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vai,dissero

Pubblicato da martuz il 12 giugno 2009

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“Ahi!”
“e fa un po’ atenzione” disse Imena a Marian. Lo disse in italiano.
Era la terza volta che le spiegava come andava piegata la manica di quella dannata camicia dalle spalle larghe. Marian non capiva niente. E lei non capiva il perché. Ma non aveva tempo da perdere. Niente tempo. Solo lavoro.
Per vivere Imena aveva lasciato casa sua in srilanka. Una casa bella.
Grande.
Un italiano l’avrebbe detta una reggia. Palme. Oceano. Caldo. Vita…
“ahi”
“fare io!” spazientita aveva levato di mano a Marian il ferro da stiro, prima che potesse fare danni irreparabili. Chi avrebbe visto la signora poi! Insopportabile donna. Ma buona.
Dava i soldi che tenevano in vita lei. Lei e gli altri.
Qua aveva il marito e il figlio con la nuora, là aveva lasciato i genitori l’altro figlio ancora giovane e il cognato buon a nulla. Lavoravano solo lei e Marian, la nuora. Mantenevano tutti quanti.
Stirò la camicia del padrone, poi lasciò le altre due ore di panni alla nuora. Andò in cucina. Prese lo straccio, lo spruzzo. Spruzzò, pulì, cambiò vetro, spruzzò, pulì. Veloce. Spruzzare, pulire, spruzzare, pulire. Si sbrigava per pulire tutta la casa prima che tornasse la signora. Spruzzare, pulire. Spruzzare, pulire. Era buona, ma un’insopportabile donna. Sarebbe arrivata alle 12.30. Avrebbe barcollato fino alla sala. Cambiò vetro. “Imeenaaa?!” l’avrebbe chiamata e avendola vista l’avrebbe guardata con un sorriso ebete. Poi, come al solito, avrebbe pianto. Spruzzare… Sarebbe scoppiata in un pianto atroce. Pulire.. Si sarebbe potuto dire che stesse per morire. E lei si sarebbe commossa. S’asciugò una lacrima che s’era congiunta con una lieve goccia di sudore. Presa dalla pietà si sarebbe fermata fin quando non avesse smesso. O il sonno non avesse deciso per lei. Spruzzare, pulire. Spruzzare, pulire. Accelerò il movimento del suo braccio. Non aveva tempo da perdere. Niente tempo. Solo lavoro.
Una vita monotona. Non lavorava per vivere. Viveva per lavorare. Per far vivere gli altri.
Sovente con malinconia riportava alla mente cosa aveva lasciato. La famiglia. Una casa bella. Grande. Palme, oceano. La pittura. Allora viveva per dipingere. Poteva permettersi di vivere. Poteva vivere senza domandarlo a nessuno, come piaceva a lei. Poi non poté più. E venne in Italia. Un altro mondo. Un mondo in cui si poteva vivere ancora. Come si voleva. Questo s’era detta prima di partire.
E ora spruzzava, puliva. spruzzava. era in Italia e puliva.
Passò al salotto.
Una volta era quasi riuscita e trovare l’esatta mescolanza che le permise di dipingere l’oceano. Blu, verde, bianco, giallo, nero. Nessuno come lei aveva faticato sì tanto per conquistarsi l’oceano.
Arrivarono le 11. Poi le 12.
Erano le 12.15 quando Imena era convinta fosse ormai tutto a posto.
Dove era Marian? Che si sbrigasse!. Dieci minuti e poco più e sarebbe arrivata. Avrebbe barcollato fino alla sala. Andò a vedere in cucina. “Imenaaa?” l’avrebbe chiamata e avendola vista…
“sei qua! Velocie!”. Si diressero verso la porta. Avanzò la mano verso la maniglia,ma la porta si aprì prima d’esser toccata. Per meglio dire: la toccò prima la padrona. “ciao,cara!”
Non sorrideva. Non barcollò fino al divano. Vi si diresse con una grazia altera.
Marian era fuori. Imena stava per raggiungerla.
Poff! la signora si lasciò cadere sul divano e nel mentre liberò quello che doveva essere un pianto represso da ore.
Imena fermò una gamba che già ritornava in casa. Non aveva tempo da perdere.
Un dolce singulto dalla sala.
Rientrò. Chiuse fuori Marian. Sapeva dove andare. Si diresse in cucina preparò un thé che lei stessa aveva portato dal suo paese. Quando giunse in sala il pianto stava già scemando da quel volto. Una muta maschera di dolore. Le porse il vassoio con il thè e si fermò dietro il divano, in piedi.
“Ma in fondo non avere una ragione per vivere non è un buon motivo per morire, no?” gli occhi bigi della donna si voltarono verso Imena quasi in cerca di conferma. “ma tu non puoi capire…”
E Imena non capiva. Non sapeva mai cosa intendesse la donna quando si metteva a parlare da sola. Quelle poche parole che era in grado di pigliare, messe insieme, non significavano nulla.
Dopo cinque anni che viveva in Italia non capiva ancora. Studiava, ma faticava a memorizzare. Ma l’ironia era che stava perdendo anche la sua lingua. A ponte fra due mondi. Non capiva uno e temeva di scordarsi l’altro.
“tu non puoi capire cosa significhi vivere con una persona che non si conosce”
E pensare che poteva ancora essere lì, abbracciata a suo figlio..
“che non ti ama più, sì perché lui non mi ama più! Altrimenti come avrebbe potuto …”
…se solo..
“Probabilmente ha ribrezzo di me,”
…. suo marito..
“non mi guarda,”
..non fosse stato così…
“non si avvicina, non mi sfiora nemmeno.”
Così idiota!
“Con tutto quello che io ho fatto per lui. Una vita data per lui.”
Non doveva fare altro che occuparsi della piantagione.
“Ed è mai possibile che nemmeno una volta si sia degnato di ringraziarmi? Tu non sai che vuol dire”
Non sapeva come avesse fatto a farsi coinvolgere dal fratello.
“saperlo tra le braccia di un’altra, ma che dico di un’altra … di tutte le altre. E cosa credeva che non sapessi nulla che non mi accorgessi di cosa combinava?”
Avevano perso tutto! Tutto! In nome del gioco e del piacere!
“ Lui! Che senza me non sarebbe diventato nulla! Lui , piccolezza d’uomo, tradire me. Me? e credere che io non mi accorgessi di nulla. Un nulla, ecco cosa è!”
Avevano perso tutto! Ed ora toccava a lei salvare quel che si poteva. Non lavorava per vivere. Viveva per lavorare. Per far vivere gli altri. Le avevano detto “vai in Italia! Un altro mondo. Un mondo in cui si può vivere ancora. Come si vuole.”
“e io che l’ho sempre amato dopo tanti anni, ogni istante come il primo! E ora cos’è? È amore anche se non son amata? che senso avrebbe altrimenti andare avanti con tutti questi sacrifici, dirigere una casa grande come questa, gestire le sue conoscenze, farlo sentire come stesse in un albergo..”
Se Imena avesse compreso ciò di cui stava parlando la signora avrebbe potuto dirle ciò che lei aveva fatto per la sua famiglia. Cosa davvero significasse per lei la parola sacrificio.
“Se della morte non so se sia temibile o meno, della vita ne sono certa!”
Dal tono sereno con cui questa frase fu sospirata, Imena intese che poteva andarsene. Salutò la padrona e uscì di casa.
Quando tornò il mattino dopo con Marian vide per la prima volta il padrone. Usciva sempre prima che lei giungesse là. La sua esistenza l’aveva unicamente dedotta dalle camicie dalle spalle larghe che era solita stirare. Ora sedeva in cucina. Camicia azzurra, colletto bianco. Spalle larghe. Lo sguardo che inseguiva pensieri lontani.
“buon gionno signore”
Egli la squadrò. Lei si spaventò. Quegli occhi le penetrarono l’anima, la sconcertarono. Corse verso la camera matrimoniale dei signori.
Distesa, sul letto dalle lenzuola di seta purpurea, c’era lei. Elgante. Esageratamente immobile. Imena si accovacciò. Le sfiorò il viso. Per una volta rilassato. Sentì il cuore battere.
“signora?”. Flebile sussuro. Poco più d’un pensiero. Battere più forte.
“signora?”. Un colpetto delicato sulla gota. Martellare.
“non la sveglierai.” Si voltò di scatto. Il signore era giunto senza che ella l’avesse percepito. Ritto con le sue spalle larghe appoggiato allo stipite della porta. “ è morta, s’è avvelenata. E dio solo sa il perché!”
Avanzò e raggiunse il comodino che stava a destra del letto. Afferrò una boccetta. La lanciò di poco sopra la mano. La ripigliò. “aght!!” la boccetta fu scaraventata sopra il comodino, contro lo specchio. Questo fu a terra in un seconodo e mezzo, un caleidoscopio di colori.
Lui. Lei immobile. La boccetta. Il dolore. I pensieri tesero un agguato a Imenea e tutti insieme le sferrarrono il colpo decisivo.
Correre. Sbattè dietro di se la porta della camera. Correre,correre. Quando vide Marian ancora in cucina non le disse niente. Non si fermò,l’avrebbe seguita. Correre, correre lontano da quel letto. Da quella casa.
Se avesse potuto, in quel momento sarebbe corsa via anche dall’Italia. Un mondo nuovo. Un mondo in cui si poteva ancora morire. Morire come si voleva.

2 Commenti a “vai,dissero”

  1. bernardodaleppo dice:

    Interessante questa dialogo di parole e pensieri tra due che non si capiscono, anche se in qualche caso un po’ criptico.

  2. andrea dice:

    Bella la riflessione che ci costringi a fare. Sul significato di sacrificio. Su quello che ci e’ veramente necessario, sulla vita, sulla morte.
    Forse qualche dialogo si poteva congegnare un po’ meglio per rendere piu’ fluida la lettura, ma nel complesso un testo piacolissimo.
    Grazie per avercelo fatto leggere!

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