Ricordi Complessi – 4 – Riunione 6/11/1989
Pubblicato da piehasen il 25 settembre 2010
*** “Ricordi Complessi” è una raccolta di racconti che un piccolo editore fa scrivere a quattro vecchi amici rintracciati dopo molti anni (siamo nel 1989 – 1990) per comporre un’opera sugli “anni folli” del Sessantotto. Inframmezzati tra i racconti sono riportati anche i verbali delle riunioni di redazione. (Per queste ultime, scusate la sciatteria del formato) ***
RIUNIONE 6/11/1989
Editore: Signorina, può far partire quell’affare, ci siamo tutti.
Graziella: L’ho appena fatto, dottore.
Andrea: Quanto formalismo per una casa editrice così piccola: signorina, dottore, non é che ti stai montando un po’ la testa, caro il mio editore?
Editore: Per favore, Andrea, non fare il cretino come il solito, non é il momento né il luogo.
Paolo: Bé, tutti i torti non li ha, in fondo siamo tra ex-amici!
Simona: Sono d’accordo, ma non per motivi di estetica comportamentale: mi sembra importante stabilire se siamo qui in veste di amici di vecchia data che si scambiano dei ricordi o in veste di professionisti della carta stampata.
Paolo: Io non sono un professionista, e l’ho anche scritto nel mio pezzo, quindi sono qui soltanto in veste di amico.
Simona: Non ti buttar giù: lo sai che il tuo racconto mi é piaciuto un sacco?
Andrea: Lo credo bene, col materiale che gli ho fornito!!
Simona: Ma lui lo ha scritto molto bene!
Editore: Scusate, volete fare un po’ di silenzio e starmi a sentire? Oh, ecco, così va bene. Volevo innanzi tutto chiarire il dubbio di Simona spiegandovi un attimo come é nata tutta la storia. Se poi voi vorrete partecipare, sarà il caso di prendere impegni di tipo professionistico; ma per ora riteniamo questa una riunione tra vecchi compagni.
Andrea: Non in senso politico, speriamo!
Editore: Per favore, Andrea, il tuo anticomunismo mi fa comodo nei racconti, ma non nelle battute estemporanee.
Avete letto tutti i pezzi di Andrea, Francesco e Paolo? Sì? Bene, ho qui quello di Simona, che non é ancora stato revisionato, ma ve ne ho fatto fare una fotocopia lo stesso, così potete avere un’idea. Per favore, non leggetelo subito, adesso state a sentire me.
Simona: Scusa il ritardo, ma avevo da fare: sapessi come sono presa di questi tempi, é già un miracolo che sia riuscita a buttar giù questa piccola storia, anzi mezza storia…
Editore: Scuse accettate, ma adesso vorrei andare avanti. Dunque, Andrea esprime a sua insaputa il pensiero che mi ha fatto iniziare questa piccola impresa editoriale quando sottolinea che la maggioranza dei ragazzi del ’68 non erano sessantottini.
Paolo: Anche tu, brutto figlio mio! Credevo che certe cose potessero venire in mente solo a questa specie di sognatore.
Andrea: Scusa, tu sei mai andato ad un corteo in quegli anni? O qualcuno dei tuoi amici? Ad esempio, nel giro di Rudy, di cui parla Franz, quanti compagni c’erano?
Paolo: Ma che c’entra, l’ho detto anch’io che abbiamo passato l’adolescenza con le fette di salame sugli occhi, ma questo non vuol dire che fosse giusto!
Andrea: Però é vero! Che vuoi fare, il 1984 di Orwell? Ciò che non é giusto non é mai successo?
Editore: Volete finirla e lasciarmi proseguire? Mi sembra comunque che siate d’accordo sul fatto che, almeno tra le vostre conoscenze, non erano molti gli impegnati in politica. Aspetta, Paolo, i giudizi semmai li diamo dopo, non voglio discutere se era giusto o sbagliato, é solo un incontrovertibile dato di fatto.
Ora, siccome stampa, cinema, televisione, i mass-media insomma, dopo aver saccheggiato gli anni Cinquanta e Sessanta, stanno facendo capolino al di là di quella data fatidica, io mi sono accorto che sta succedendo come per Risorgimento e Resistenza: sembra che tutti fossero coinvolti e impegnati nel movimento, e chi non lo era va bollato come reazionario, quando va bene.
I miei ricordi collimano però con quelli di Andrea, sarà anche perché eravamo in classe insieme: c’era tutta una maggioranza silenziosa, ma silenziosa davvero, che si faceva la sua vita e non gli saltava neanche per la testa di andare a far casino in giro. E allora mi sono chiesto se non valesse la pena di fare un tentativo per descrivere l’altra faccia della medaglia.
Sapeste la fatica che ho fatto per rintracciare i vecchi amici! A tutti ho mandato la stessa lettera, in cui sollecitavo un raccontino che parlasse dei tempi andati, così tanto per vedere cosa ne veniva fuori. Voi quattro siete gli unici che mi hanno risposto, ma mi pare che basti come pool di autori.
Ho letto un pezzo di ciascuno di voi, e mi sembra che riusciate a vedere quegli anni da punti di vista abbastanza differenti, e con sufficienti coincidenze d’ambiente e di stile, per tirarne fuori qualcosa di completo ed organico allo stesso tempo.
Simona: Tieni conto però che nessuno di noi é uno scrittore. Perché non l’hai fatto tu da solo un lavoro del genere, o non ti sei rivolto a dei professionisti?
Andrea: Io credo di saperlo: un professionista gli avrebbe ammannito la solita pappa ideologica, mentre il nostro amico qui vuol fare qualcosa contro corrente.
Paolo: E perché non lo hai scritto tu da solo?
Editore: Perché neanch’io sono uno scrittore. Vedi, ho scoperto che questo lavoro si può fare come un film, dove c’é uno che idea il soggetto e un altro che scrive la sceneggiatura, e un altro ancora che cura la regia. Basta un buon “editor” e le sfasature stilistiche possono essere coperte in modo accettabile.
A patto che uno non pretenda di correggersi da sé. Se io scrivo una cosa, non ho bisogno di correggermi, perché é logico che mi vada bene così come é scritta. Se invece correggo il lavoro di qualcun altro, ecco che la revisione editoriale ha un senso.
Così ho dato i vostri pezzi in pasto alla qui presente Graziella, che ha solo ventidue anni ma possiede una padronanza della lingua italiana da far invidia a un professore di semiologia; e poi li ho rivisti di persona un’altra volta. Il risultato lo avete davanti agli occhi.
Andrea: Vi confesso – scusi Graziella, nulla di personale – che la cosa mi lascia un po’ a disagio. Non ho nulla in contrario a raccontare, o che altri, vero Paolo, raccontino, episodi della mia gioventù, non ho nulla di cui vergognarmi, ma mi secca un po’ che qualcuno, nella fattispecie una ragazza così giovane, vada a ricercarmi gli errori di grammatica e di sintassi…
Graziella: Mi scusi, ingegnere, ma non si tratta di correggere un tema. La revisione editoriale corregge semmai le sfasature di stile. Lei ha fatto il classico, no? Ricorderà Cicerone: inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio. Tralasciando memoria e actio che non c’entrano nulla, e lasciando l’inventio all’autore, il mio lavoro mette a fuoco dispositio ed elocutio.
Andrea: Ma dove l’hai trovata una creatura così affascinante e spiritosa? Ritiro ogni obiezione!
Francesco: Quello che non ho ancora capito é cosa vuoi che facciamo. Ci hai fatto scrivere questi raccontini per saggiare la fattibilità del progetto, e fin qui ci siamo tutti, credo; ma adesso?
Editore: Era ora che anche tu aprissi bocca, se non altro per permettermi di andare avanti. Dunque, mi pare che il risultato del mio piccolo tentativo si possa giudicare soddisfacente. Andrea e Francesco hanno scritto due pezzi molto vicini nello stile e nella lunghezza, mentre Paolo, vuoi per il mezzo usato, vuoi per il caratteraccio che si ritrova, si discosta dagli altri…
Paolo: Te l’avevo detto che non sapevo scrivere, l’idea di usare il registratore é stata tua!
Editore: No, ma a me va benissimo così, é meglio che i vostri stili differiscano un poco.
Paolo: E allora perché hai tirato via tutte le parolacce?
Editore: Proprio tutte no, certo che mi hai scandalizzato Graziella, era rossa come un peperone quando ha sentito il nastro per la prima volta.
Graziella: Ora non esageri, dottore. Signor Paolo, lei ha un modo di parlare veramente originale, sa? Mescola espressioni da trivio e citazioni in latino, sgrammaticature dialettali e giri di parole da primo Settecento. In effetti, cavar fuori qualcosa di scritto da quel nastro mi ha preso un po’ di fatica.
Paolo: Io non sono capace di parlare altrimenti, porca Eva: e se non vi piace chiudiamo la mia partecipazione a questo giochetto e amen.
Editore: Ripeto, santa pazienza, che mi sta benissimo così. E passiamo a Simona: tu mi sembri la più esperta nell’arte letteraria.
Simona: Sarà che passo la vita a correggere i temi dei ragazzini…
Editore: Sì, forse hai uno stile più chiuso e circoscritto, ma vai al sodo e non divaghi come fanno gli altri tre. Comunque, volevo dire che se deciderete di continuare la collaborazione sarà bene che andiate avanti a scrivere – o a parlare – come avete fatto finora.
Francesco: Ci vuoi dire cosa vuoi che facciamo?
Editore: Il mio progetto é un libro di racconti scritti da voi quattro, più o meno della lunghezza di questi, uniti da un filo conduttore che sono i verbali di queste riunioni.
Andrea: Vuoi metterci dentro anche quello che stiamo dicendo adesso?
Editore: Parola per parola, più o meno. Dovrebbe uscirne un buon ritratto del periodo che abbiamo preso in esame, cioè gli anni Settanta fino al ’77.
Simona: Perché fino al ’77?
Editore: Perché, secondo me, il Sessantotto é finito allora, e sono iniziati gli anni di piombo, che sono durati fino all’82.
Paolo: La vittoria ai mondiali di calcio in Spagna?
Editore: No, la liberazione del generale Dozier. Allora é iniziata l’epoca dell’edonismo reaganiano, che é durata fino all’86, seguita dall’epoca ecologica, iniziata con Chernobyl e che dura tuttora. Ma non voglio parlare dei periodi successivi, come mi rendo conto che le suddivisioni temporali sono sempre arbitrarie; ma dato che l’editore sono io, ho deciso di seguire questo mio schema e porre questo limite temporale. Qualche obiezione?
Andrea: No, tra l’altro concordo con la tua visione storica di questi ultimi vent’anni.
Paolo: Ne ero sicuro: é un punto di vista borghese.
Andrea: Ma io sono un borghese, come lo sei tu e tutti quelli che sono in questa stanza!
Simona: Io la vedo diversamente, ma accetto di non scrivere oltre il Settantasette, che mi sembra il punto della questione.
Paolo: Se é per questo, anch’io.
Francesco: A me sta bene tutto.
Editore: Allora siamo d’accordo: mi scrivete dei pezzi, degli spaccati di vita, ambientati nel periodo in questione: quello che vi viene in mente, episodi accaduti a voi o ad altri, anche piccoli saggi. Tanto ho già visto che gli argomenti da voi scelti non si discostano molto dai temi che intendevo attribuire a ciascuno di voi.
Francesco: Perché, come pensavi di suddividere il lavoro?
Editore: Beh, per Andrea, politica e costume, mi sembra il più tagliato; tu, Francesco, dovresti fare un po’ il disimpegnato: parlare di musica, di ragazze, di quello cioè che ai tempi ci interessava per davvero; e per Simona avevo in mente la rivoluzione sentimentale e sessuale. Mi pare che ci siamo, da quello che avete scritto.
Francesco: Ti ringrazio per il disimpegno!
Paolo: E io?
Editore: Tu sei il corvo, la pecora nera, il bastian contrario, quello che va contro corrente. Nel pool ci voleva anche uno come te.
Andrea: Non te la prendere, vecchio mio: lo avrei voluto io questo ruolo!
Paolo: Dite tutti che ho un caratteraccio: non sarà vero, per caso?
Francesco: Ma dai, sei solo un po’ suscettibile, ed é una vita che ti punzecchiamo per vederti saltare in aria.
Simona: Scusate, ma io avrei un’altra domanda.
Editore: Sentiamo.
Simona: Il mio dubbio riguarda la veridicità di quello che andremo a raccontare. Voglio dire, fatti salvi i cambiamenti di nomi e luoghi per proteggere il nostro e altrui anonimato, gli episodi debbono essere veri o possono essere inventati di sana pianta? O un po’ dell’uno e un po’ dell’altro?
Editore: É un’ottima domanda, e mi trova un po’ spiazzato. Non saprei proprio che dire: da un lato sarebbe bene agganciarsi ad una realtà vissuta, dall’altro non vorrei che un eccessivo realismo castrasse il vostro flatus poetico.
Andrea: Montanelli dice che gli aneddoti inventati servono a costruire un personaggio vero: credo che questo concetto si possa applicare anche ad un’epoca, purché venga usato cum grano salis.
Simona: Ad esempio, proprio tu, Andrea, ad un certo punto dici che abbiamo avuto, aspetta, dov’é? Ecco: “una breve e burrascosa relazione”, mentre sai benissimo che tu ed io non siamo stati mai insieme.
Andrea: Nella fattispecie ho messo su carta un mio desiderio di vent’anni fa. Non é successo? Poco importa: lo faccio succedere.
Francesco: Ehi, che dichiarazione!!
Simona: Ma non me l’hai mai detto, non mi hai fatto capire mai niente…
Andrea: Lo sai cos’é un ragazzo timido, sì?
Paolo: Va bé, sentite, se volete rimediare dopo vent’anni, pensateci dopo la riunione: adesso vorrei che si concludesse, che ho fretta.
Editore: Allora, che ne dite? Mi rimetto a voialtri, basta che decidiamo una linea. Verità stretta, o é permesso inventare?
Francesco: Scusate, ma vi rendete conto che sono passati vent’anni? Come facciamo a ricordarci per filo e per segno quello che é successo?
Paolo: Ma che ragionamento! Ciò che non si ricorda non si scrive, no?
Francesco: Voglio dire: se io avessi fatto come te, ed avessi raccontato qualcosa della vita di Andrea, sai che non mi sarei mica ricordato che Andrea e Simona non erano stati insieme? Fino alla smentita di poco fa io ero convinto di sì, se me lo avessero chiesto ci avrei messo la mano sul fuoco, e quando ho letto il passo del racconto di Andrea non mi sono per nulla stupito.
Editore: A dire il vero anch’io credevo che foste stati insieme.
Paolo: Se é per questo, io ne ero sicuro, e continuo a sospettarlo.
Andrea: Capisco quello che vuoi dire: se non ci fossimo stati né io né Simona e voi aveste parlato dell’argomento, ecco che, per quel che vi riguardava, io e Simona saremmo stati insieme.
Francesco: E c’é di più: se tu non avessi confermato la smentita (perdonatemi la contorsione) di Simona, saremmo stati in quattro contro uno, con l’astensione di Graziella che allora era appena nata: e molto probabilmente avremmo tutti pensato che Simona mentiva per motivi suoi.
Simona: Come, come?
Francesco: Ammetti che, con tutti quanti, compreso l’interessato, che affermavano il contrario, sarebbe stato molto difficile dare retta a te, per quanto potessi spergiurare.
Simona: Bé…
Andrea: Quindi anche in questo caso io e Simona saremmo stati insieme in gioventù. Accidenti, ho perso una buona occasione, sarà per un’altra volta.
Paolo: Un momento: come ha detto prima Andrea parlando della partecipazione di massa al movimento, non basta credere giusta una cosa per farla essere accaduta per davvero!
Francesco: Sono d’accordo con te, ma chi può verificarlo dopo vent’anni? Ogni riferimento al passato deve basarsi su una testimonianza, dato che i viaggi nel tempo non sono ancora stati inventati e non si può andare a vedere di persona. Nella mia professione mi devo scontrare quotidianamente con quest’aspetto della realtà, e ne so qualcosa.
Andrea: Quindi io e Simona siamo stati insieme o no?
Editore: Se non lo sapete voi…
Andrea: No, é che il quesito comincia a turbarmi: forse ho qualche speranza di averti almeno baciata una volta.
Simona: Vogliamo cambiare paradigma, per favore? Comincio a sentirmi in imbarazzo.
Francesco: Vogliamo piuttosto tornare al nocciolo della questione? Ho sollevato il problema per dimostrare che ci é abbastanza difficile andare a vagliare la veridicità di ogni cosa che conserviamo nei nostri ricordi. Né credo che l’intenzione sia di scrivere un saggio storico…
Editore: No, no, per carità!
Francesco: Quindi sappiamo già in partenza che ogni racconto, per quanto ci si sforzi di aderire alla realtà, conterrà una parte di immaginario.
Andrea: In fisica si chiama principio di incertezza. O se preferite, é come un numero complesso: parte reale più parte immaginaria.
Paolo: Scusate, ma siccome me ne devo proprio andare, suggerirei di piantarla lì di cercare definizioni filosofiche per il grado di immaginarietá dei nostri racconti. Concludiamo affermando che l’immaginario é permesso, visto che é inevitabile.
Francesco: Mi hai tolto la parola di bocca.
Editore: Io ci sto.
Simona: Approvato all’unanimità. Purché sia applicato cum grano salis, come gli aneddoti inventati di Montanelli.
Editore: Scusate, non ve ne andate ancora: adesso viene la parte più antipatica della faccenda.
Paolo: Volevo vedere quando avresti cominciato a parlare di vil denaro!
Editore: No, per questo dovrete vedervela con l’amministrazione. Adesso c’é da esprimere un giudizio sui racconti, quale vi é piaciuto di più e quale vi é piaciuto di meno.
Paolo: Ma é inaudito!
Andrea: Vuoi scherzare!
Simona: Mi astengo da ogni giudizio, poi non avete ancora letto il mio pezzo.
Francesco: Io sì, mentre voi stavate a discutere sul Sessantotto.
Andrea: Anch’io gli ho dato una furtiva occhiata.
Editore: Paolo?
Paolo: Va bene, lo confesso, nel frattempo me lo sono letto anch’io.
Editore: Bravi, contavo molto sulla vostra curiosità. Allora, chi comincia? Voglio un giudizio da ciascuno di voi sul lavoro degli altri. Poi lo faremo anche io e Graziella, ma il nostro parere é professionale e non conta molto in questo contesto.
Simona: Scusa ma questa proprio non l’ho capita.
Editore: Vorrei sentire dei giudizi di non-professionisti sul lavoro di non-professionisti, tutto qui. E servirà anche a voi per correggervi, se lo vorrete.
Francesco: Va bene, allora comincio io. Ho preferito, tra tutti, il lavoro di Andrea, perché l’ho trovato incisivo, divertente e molto penetrante. Mi é piaciuto il tuo modo di divagare restando sempre in tema: con il pretesto di una storiella esilissima hai parlato di un sacco di cose nello stile polemico che ti ha sempre caratterizzato.
Andrea: Ringrazio e son confuso…
Francesco: Invece non mi é piaciuto il racconto di Paolo. Non per motivi ideologici, ma proprio come stile, troppo confuso, troppo a strattoni. Te lo ha detto anche Graziella: questi continui salti di tono fanno venire il mal di mare.
Simona: Io invece sono di parere diametralmente opposto sul lavoro di Paolo, che mi é anzi piaciuto un sacco.
Paolo: Caffè pagato, si dice a Roma.
Simona: É spontaneo, immediato, c’é calore, rabbia, anche la psicologia della ragazza é descritta con sensibilità. Invece non ho amato il racconto di Andrea, é freddo e accademico, da professorino saccente.
Paolo: Quale lui é.
Andrea: Adesso però tocca a te.
Paolo: Non per restituire il favore, ma do la palma a Simona, perché gli altri due mi sono sembrati due boiate pazzesche.
Simona: Solo per questo? Pochino come apprezzamento!
Paolo: Io non me ne intendo di letteratura: posso solo dire che il tuo pezzo é l’unico che ho letto senza infastidirmi. Tra Andrea e Francesco preferisco il primo che almeno punge un po’; il tuo lavoro, scusami Franz, é da encefalogramma piatto.
Francesco: Per forza, il protagonista sei tu…
Editore: Non trascendiamo: manca ancora il giudizio di Andrea.
Andrea: Io scelgo invece il povero Francesco, che ha raccontato una storia divertente e disimpegnata, con qualche squisitezza stilistica che ho apprezzato. Invece non mi é piaciuta Simona: la concretezza che sbandierate tanto io non l’ho proprio vista, tant’é che ha dovuto scindere la storia in due puntate. Per me non basta far periodi brevi per essere concreti, ma posso anche sbagliarmi. Evidentemente i nostri stili sono troppo lontani.
Francesco: Ecco perché non vi siete mai messi insieme!
Editore: OK, les jeux sont faits, rien ne va plus. Siete stati solleciti e concisi, non speravo tanto. Voleva dire qualcosa, Graziella?
Graziella: No, volevo sottolineare come ciascuno di voi ha ricevuto una lode e un siluro. Siete in perfetta parità. Dottore, adesso toccherebbe a noi.
Editore: Sarei tentato di lasciare le cose come stanno, ma… va bene, Graziella, cominci lei.
Graziella: Ecco, io vedo lor signori per la prima volta, e non me la sento di stabilire delle graduatorie di preferenza. Ho pensato a dei paragoni enologici: l’avvocato é leggero e arioso come una coppa di champagne, l’ingegnere é graffiante come una vodka, la professoressa é dolce e corposa come un Grand Marnier, e il signor Paolo é violento come un Bloody Mary.
Andrea: Donde le viene tanta competenza in fatto di liquori?
Simona: Bé, il nostro editore é un noto beone, e chi va con lo zoppo impara ad alzare il gomito.
Francesco: Adesso non arrossisca, Graziella, non c’é nulla di male.
Editore: Scusate un attimo. Pronto? … Veniamo subito. Graziella, ci vuole il gran capo. Tanto qui abbiamo finito, no? Allora vi saluto, andatevene con tutto il comodo e pensate ciascuno al prossimo pezzo che scriverà. Ha spento quell’affare?
Graziella: Sì, dottore, il registratore l’ho appena fermato.
Editore: Brava. Allora arrivederci, ci riuniremo a discutere i prossimi pezzi di tutti: ve ne manderò copia non appena ce li fate arrivare.
Graziella: Buongiorno a tutti voi.
Paolo: “Buongiorno a tutti voi”… ma dove l’ha pescata?
Andrea: Però mi sembra una che sa il fatto suo, per avere solo quanti anni? Ventidue?
Simona: E lui se la porta a letto.
Andrea: Chi, loro due… ma va’, da che cosa lo deduci?
Simona: L’hai fatto notare tu, troppo formali in pubblico, gli manca quel sano cameratismo che c’é tra persone che lavorano a stretto contatto di gomito, che lavorano soltanto, voglio dire.
Francesco: Allora quella battuta sullo zoppo era a doppio senso?
Simona: Mi ha dato un po’ sui nervi la sua presenza qui: discreta e attentissima, come se avesse l’incarico di spiare, chissà che, poi!
Paolo: E tra l’altro ti ha tolto il privilegio di essere l’unica donna presente.
Simona: Ma no, che me ne importa? Ci sono abituata. Piuttosto, é buono il suggerimento di decidere fin da ora l’argomento dei prossimi pezzi.
Andrea: Io stavo pensando di scrivere qualcosa su Folco, visto che Paolo lo ha citato.
Paolo: Come lo chiamerai: “Io e il Duca”?
Andrea: E perché no? É una buona idea. Vorrei descrivere come si viveva all’università, credo che adesso se ne sia perso un po’ il ricordo.
Paolo: Sempre al Politecnico, però: la Statale era un’altra faccenda.
Andrea: Abbiamo avuto i nostri casini anche noi.
Simona: Io devo finire la storia che ho iniziato.
Andrea: Sono curioso di sapere come va avanti.
Simona: Ma se non ti piace come scrivo!
Andrea: Lo stile, non gli argomenti. Suggerirei un titolo come “Io e i brutti anatroccoli” o qualcosa del genere, per collimare con il mio.
Simona: Ma lo sapete che é una buona idea? Dai, scriviamo tutti una storia intitolata “Io e…”.
Francesco: Io dovrei fare il disimpegnato, musica e ragazze, secondo quanto stabilito, e in effetti mi viene in mente un argomento musicale: una vecchia formazione che avevo al liceo, vi ricordate, c’era dentro anche Maurizio…
Simona: Credo che non vi conoscessi ancora, eravate i compagni di scuola di mio fratello e basta, un mondo irraggiungibile con tre anni di differenza…
Andrea: Io mi ricordo qualcosa, un concorso con… come si chiamava l’altro gruppo? C’era dentro quel matto mezzo hippie, Maurizio Luna, ve lo ricordate?
Francesco: Bravo, proprio quel gruppo là, ci sei venuto anche a sentire un paio di volte, e anche Paolo.
Paolo: E come avrei potuto non esserci? Era diventato un affare nazionale. Tu però ti stai specializzando nel paleolitico del Sessantotto.
Francesco: E che male c’é? Allora, per me “Io e gli Stash”. Manchi tu, Paolo.
Paolo: Non me lo chiedete, ci penserò sul momento, e anch’io sfornerò il mio bravo “Io e qualcosa”. Ma ora come ora il solo pensiero di quella sciacquetta che ascolta il nastro avanti e indietro per mille volte mi fa venire la diarrea.
Andrea: Sta antipatica anche a te? Ma già, chi ti sta simpatico, del resto?
Paolo: La trovo saccente, fredda come un pesce, in una parola, una stronzetta.
Andrea: Sarà felice di saperlo!
Francesco: Perché?
Andrea: Dicevo in senso ironico!
Francesco: No, sto chiedendo perché dovrebbe venirlo a sapere.
Andrea: Perché il registratore é ancora lì che va, non ve ne siete accorti? Non l’ha mica spento!
Paolo: E brava la nostra santarellina infilzata.
Francesco: Magari ha eseguito degli ordini, poveraccia lei.
Simona: Tu credi che il nostro caro amico che ci ha convocati sia all’altezza di un trucco così raffinato?
Andrea: Un momento: il solo fatto di essere riuscito a riunirci dopo vent’anni dimostra che proprio cretino non é.
Paolo: Comunque rimediamo subito alla dimenticanza, più o meno voluta.
(Il resto della conversazione é strettamente confidenziale. L’ingegnere e la professoressa sono usciti per primi alle 18:15, sottobraccio, mentre l’avvocato e il signor Paolo sono usciti dieci minuti dopo, naturalmente non abbracciati.)