Racconti molto sciolti

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Segena, oppure le storie del futuro. Terza

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Asso, re prende il due, l’asso rimane sul tavolo; Leo, di fronte a me, mette in terra la Regina, Beppe, alla mia destra, risponde con un fante, io.

Io passo. E’ questo il gioco, difficile da spiegare, è diventato un codice tutto nostro, un modo per parlarci senza che le varie forze di oppressione riuscissero a controllarci, a capirci qualcosa.

Non è un gioco, è l’unico modo per parlarci, inventato da noi, e condiviso da tutti gli altri che resistono, in questo bar.

Bettola, altro che bar. Ad un certo punto, stranamente, hanno deciso di interessarsi di noi anziani, ma in modo sistematico, direi serio: < apriamo dei centri sociali per anziani, dove le “ persone” possano socializzare, scambiare, vivere una vecchiaia serena.>

Vivere. No,sopravvivere una vita da vecchi già a sessanta anni, una vecchiaia serena in attesa di niente, non c’è più la pensione, non più la soddisfazione di vedere i nipoti crescere, neanche stare al bar con gli amici a fare chiacchiere.

Fu tutta una manovra per altro fumo negli occhi: a sessanta anni non si può e non ci sentivamo ancora vecchi, troppo presto per quello che era la pensione, troppo presto per la tomba, ma volevano già sotterrarci.

E lo hanno fatto, in questi cimiteri, centri sociali li chiamano, bettole, tavolacci sparsi qua e là, poveri cristi che passano tra i tavoli chiedendo come va, conoscendo già la risposta.

Fantasmi di ciò che erano i bar di una volta, le osterie, i ristoranti, tutti chiusi, riciclati.

Una volta ritrovi di incontri spontanei, ora costretti ad ospitare anime costrette a perdersi.

Luca, alla mia sinistra, rispose con un asso, e in questo caso voleva dire:

<< C’è ancora qualche speranza, possiamo farcela.>>

Ci siamo ritrovati qui per sopravvivere, creando questo linguaggio artificiale, per non cadere nella rete dei controlli ossessivi e onnipresenti, per non cadere nell’errore che feci mesi fa, prima che cambiò tutto. Abbandonare tutto, anche me stesso, in balia della nullità lasciando che gli eventi prendessero la propria piega. Fu così che divenni un chiaro esempio di inezia per mia figlia. Da non imitare, certo. L’energia dei suoi undici anni riusciva solo ad irritare la mia voglia di apatia. Mi giustificavo guardando il mondo cadente con i miei occhi annichiliti che lo accompagnavano giù per la ruzzola:

Non è questo quello che volevo” così mettevo a tacere la mia coscienza. E quella voce flebile di un essere appena affacciatosi al mondo e chiedeva solo di essere accompagnato. Ma mia figlia aveva un innato istinto di sapersela cavare in ogni situazione e quel poco che da me riceveva era solo dettato dal mio orgoglio di avere avuto un passato fertile, gioioso, ricco di sete e fame di conoscenza.        

Quando è cominciato tutto questo?

Il dialogo muto delle carte continuava incessante; ad ogni tavolo, in ogni modo, si alternavano scambi di parole a voce alta, banali parole, voci di tutti i giorni:

<< come va la tua sciatica? >>

<< sei stato in ospedale, ti hanno ricoverato? >>

All’abitudine delle frasi sovrastava il ronzio delle telecamere di sorveglianza, che si alternavano zoomando sui tavoli, a volte sul bancone del bar, tornando ogni volta in posizione di riposo.

La TV sempre accesa, e quando passavano certe immagini, in media ogni quarto d’ora, la Zona Controllo (chiamiamola cosi) alzava il volume, ed ogni forma di dialogo era spento.

< questa mattina il nostrobeneamatoPremier si è alzato di buon’ora per fare una passeggiata al fresco della sua tenuta, per ritemprare il fisico e respirare aria pura.

Era insieme alla sua ultima moglie, ed il suo seguito composto da segretarie e personal trainer e infermiere personali. Come sapete, da qualche tempo non vediamo più i bodyguard, ma lo sappiamo: il nostrobeneamatoPremier non ne ha più bisogno, perché ogni dimostrazione offensiva nei suoi riguardi è stata cancellata. Il male ha perso. >

L’odiosa voce servile e squittente sfumava in sottofondo.

<< Io stamattina non mi sono alzato di buon’ora. Ero già sveglio.>>pensai, e non solo.

Sfogai la mia rabbia con le carte. Piano piano il passato di orgoglio e volontà stava riemergendo, c’è sempre un punto in basso che devi andare a cercare per trovare una base solida per darti la spinta verso l’alto. Il mio fondo è stata la scomparsa di mia figlia. La spinta è stata lei.

<< Passi la notte a non voler dormire in attesa di una telefonata che non arriva. Passi il giorno a camminare nell’aria mefitica che ci circonda, sotto questa coltre di smog eterno, per rinnovare la speranza, per una parola che ti apra il cuore finché il tempo è passato solo per dare ragione a chi ci comanda “ vai in pensione a sessanta così riposi”. Si certo, riposa in pace. Striscia pure fino alla morte che a seppellirti ci pensiamo noi.

Poi sono tornato a casa e sono scappato, perché anche li l’aria è pesante.

E dopo quarant’anni di turni massacranti sono qui, e non ho neanche sonno. E non ho la segretaria o la massaggiatrice personale che possano “ consolarmi”.>>

<< Stai calmo.>> disse Luca

<< Cerca di stare calmo, cosa credi? Noi come ci sentiamo? Ognuno, qui, ha superato

l’età della pazienza, in cui non ci si attende molto dalla vita, a parte il lento spegnersi verso la conclusione naturale, sperando sia sereno e senza sofferenze.>>

Fu allora che la mia rabbia da privazione divenne rabbia da frustrazione.

<< Ma come e i nostri propositi di resistere? Non dobbiamo spegnerci lentamente, perché prima di morire abbiamo deciso di bruciare il resto della nostra energia per scardinare le dittature, siamo stati al di qua delle barricate, ci siamo esposti che eravamo giovani in piazze dove volavano pallottole e bastonate. Ora siamo vecchi, e non abbiamo niente da perdere. La resistenza ha fatto la storia in Italia, ed ha vinto!>>

<< A che prezzo?! >> disse Leo. << fratelli contro fratelli, figli della stessa madre che si ammazzavano tra loro.>>

<< No, non l’accetto. Significa allora, accettare passivamente di essere oppressi, da fratelli certo, ma coscientemente cattivi. L’ordine naturale delle cose non prevede il male, l’assassinio legalizzato, la morte prematura di folle di giovani. Certo, è anche questione di        karma, ma costringere, voler asservire la natura ai propri malsani desideri non è nelle cose. La tua azione malvagia non può avere una reazione benigna. Per favore.>>

Ci fu un po’ di silenzio, come a voler raccogliere le idee, un po’ per isolarsi. Poi dissi:

<< In nome di che? Della resistenza contro i fascisti che ci tiriamo indietro? Abbiamo fatto cortei, preso botte dalla polizia, creduto nel voto, per poi arrenderci cosi? >>

<< Va bene, e adesso?>> dissero gli altri.<< Sai cosa fare? Noi no. Siamo stanchi, molto.Ci hanno fiaccato. >>

<< No. resistenza attiva, ci sono mille modo per opporci, dal nostro passato possiamo

tirare fuori l’esperienza, per resistere, per trovare un modo, un mondo migliore. >>

Leo passa, Beppe passa, io calo il fante:

<< E i nostri figli?>>

Tra l’altro decisero, ma non fu una legge scritta ne annunciata, di selezionare le nascite: i più sani, i più ricchi, i più belli, quelli malleabili , potevano nascere, gli altri no. Calo delle nascite, ridotte le bocche da sfamare, le teste da condizionare.

Fu un’operazione strisciante e silente, vaccini e farmaci che alteravano il DNA, rendendo sterili migliaia di uomini e donne. Tranne chi sapeva.

E chi sapeva voleva i figli sani belli ma soprattutto ricchi.

Non era una questione di supremazia di razza, ma di sopravvivenza.

Inquinavano anche il cibo, i detersivi, ogni cosa, pur di raggiungere il loro scopo:

qualunque donna consenziente per avere un minimo di potere, per partecipare al banchetto decideva di buttar giù il boccone più amaro, condizionando la vita dei suoi figli  prima ancora di nascere.

Era una selezione resa naturale dallo stato di fatto di questi ultimi anni:

la classe di potere aveva sminuito il ruolo della donna per accaparrarsi sempre più consensi, per stringere sempre più i legacci, elargendo, dall’altro lato, benefici in conformità a vizi fisici e sessuali anziché virtù intellettive e spirituali. Cosi facevano carriera la miss di turno o la pagina centrale della rivista tutta tette e cosce nude; altre le chiamavano escort, accompagnatrici, massaggiatrici.

Dalle riviste scandalistiche alle poltrone del parlamento il passo era breve. Questo era il patto scellerato: anche tua figlia, o povera casalinga di quartiere, può diventare qualcuno, basta che poi l’affidi a noi, fidati, qualche tipo di carriera la farà. E se non è femmina? Non ti preoccupare, se deve nascere maschio lo sarà, ma solo se ci serve, solo se serve carne da macello in un Afghanistan qualsiasi, ci sono sempre zone del mondo dove esportare la democrazia, oppure se ci serve continuare nella razza, nella pura razza della libertà.

E se non volessi? Io voglio che i miei figli decidano da se, che facciano la propria strada.

Allora sei un’illusa, povera casalinga. Tempo fa avremmo detto” comunista”, ma quella razza è stata estinta, grazie ai nostri giochini genetici.

Già, perché grazie a quei giochini, la classe oppressiva ci sterilizzava piano piano.

La distinzione tra minoranza e maggioranza ci fu fatale, ci conoscevano, sapevano i nostri indirizzi, le nostre vite, e un po’ alla volta le inquinarono, senza offrirci la scelta:

<< Passi con noi? O vuoi estinguerti per sempre?>>

Lo fecero e basta. I nostri figli, e noi stessi, non potemmo più procreare, a qualunque età.

Quelli della maggioranza si prolificavano, a qualunque età.

Ci lasciavano lo spazio solo per riempire la manovalanza, sapevano, lo sanno anche ora, quanti erano destinati a rimpiazzare la bassa umanità, quella identificata, una volta, come classe lavoratrice. Ed erano lungimiranti: tra quindici anni serviranno cento operai, bene facciamo nascere una cinquantina di figli nel popolino, il resto lo facciamo immigrare.

Perché era comodo, dalle loro poltrone, lamentarsi degli extracomunitari che infestavano le nostre coste ogni anno: operazione progettata con garbo.

< Fuori dal nostro paese> era la parola d’ordine, e giù di botto con leggi e regole, per limitare l’accesso, per stringere il cappio, ma era tutto fumo, e lo è ancora: quelli che servono in questa Italia Libera, certo non sbarcano più a Lampedusa, quelli si fermano nel Nuovo Regno delle due Sicilie; adesso li fanno sbarcare in Riviera, un giro più lungo per chi viene dall’Africa, ma molto comodo per i paesi dell’est.

E di leggi ne hanno fatte, tante ne hanno fatte: sull’immigrazione, certo, ma anche sui propri comodi, per i loro interessi, alla faccia nostra. Furbescamente, quando ci fu la spartizione dell’Italia, quella vera una volta unita, la divisione in territori dai nomi grotteschi, eppure esistenti, quando divisero i fratelli a fatica acquisiti, le leggi non furono spartite, no, furono estese a tutti i nuovi paesi. Per comodità.

E cosi è adesso, la regola dettata a sud, se serve, è introdotta anche qui. E viceversa.

<< Basta parlare di politica!>> disse Beppe, senza parlare.

<< Basta?>> dissi io, << ormai viviamo solo di questo, di ricordi, abbiamo vissuto sempre solo di politica. Ricordate? Il politico è privato e il privato è politico, si diceva una volta. E vogliamo rinnegarli? Spremiamo le nostre ultime energie in qualcosa, di dimostrativo, di eclatante. Per aprire gli occhi, le coscienze, per far capire che la vita non è da affrontare con gli occhi chini, ma da vivere con la fronte in alto. A guardare il cielo, gli dei che ci sorridono, e non un mangia fuoco che ci costringe incaprettati. >>

<< Tempi passati>> disse Leo, << ora è solo resistenza passiva, ci hanno chiuso tutte le vie di fuga, distrutto anche l’ultima illusione, ci hanno tolto il futuro.>>

<< Ti riferisci alla scomparsa dei bambini?>> chiese Luca. Non volle essere indelicato, ma fu come gettare acido su una piaga ancora infetta.

Rimase gelato, con le carte in mano, per un attimo.

Balbettò, a voce vera, mille scuse, e tutti lo perdonammo subito, è stata solo una gaffe, lui figli non ne ha mai avuti e mai ne avrà, ma un dolore è paragonabile ad un altro?

La mia sofferenza è superiore alla tua, e poi perché?

No non credo, anzi credo il contrario, c’è un motore universale che coinvolge tutti, e tutto ciò che ci circonda, l’amore senza limiti, a tutto tondo, non lineare ma spirale.E c’è quell’emozione, che riempie il vuoto quando amore è sconfitto: il dolore.

Il suo era la certezza che non avrebbe mai avuto figli, il nostro che i nostri non avrebbero mai avuto figli. Sono scomparsi.

Iniziò tutto prima ancora di trattare la povera Italia come un foglio da stracciare e ridurre in pezzi. I bambini, le bambine, i nostri figli, sparivano. C’ erano sempre state sparizioni senza spiegazioni, negli anni ne sono sparite persone di ogni età, sesso o razza, per diverse ragioni o anche per nessuna.

Qualcuno decideva semplicemente di andarsene, un modo come un altro per stare fuori dai recinti già tracciati; troncando ogni legame dichiarava la sua insoddisfazione verso chi lo circondava, per non dimostrare palesemente il fallimento nel progetto cui si era destinato, o un rifiuto a quel progetto che non sentiva suo.

Qualcuno era trovato morto, ma qui il fallimento era nel cattivo progetto di chi ha ammazzato, arrogandosi il diritto di togliere la vita.

Chi spariva perché alzava un po’ di più la sua voce per dire: no alle dittature, no alle torture, non era mai cercato: fortemente richiesto dalle madri o dai figli, non cercato dalle autorità. Sarebbe bastato buttar giù qualche muro, o almeno la restituzione dei corpi.

Ma anche organismi internazionali esistenti apposta hanno taciuto, complici.

Ora è tutto diverso, più che ora da dodici anni ad adesso spariscono sistematicamente bambini, maschi e femmine, dai cinque ai quindici anni, senza differenza di luogo o di razza. Certo le polizie di ogni paese non si mossero in tempo, difficile immaginare subito che il caso diventasse internazionale, ma difficile accettare che la polizia non si muove neanche per il singolo. La reazione fu diversa da stato a stato, l’angoscia dei genitori era sempre la stessa ma in un paese del nord istituirono subito una servizio solo per i rapimenti, ottimo solo a riempire carte ed aprire file.

In un altro paese, al sud, crearono mille scuse pur di non muoversi:

< sono bambini, vedrà che tornerà>

< dobbiamo aspettare due giorni, prima di dichiarare la scomparsa.>

<indagheremo, ma siamo a corto di personale.>

Si avanzò forte l’ipotesi del complotto internazionale.

Metti insieme queste povere disperazioni e non puoi pensare ad altro che qualcuno, più in alto, qualcuno più potente di te sta cercando di privarti del poco che ti rimane, del futuro di te stesso e della volontà di respirare aria pura. Chi ha avuto la potenza di sotterrare la Terra sotto ettari di cemento ed asfalto, non ha certo il pudore di tirarsi indietro nel toglierti il bene primario. Il tuo seme sparso inutile.

Ho sempre cercato la verità tra le pieghe delle spiegazioni raccontate per accontentare le masse, ed ho seguito con interesse le loro inchieste, credo nelle loro parole, non tanto perché guidato dall’istinto di non credere nel potere, ma perché sono stanco di sentirmi raccontare bugie, accampare scuse banali per salvare le loro maledette poltrone del potere, mai prendersi la responsabilità delle loro azioni. Fare e disfare alle spalle della povera gente per poi dire: è stato l’altro, ora armatevi e partite. Ho pensato anche io nel complotto internazionale come scusa ufficiale per la scomparsa di centinaia di bambini, ma allora non sapevo quanto lontano fossimo dalla verità.

Quando successe a me il dolore fu solo mio, non riuscii a condividerlo col resto del mondo, neanche con mia moglie, eppure il dolore era lo stesso. E il suo anche rimase dentro di se, senza condividerlo con nessun altro. Anche allora cercammo soluzioni diverse.

Quel giorno, un giorno solito, stavamo aspettando nostra figlia da scuola. Non che le servisse tanto stare in questa scuola: qualche nozione, l’agio di poter stare con le amiche, l’obbligo di andarci. Non dava molto come istituzione, ma quel poco lo assimilava subito.

Inoltre, le piaceva la compagnia delle sue amiche.

Bambini indaco, li chiamavano, aperti, facili nell’apprendere, elevati anche nello spirito oltre che nelle cognizioni. Ma tra i banchi raccoglievano poco, ed io fidavo molto nelle sue capacità autodidattiche, e in quello che potevamo dargli noi.

Alcune sue compagne erano già sparite, e mentre la aspettavamo uno dei pochi confronti tra noi due era già divergente prima ancora di finire.

E’ partito tutto dal mio solito lamento nei confronti del governo.

<< E’ una dittatura, bisognerebbe fare qualcosa, cosi non c’è futuro.>>

<< Ma se sei sempre buttato sul divano, sono anni che sei fermo, ormai hai una energia stagnante. Fare cosa? Fa qualcosa per la tua anima, eleva il tuo spirito, cerca tu la salvezza, che l’uomo è ormai perduto, se è cosi è perché lo ha voluto.>>

Dentro di me si contorcevano due anime, due persone diverse; ho sempre vissuto due percorsi paralleli, e li ho sempre creduti o voluti inconciliabili, c’è stato un me che scendeva in piazza, protestava, manifestava il suo essere contro. Poi l’altro, che ha cercato di purificare la propria anima, di elevare lo spirito, che ha trovato un perché del nascere e morire. E tutti e due credevano e, in fondo, sapevano dell’universalità della conciliazione tra i corpi di cui siamo composti, fisico e non fisico. Comunque li vogliate chiamare non siamo solo corpo, quello che si vede, si tocca e tocca, ma siamo spirito anima emozioni. E tutti questi strati vivono insieme e con gli altri, e tutti insieme vivono nella Terra, sono natura e la natura vive in noi.

Ma tutto ciò bisogna coltivarlo, come una pianta dargli acqua, energia e amore cominciando dall’assunto che fisico anima e spirito sono intrecciate, vivono l’uno nelle altre, e si può far stare bene tutti.

Ma mi uscirono solo parole deliranti, alibi, delle scuse per tacitare la mia coscienza.

<< Perché c’è questa differenza? Vedi, chi è nel pieno della ricerca spirituale, non fa altro.

Uno scrittore, un filosofo, un saggio, fanno solo quello. Sono immersi totalmente nella loro ricerca. Ma io? Tempo pieno in un lavoro del cazzo! Senza riconoscimenti, senza dignità! Certo, ora che mi hanno messo a riposo, poi tutti ti ringraziano, ma a me sembra una grossa presa in giro! Ore e ore della tua vita per assistere, per curare, chilometri tra un letto ed un altro per soddisfare ma restare insoddisfatti: hanno tutti bisogno, pretendono aiuto dall’esterno, sempre. Perché non cominciano ad aiutarsi, se stessi, come si dice: aiutati che Dio ti aiuta. Sei tu che hai deciso di stare male, cerca la cura dentro di te. Chiunque tu sia.

Sono stanco. La libertà spirituale fa le distinzioni, e questo non mi sta bene. Non è giusto che chi può occuparsene a tempo pieno, e chi, a tempo dovuto, a tempo perso. Non si può ritagliare il proprio tempo per faccende che non hanno tempo.>>

<< Certo non si può passare il tempo che ti rimane a marcire sul divano. Del resto è una tua scelta. Hai deciso di non impegnarti nell’una e nell’altra vita. Io ti suggerisco: fa qualcosa! Ma se vuoi stare lì, almeno sta zitto.>>

Silenzio, mi si confaceva. E il non pensare leniva i rimorsi.

No. Non erano litigi o dialoghi di chi ormai non sapeva più cosa dirsi. Non era solo nostra figlia ad unirci. Ci fu una promessa fatta molto tempo fa in un luogo senza tempo, quando le nostre anime si incrociarono l’attimo giusto per creare un legame che va oltre l’intesa terrena, oltre l’amore e la vita stessa. In tempo per darci un appuntamento che ha consumato anni e chilometri e generazioni diverse. E la promessa è stata dimenticata, e le nostre anime si sono sbiadite.

Ma nostra figlia tardava ormai da tre ore. Non era mai successo. Ci avrebbe avvertito.

Ci avrebbe chiamato per dirci che tardava, qualunque cosa, ma ci avrebbe telefonato. Altrimenti dritto a casa.

Da tempo,da quando le sparizioni si erano intensificate, in tutte le scuole, licei, associazioni varie, ovunque ci fosse presenza di bambini, noi genitori ci eravamo organizzati per garantire la sorveglianza nei giardini delle scuole, nei parchi pubblici, nel tornare a casa con, minibus che portavano i ragazzi fin sotto il portone dei vari palazzoni, con lo sguardo attento degli autisti, finché i bimbi non erano in casa. Rigorosamente tutto a pagamento, il comune o lo stato non aveva intenzione di tirare fuori un soldo.

La marea d’angoscia montò piano , ma sempre avanti mai indietro.

Andammo di corsa a scuola di nostra figlia, corsa limitata dai blocchi, dal traffico, dai divieti. Nessuna sparizione ci avrebbe evitato una multa se non peggio.

La scuola era chiusa. Telefonammo ad una sua amica, rispose la madre, sua figlia era in chiesa ad un corso, comunque era tornata. Niente. Telefonammo all’autista, dopotutto era pagato. Gli chiedemmo se era salita, se l’ aveva vista scendere.

<< Certo che è salita, l’ ho riconosciuta dalla foto tessera che noi autisti abbiamo e anche dal codice. E l’ ho vista scendere davanti casa vostra, l’ ho fatto tante volte.>>

La marea saliva.

<< Ma non ha aspettato che entrasse in casa?>>

Più che una domanda fu una implorazione.

<< C’ era con lei la vostra vicina, sua figlia stessa mi ha detto che andava tutto bene. Mi ha fatto segno di andare. Signora, non mi dia colpe che non ho. Sua figlia era li.>> << No no, nessuno l’accusa.>> disse mia moglie. << La mia vicina, dice, forse la signora Armida?<< Su questo non posso aiutarla, era li, aveva aperto il portone e invitava sua figlia a salire, poi le ripeto lei stessa mi ha detto….<< Si si, va bene….>>una speranza?

Tornammo a casa e stavolta senza dar retta a segnali vari o poliziotti infuriati. La vista offuscata da una marea nera, con una piccola luce in fondo.

Bussammo con forza e ripetutamente alla porta della nostra vicina, molto scocciata venne a rispondere, ma accorgendosi dall’occhiello della porta dei nostri visi trafelati aprì.

<< Si vostra figlia era di sotto, le ho aperto il portone e le ho detto se voleva salire, mi ha risposto si, ma io sono andata avanti.>>

< Poi chiudi il portone, mi raccomando, di questi tempi non si sa mai.< Certo, signora Armida, saluto le amiche poi vado in casa.>

L’ultima fioca luce in fondo fece crac.

<< Dove è mia figlia?>> Chiese mia moglie al mondo e all’universo intero.

<< E adesso?>> mi chiesi, non mi importava più del resto del creato, chiedevo solo a me stesso: adesso? Il volto della signora ci diede la risposta definitiva, non dove ma che era sparita.

Un fulmine mi attraversò la testa con un brivido da sopra a sotto, un senso di dire basta, di nausea, di rivolta.

Raccolsi nelle mani la disperazione di mia moglie, condividendo il lutto solo per quell’attimo, poi lo dissi anche a lei << Adesso basta!>>

Non aspettai risposta.

Gli avvenimenti che seguirono non appartengono a quel me stesso seduto a marcire sul divano, l’ ho lasciato li. Precipita per le scale l’anima contestatrice che non ha più niente da perdere, dritto alla polizia.

<< L’ aspettavamo.>> mi disse con protervia un sottufficiale, uno di quelli che raccolgono le denunce.

Mi lasciò sbigottito, poco, poi capii tutto.

<< Ha infranto almeno tre articoli del codice della strada.>>

Allargando le braccia stavo per urlare la scomparsa di mia figlia ma inutile.

<< Due ore fa, nel percorso dalla scuola a casa sua, non si è fermato al richiamo di..>>

Lo interruppi di prepotenza << Mia figlia è sparita, devo fare la denuncia dovete cercarla.>>

<< Piano, si metta in fila.>> e sorrise sardonico.

Mi girai in tondo, ma non vidi nessuna fila, solo un mucchio di automi in divisa che mi circondavano sorridendo stolidamente.

<< No, non è qui la fila. Il senso è che siamo stracolmi di denunce di bimbi spariti.>>

<< Ah! E voi ? Tutti qui a fare un c….>>

<< Prego?! Lei deve pagare tre multe, salatissime, e lasciarci la patente per dieci giorni.<<Ma io ho perso MIA FIGLIA!>>urlai fino a strozzarmi.

<< Non aggravi la sua posizione, dopo fa la… >>

<< Dopo cosa? Dopo che chi ha preso mia figlia ha fatto chilometri per portarla chissà dove mentre voi siete qui a deliziarvi a torturare la gente con cosa? Multe ? Ma io…>>

<< Lei cosa? Lei si è messo nei guai..>>

<< Io nei guai?! Lo ha capito o no che si tratta di rapimento!>>

<< Piano con le accuse, dopo, la denuncia dopo. Adesso si calma…>>

<< Chi si calma! Voi dovete essere in strada, a trovare i nostri figli, non a gongolarvi…>>

<< Adesso basta.>>disse con stridente calma il paffuto sergente. << Prego si accomodi

dietro le sbarre. Insulti e resistenza a pubblici ufficiali, tre codici della strada, disturbo della

quiete, e poi vedremo.>>

Mentre snocciolava quelle assurde accuse, tanti mi furono addosso, che potei solo gridare in sottofondo

<< Allora è vero, è un complotto, voi siete dei complici, siete tutti d’accordo, avete rapito i nostri figli.>>

<< Bene, ci accusa anche, ci diffama. Fossi in lei starei zitto, ora!>>

Cosi feci, era il tempo di pensare ora. Ebbi tutta la notte per pensare, che fare.

Non avevo paura di restare li chissà quanto, piuttosto il timore di non fare in tempo a preparare qualcosa per le ricerche. Qualunque cosa.

Il mattino dopo mi fecero telefonare a mia moglie.

<< Cosa hai combinato, adesso tu dovevi essere al mio fianco.>> disse interrompendosi con singhiozzi e lacrime. << Dovevi essere qui.>>

<< Ma lo sto facendo per noi, per nostra figlia, dobbiamo dirlo a tutti, come stanno le cose, le autorità tacciono ma lo sanno, dobbiamo sollevare un movimento di opinione….>>

<< Fine della comunicazione.>> disse una voce stridente in sottofondo.

Avevano ascoltato tutto, ma mia moglie mi aveva ascoltato?

Poi capii di no. L’avvocato fu veramente bravo a tirarmi fuori, certo si fece pagare molto, sei mesi del mio lavoro nero, ma trasformò tutto in un ammonimento verbale con la condizionale, al prossimo sbaglio andavo solo in galera. Mi lasciarono la patente, ma mi sequestrarono il telefonino, poi capii perché.

A casa non mi aspettavo certo trionfi da ritorno dell’eroe, ma neanche un silenzio assordante. Tutti e due eravamo distrutti ma io volevo ancora reagire, stavolta si.

<< Dobbiamo chiamare i nostri amici, gli altri genitori, possiamo riunirci in, chiedere ufficialmente di fare indagini vere, creare movimenti. Possiamo muoverci, destabilizzarli.Rompere i loro schemi, la confusione creata da noi può confonderli. Gettare un oggetto un pò più in là dei loro occhi può confonderli. Privarli dei loro mezzi di sottomissione: spaccare gli schermi, le telecamere, abbracciare gli aguzzini, gettare un’ ombra verde non il verde non c’è più. >>

<< E’ inutile, il nostro telefono è isolato, chiama la compagnia per vedere cos’è io non ho la forza. Nostra figlia tornerà, ma adesso non ho forza.>>

Altro che compagnia, ci hanno isolato, non vogliono che abbia contatti.

<< Ah, anche il computer ha smesso di funzionare. Nostra figlia tornerà, le mie voci interne me lo dicono, ma io non ho la forza.>>

<<Si, mi hanno isolato, anche il PC ora, e che altro?…>>

Mi affacciai e giù in strada due poliziotti a sorvegliare il portone.

<< Ecco cosa altro. Ecco perché mi avevano preso il cellulare e lasciato la patente, ero sorvegliato fin dentro casa. E i veri delinquenti?>>

Chiamare col telefonino di lei non si poteva, non avrebbe riconosciuto la mia voce. Già, telefonini a riconoscimento vocale.

Tornai a buttarmi sul divano, lasciando che le mie due anime tornassero a dividersi, ad assopirsi per un po’.

E furono giorni monotoni, normalmente tristi. Ogni giorno mia moglie chiamava la polizia, una volta al giorno. << L’ avete trovata? >> Sempre la stessa, e il mio cuore ogni volta perdeva un pezzo. Perfino chi rispondeva dall’Ufficio Bambini Scomparsi, la riconosceva subito, tanto la domanda era la stessa da tutte le mamme, ed anche la risposta.

<< Bisogna smuovere le coscienze, sollevare scandali.>>

<< Non importa, vedrai che tornerà, ma io voglio sapere come sta solo come sta.>>

Già le sue voci di dentro. Almeno la tenevano tranquilla.

A queste parole si alternavano giorni di silenzio, a volte anche di abbandono.

Ed io ripresi a frequentare bar ed amici.

Ora, in questo bar, con i soliti amici, regnava un silenzio disperato, tutti avevamo nell’anima una macchia nera, un dolore profondo. Anni di silenzio e di assensi ci

sommergevano, e la paura ci possedeva. Paura per le famiglie, che facessero del male ai nostri figli, paura che ci facessero male.

<< Che il cielo ci aiuti.>> disse uno di noi che non ero io.

<< Io non voglio più aspettare. >> dissi invece io, percorso da un fulmine che mi attraversò dalla testa ai piedi, e mi cosparse di brividi ovunque.

<< Non voglio più aspettare aiuti dall’alto, ombre che parlano per bocca di chi crede. E tutto diventa una specie di fede, di religione, dove chi vuole modificare una esistenza non giusta crede ciecamente, crede in chi lo attraversa con le parole. Parole vere, magari di

speranza, ma parole, e le parole sono umane.>>

Mi interruppe Leo << guarda che stai parlando a voce, e anche abbastanza alta. Parla con le carte. >>

No le carte non esprimevano abbastanza il rancore che mi cresceva dentro, e l’odio.

Accennai con la testa ad un no deciso.

<< Gente vera che crede ascolta parole di chi rimane nell’ombra. Ed è questo il peccato di cui ci vantiamo, restare nell’ombra, ma chiacchierare. Ma chi rimane nell’ombra non so cosa ci guadagni. Di sicuro non esporsi. Bisogna esporsi. Essere presenti. Esserci.

È questo il fulcro della situazione: esserci. Significa essenza. Concretezza. Palpabilità. Avere una soluzione, una soluzione per cominciare, poi verranno altre soluzioni. Ma l’importante è esserci. Ed io non amo chi non c’è. Non amo le parole. Ognuno può dire quello che vuole. E chi ne raccoglie il suono può dargli il senso che vuole. Ma una parola ha senso quando chi la raccoglie ha bisogno di senso. Speranze? Penso che noi persone, gente, esseri umani, non abbiamo più bisogno di speranze, ma di certezze, concretezze.

Chi ha bisogno di tutto questo? Cosa aspettiamo? Spiriti che si manifestino solo quando

certe energie sono già concrete? L’energia c’è, esiste, e non ha bisogno di manifestarsi in

circoli chiusi, tra poche persone. Eletti? Noo non esistono eletti. L’energia si deve manifestare ora, ovunque. C’è bisogno di energia, di movimento. Siamo tutti prigionieri di una menzogna.>>

La sala intorno era ammutolita e guardavano tutti me, ma tranne una riga di lacrima io non mi ero scomposto. Guardai tranquillo nell’occhio della telecamera che mi scrutava, alzai il bicchiere e salutai chi era di là da essa.

Poi guardai uno ad uno i miei compagni, e tutti nella sala, si alzarono per vedere la fine della partita.

Ed io feci parlare le carte.

<< Ho delle idee. Possiamo farcela. Possiamo alzare la voce. Non abbiamo nulla da

perdere noi tutti che siamo qua. Possiamo fare resistenza.>>

Gli altri risposero senza esitare.<< E sia.>>

Poi uscimmo tutti dal bar, era l’ora del coprifuoco.

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