il capello
Pubblicato da martuz il 1 luglio 2009
Avete presente quei posti? Quelli dove non c’è mai silenzio, dove se le macchine sono spente c’è la voce martellante della perpetua che non tace? Dove senti profumo di fragole, pesche,kiwi, mele,mirtilli,lamponi,banane, ananas, acciughe, no le acciughe no, di tutti questi e altri eppure non si è in un fruttivendolo? Dove dicono tutti ci si senta delle regine fuorché chi li dentro ci lavora?ecco se avete presente cosa è un parrucchiere potrete ambientare la storia meglio di me.
Immaginatevene uno. Uno di quelli abbastanza grandi, freddi e impersonali. Uno di quelli che fanno pensare con malinconia alla signora che veniva in casa e faceva il suo taglio non proprio all’ultima moda, alla meglio. La meglio,ora, ce l’hanno questi franchising. Io non ci vado mai. Ma se è una donna normale che legge non avrà bisogno di altre descrizioni per comprendere dove è ambientata questa storia, se è un uomo … che volete che vi dica, dubito che sia interessato a saperne di più sull’argomento.
Ecco adesso focalizzate gli obbiettivi su una sola di quelle poltrone. Nera, in finta pelle. Una con sopra una signora in attesa del lavaggio, parcheggiata come una macchina dal carrozziere. Sola. Finché dietro non giunge una ragazza. Una di quelle nuove. Una di quelle che sa poco. Una di quelle che non può osare più di un lavaggio. Per ora… poi magari una tinta o un taglio base, non necessariamente quando sarà già il momento opportuno, che in certi casi non dovrebbe mai arrivare.
“vuole la tinta?”, solo lavaggi per l’appunto, però aveva anche l’incarico di segnare cosa desideravano le clienti in modo da informare la coordinatrice.
Certo prima ho taciuto, per quella strana discrezione che interessa l’età di una donna, che la signora sola su quella poltrona nera di finta pelle non era più una ragazzina. Era vecchia, per essere del tutto franchi e liberarci da qualsiasi fraintendimento che possa impedire la piena comprensione della nostra storia.
Vecchia, appunto, con tutto quello che comportava la cosa: acciacchi, stanchezza, rughe e capelli bianchi. Questi ultimi certo i meno gravi volendo ben vedere, e certo meritano di essere citati per ultimi però … però si sa, per una donna sono la fine del mondo. Nell’accezione negativa, si intende. Per una donna sono l’inizio della fine. Sono l’interruzione di un gioco sul più bello, mentre proprio pareva vincesse. Per una donna, non per tutte!
Per quanto riguarda la nostra donna, quella parcheggiata come un’ auto dal carrozziere, i capelli bianchi meritavano tutto il rispetto di una giovane incapace e insensibile, e lasciatemelo dire, anche un po’ goffa.
Anche lei come altri miliardi di donne, tanto per non millantare, aveva atteso con ansia quel capello. Quello che per la maggior parte delle volte non è stanato dalla diretta interessata ma da altri rendendo la cosa ancora più temibile. Quello che merita l’ “oiboh, hai un capello bianco”. Ma quello è IL capello bianco. Il primo, e magari fosse anche l’ultimo, pensano molte.
Anche lei, dicevo prima, aveva atteso. Aveva atteso con ansia, con un po’ d’emozione. Aveva atteso con un po’ di paura, perché altro non è il non sapere cosa sarà del nostro cuore quando accadrà qualcosa di mai vissuto. Attese e un po’ si sorprese di dover attendere tanto. E un giorno lo trovò. Lei sola. Da sola.
Tutto qua? avrebbe voluto domandarsi. Prima rise. Poi dimenticò il fatto. Vennero altri capelli bianchi, e lei non si ricordò di quel suo riso, solo ormai non aveva più paura. Divennero tutti bianchi e chi avrebbe potuto dire dove fosse quel capello, il capello: quello tanto temuto, quello deriso e così tanto in fretta dimenticato. Chi avrebbe potuto dire se ancora esistesse o se non fosse stato spazzato via, oltre che nella memoria, anche da una manata col pettine un po’ troppo pesante. Dettata dalla necessità di eliminare un nodo ostinato. Forse invece ancora c’era, forse l’aveva accompagnata fedele fin lì. Forse tante volte s’era lasciato sventolare dal vento per attirare la sua attenzione per dire “ehi io sono il tuo capello bianco”.
Forse era proprio quello che guardava adesso dallo specchio. Certo che poteva essere quello, ricordava bene come fosse un capello leggermente a destra a un quarto di percorso tra il centro della fronte e l’orecchio. Ora se ne ricordava. Ora rise di nuovo…
“scusi allora la tinta la vuole?”
“cosa?oh scusi!”, e non poté non ridere di nuovo vedendo la faccia della giovane incapace e insensibile e immaginandola disperata per il suo capello, magari in un futuro non troppo lontano.
La poverina dal canto suo, che poco di filosofia si intendeva e ancor meno poteva comprendere la reazione della signora, non seppe se risponderle.
“la vuole o no la tinta? E perché ride?”
Giusto, non c’era niente da ridere, solo ora pensava quanto si sentiva offesa. Ma che scherziamo? La tinta, lei? E per che mai?
Cosa avrebbe dovuto coprire? Quali misfatti doveva effimeramente nascondere?
No, per lei quei capelli erano la sua vita, da quel suo riso che ora riprendeva a ricordare. Quella scuola dove l’avevano vista per dieci anni con quei capelli, e con quei capelli l’avevano amata. Erano quell’estate al mare dove aveva preso quel cappello in paglia azzurro che le donava, lo stesso cappello che rimetteva quando si trovava in posti dove nessuno poteva conoscerla. Erano suo marito, che ora non poteva ridere con lei di quel suo capello bianco, ma che insieme a lei aveva saputo ridere degli altri. Erano i suoi nipotini, quelle dolci pesti, che glieli avevano tirati, accarezzati, invidiati. L’aveva saputo quando la sua preferita, benché la più monella, o forse proprio per questo, in braccio a lei aveva domandato: “nonna, anch’io da grande avrò i capelli bianchi come i tuoi, vero?”, e lei non aveva potuto rispondere altro se non:” ma certo piccola mia, tutti quelli che vorrai!”, lasciandosi fuggire una lacrima.
E un’altra se la lasciò sfuggire ora. Erano la sua vita, erano lei. Come poteva domandarle se voleva nasconderli? Nascondere d’essere ciò che era? Ciò che aveva vissuto? Nascondere di avere molte persone da ricordare, per le quali non c’è nessun altro a farlo. No. No.
“No!”
“Come scusi?- la ragazza goffamente sbalordita non si aspettava che un sì, per poter rispondere che colore?- no..non la vuole?”
“No!Grazie!”
“Poteva dirlo anche prima”, fortuna per quella ragazza fu che oltre a ciò che è già stato detto e più volte ripetuto l’anzianità aveva portato alla donna una leggera sordità: non udì quella risposta mezza scortese. Non ebbe quindi occasione di irritarsi e pensando di averla avuta vinta, si poggiò rasserenata sullo schienale di quella poltrona, quella nera in finta pelle e lasciò che la ragazza la trattasse da regina, una vecchia regina.
1 luglio 2009 alle 17:46
Davvero bello, non avevo mai pensato a quanta importanza un semplice capello può portare nella vita…chissà come reagirò di fronte al mio primo capello bianco…spero con la stessa dignità della tua protagonista e spero che mi porti la medesima fortuna.
2 luglio 2009 alle 17:19
lo spero anch’io, tante volte sono più forti i personaggi che inventiamo di noi stessiXD
3 luglio 2009 alle 08:49
Ma io ti mando un bacio, cara Martuz!
Bello tutto il tuo racconto: argomento, narrazione – sempre “alta” senza mai un cedimento -, sentimento.
Complimenti tanti da una donna che copre i suoi capelli bianchi più che altro per far contenti i familiari (non mi vogliono veder invecchiare, secondo te perchè mi amano tanto o temono che si avvicini il momento in cui avrò bisogno di aiuto? la prima che ho detto, obviously), a un patto però: che il colore non viri verso quel “rosso menopausa” che detesta tanto.
A rileggerti!
22 luglio 2009 alle 17:37
Bello.
Ben riuscita la descrizione del parrucchiere.