimi angeli custodi terrestri capaci di tenere lontani anche gli angeli del cielo: da queste parte mai fidarsi degli sconosciuti, hai visto mai.

Che civiltà è questa che permette tutto questo? Scortati e angeli persi nell’identità ma non nella personalità, cancellati dalla vita pubblica eppure sempre presenti, visibili da lontano, da molto lontano, per carità, che tutti gli angeli vi siano protettori.

E la malavita organizzata era tronfia di tutto ciò, viveva a cielo aperto, nelle loro case, strafottenti e minacciosi, come sempre. Certo, ogni tanto il capo di turno era catturato, a volte dopo anni, a volte in casa loro. Strano, loro una casa l’ avevano, e ci vivevano pure. Ed ora ci sono tornati a casa loro. Mesi fa l’ultima amnistia aperta anche ai reati di mafia ha spalancato le porte all’apocalisse. E tutti gli onesti senza identità hanno dovuto lasciare la loro terra.

Noi qui rimasti stiamo marcendo come questa terra.

C’è chi non ce la fa, spremuti come limoni, vendendo per poche lire quel poco che hanno oppure affrontando tre, quattro lavori, per soddisfare le richieste d’erosione dei mafiosi. C’è chi non ce la fa, e si ammazza.

Anche noi siamo scoppiati, ma non abbiamo intenzione di dargliela vinta, noi abbiamo intenzione di farcela. Non da soli certo, non qui, questo sarà l’ultimo posto sommerso dalla valanga che altrove è già in movimento. E noi andremo incontro a quel movimento per tornare qua.

Un movimento spinto dalla purezza e dall’amore. Verso la Terra.

Ma per ora la mia terra soffre, mia ancora per poco, certo, ma adesso è ora di stringere un patto con la Madre:

<< Non abbiamo colpa delle sofferenze che stai patendo, Terra. Ora ti vedo grigia, arida, colpita nel fondo della tua anima. Ti hanno prosciugata e avvelenata. E io ti sento, e ti chiedo di resistere. So che verrà il tempo degli uomini veri, verranno da lontano anime stupende che ci aiuteranno a risorgere, ritorneremo a sentire l’amore. Te lo prometto.>>

I miei pugni non stringevano più terra, volata via. Tutto intorno quel che adesso è nero era verde e scintillante, viva d’animali e di natura, e nostra figlia correva libera, ma con un disagio in fondo al cuore. Lei ha un dono più assoluto del mio, lei ha sentito prima il grido d’allarme della terra. Noi abbiamo raccolto il suo grido ma capì l’impotenza nei confronti delle cose umane, capì che lottare in certe condizioni era frustrante, quando ti scontri contro muri d’inerzia, sorrisi strafottenti, minacce di morte.

Intuì la scelta, ci parlò di altre come lei, sorelle in amore, esseri splendenti, anime superiori che la richiamavano per definire la strada che ci riporterà alla Terra.

Abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto con lei. Eravamo, siamo oltre madre padre e figlia. Tempo fa si diffuse la speranza, un mondo migliore purificato dalle nuove generazioni: i bambini cristallo, li definirono.

Superiori nel loro essere infantili, aperti, sensibili, consapevoli del compito che li attendeva.

E l’ abbiamo sempre cresciuta col rispetto che si deve. Ad un essere umano, ad una bambina, con i tempi che lei ha. Come un essere che sa ciò che lei vuole.

Come la persona che domani camminerà sul mondo chiedendo permesso mentre traccia la strada.

Qualche volta, comunque, siamo caduti nella trappola d’esser genitori, dimenticando che noi non possediamo, non scegliamo i nostri figli, ma loro scelgono noi, non possiamo stringerli come terra nel vento. Perché nascono per andare, un granello alla volta, ma vanno, com’è giusto. O tutto insieme. Quando trovano il vento buono.

Non ci mancavano, quindi, battibecchi tipici tra genitori e figli. Il giorno in cui:

Disse sua madre: << Sei stata tutto il giorno fuori, a correre, respirando aria buona, giocando con gli animali, ti sei divertita. Va bene, hai fatto benissimo, ma, nell’ordine: i compiti, mettere in ordine la tua camera, farti un bagno, sederti composta a tavola, e, soprattutto, mangiare. Ti è difficile tutto questo?>>

Guardò me, per trovare complicità, ma non potevo, non dovevo. Non era giusto.

<< Ha ragione tua madre, lavati almeno le mani. Noi comprendiamo il tuo amore per la natura, per la terra. Ma fa contenta anche le istituzioni, come questa scuola, impara quel poco che ti offre, tu puoi farlo, lo sai fare. Poi ti siedi composta con noi e ci dici tutto ciò che senti. Vai per favore, anche io ti dico quel che ha detto tua madre.>>

Scappò via, i pugni in aria senza colpire cose, con l’indice e tutta la mano che dicevano

< No no no no.>> Come dire: non voglio, non ci sto, mi sta stretto.

E scappò via in camera sua.

Ne approfittai per accucciarmi davanti alla sua porta.

Lei non mi vedeva, un po’ piangeva, costretta dalle costrizioni. Io tranquillo cominciai a parlare<< D’ accordo, come vuoi tu. Fa quel che ti viene naturale, istintivo, quel che ti comanda il cuore. È l’amore che ci guida, lo sappiamo, e se non lo ascoltiamo, ci perdiamo. Confusione, mal di testa, smarrimento. Pensiamo sia colpa di altro, di fumi tossici, di stress, stanchezze varie.

È solo amore non espresso. Siamo sordi all’amore, dimentichiamo tutto il resto, e pensiamo solo a noi. Noi genitori siamo fatti al contrario, esprimiamo troppo amore.

Per il troppo amore carichiamo i nostri figli, te in questo caso, di tante responsabilità, pensiamo troppo a voi, molte volte con un senso d’egoismo.

Vorremmo già vedervi adulti, che sappiate camminare con le vostre gambe, nello stesso tempo vorremmo che il tempo con voi non passasse mai.

Speriamo di darvi il meglio di noi stessi sperando di ricevere il meglio di voi, per farvi crescere e per crescere noi.

Ma se ti chiudi in quelle quattro mura, tieni per te il tuo dolore, la tua rabbia, nessuno fuori di qui non lo saprà mai.

Vedi tu pensi che questa sia camera tua, ma è tua in una casa che non ti appartiene. Questa casa è anche tua ma la casa poggia su un pezzo di terra che non è nostro, è

tramandato da generazioni, che credevano di possederlo. Un pezzo che fa parte di una grande terra che l’uomo pensa d’avere, ma se la sta perdendo, e sta perdendo se stesso. Insomma figlia mia, puoi stare chiusa nella tua camera quanto vuoi, ma cosi nessuno saprà niente. Se apri, ti apri al mondo, non spalanchi una porta ma apri un orizzonte. Vieni fuori e parliamone.>>

Uscì. Non era risentita per la ramanzina di poco fa. Era amareggiata, addolorata.

Aveva passato il giorno a contatto con la terra, la sua terra, perché lei la sentiva sua, e sentiva il suo dolore, la sua agonia.

Era angosciata dalla morte dei nostri animali, compagni di vita liberi di correre e di sentirsi vivi. Poi costretti a morire.

Nell’aria percepiva ancora i lamenti di una fine non voluta, l’energia di chi è pieno di livore per una morte non cercata. E piangeva dal male che coglieva.

Intanto era lacerata dalla notizia dell’adunata. Ci parlò di esseri meravigliosi, di fate gnomi, ormai fuggiti via, da radunare, da convincere a dare all’uomo un’altra possibilità, forse l’ultima.

<< E’ giusto così.>> dicemmo noi. << solleva per un po’ il tuo animo, rinvigorisciti.

Va dalle tue sorelle e portaci una speranza.>>

Col dolore nel cuore la lasciammo andare, sapendo che sarebbe tornata.

In questo regno fasullo delle due Sicilie anche l’ingresso degli extracomunitari era organizzato. Altre povere anime che per meno di una lira, erano sbattute su barcacce, se te la cavi arrivi di là, in quali condizioni non ci interessa. Altrimenti arrivi da qualche altra parte. E di qua erano spostati dove serviva bassa mano d’opera.

Poi, sfruttati fino in fondo, gli eccedenti erano riportati dall’altra parte del mare, tutto alla luce del sole.

Da noi, per poco, quando i tempi erano più floridi e potevamo permetterci un aiuto, c’ era un ragazzo della Tunisia. Divenne un fratello, era uno di noi.

Poi dovemmo lasciarlo andare, per necessità, ma rimanemmo in contatto, e l’ultima volta che ci venne a trovare, fu per salutarci.

Si era ammalato, niente di grave, ma a Loro non serviva più. Gli dissero di tornarsene, di prendere il primo barcone per il suo paese.

Allora glielo chiedemmo come estremo sacrificio per noi, e forse anche un po’ per lui.

<< Portati via nostra figlia, fa che arrivi di là in un paese un po’ più libero, poi lei andrà dove deve. Ti spiegherà tutto lei. Ma ti preghiamo, non ricordarci che per te è pericoloso, questo lo sappiamo. Ma abbiamo dei soldi. Ho venduto la terra.>>

<< Hai venduto? Ora come farete, come farete senza vostra figlia?>>

Ce lo chiese guardandoci in faccia con un viso sereno ed un sorriso tranquillo.

<< So perché deve andare.>> Aggiunse. << No, non ho paura, ormai so cavarmela in queste situazioni. Ma come farete voi?>>

Andremo al nord. Qui la terra in superficie ormai è morta, e con lei è morta la nostra ragione di stare al mondo. Ma è sotto la superficie che scorre il sangue e la voglia di vivere, e dobbiamo scavare a fondo per poterci risollevare, per alzare gli occhi la cielo e guardare in faccia la Madre. Bene, ora è il tempo di poche parole ed anche se laggiù al nord l’ombra ha fagocitato ogni residua speranza, anche se un gesto di ribellione rompe un televisore od una telecamera, ma non interrompe il flusso nero. Anche se questo sembra sia servito a stringere ancora di più il laccio, or è il momento di non tornare più. Ora vale la pena abbracciarsi e morire, o resistere un attimo in più ed aspettare i segni dal cielo, aspettare che vengano dei ragazzi dal futuro a segnare per sempre la Terra e il Cielo con i simboli. Andremo al nord ad abbracciare i nostri fratelli repressi, aspettando i nostri bambini.

<< Bene, allora sarà cosi. Ci rivedremo un giorno, e ci sarà profumo di terra, sapore d’amore, e saremo tutti veri. Vi saluto fratelli, non abbiate timore per vostra figlia. Anche lei tornerà.>>

Ora guardavo l’orizzonte di montagne e più su delle strisce grigie e rosse. Esalazioni venefiche che partivano dalle montagne, rifiuti, mondezza, ben organizzata, divisa in tipologie. Ma erano rifiuti, e quella più a sinistra la più malefica: rifiuti tossici di industrie, ospedali e quant’altro.

Anche questo ha avvelenato la terra, oltre che la malvagità.

Questo ha ammazzato i miei animali.

Si permettevano le discariche a cielo aperto, adesso chiuso da nuvole nere intossicate.

Fu cosi che risolsero il problema dei rifiuti. Spostandoli in aperta campagna, la natura era sterilizzata. Mangiavamo i prodotti di nazioni lontane, pagando più del dovuto. Pagando solo noi. Loro no. Incassavano.

Mi raggiunse mia moglie abbracciandomi le spalle. Tirò via una lacrima che non fece in tempo a scivolare via. Ho venduto la mia terra per le loro discariche, non la nostra dignità.

Che se la prendano questa terra malata, che siano sommersi dalle loro immondizie, dalle loro schifezze. Torneremo più forti per guarire la terra, e per spazzarvi via.

<< Ho fatto tutto quel che era rimasto da fare. Basta piangere ora, andiamo incontro al tempo di ridere. Poi verrà nostra figlia.>>

Si sarà così. Mi girai verso di lei per abbracciarla, e dietro le sue spalle la nostra casa bruciava. Più su un lembo di sole.

<< Si, è ora di rivedere il sole. Andiamo incontro a nostra figlia.>>

Un Commento

  1. … interessantissimo lavoro… ne sono rimasta davvero assai impressionata! Alla prossima!

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