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Il gatto bianco

Pubblicato da poetto il 27 settembre 2009

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Guardo la sveglia sul comodino, le ventitré e sei minuti, domani sono di mattina.
Rifletto sul fatto che sono già sette anni che presto servizio nel reparto di medicina, sette lunghi anni.
Ieri, mia moglie, mi ha detto che è uscita una mobilità interna, l’ha visto in internet, i posti a disposizione sono interessanti; lei insiste per fare la domanda per i poliambulatori che sono vicino a casa, sorridendo le spiego che difficilmente, visto che ci sono molte persone con più anzianità di servizio, ci sarà la possibilità di andare lì.
Pian piano il sonno si impossessa di me.
Entro nel mio mondo onirico.
Un gatto bianco, vedo solamente un gatto bianco che cammina, non c’è altro, nulla, solo una piccola macchia bianca su sfondo nero.
La sveglia suona, le sei e venti, mi alzo, mi preparo, saluto Chiara ed esco.
In macchina rifletto sullo strano sogno.
Chissà che vorrà dire?
Passano alcuni giorni dal sogno, era una cosa talmente irrilevante che non ne ho fatto menzione a nessuno.
Dopo sei giorni ecco nuovamente il gatto.
Questa volta, nel sogno, sono dentro il reparto.
Il gatto, miagolando, attira la mia attenzione, mi guarda poi guarda il corridoio del reparto come se volesse che lo seguissi.
Lo seguo, tutto sembra vero, nel senso che non sembra un sogno ma realtà.
Mi avvicino alla guardiola, dentro c’è Mario, un collega arrivato un anno dopo di me, lo sento parlare di un paziente che nella realtà esiste ed è ancora ricoverato.
Guardo l’orologio della guardiola, segna le undici e sei minuti, il gatto è sparito, mi giro per cercarlo.
Tutto suona incredibilmente reale.
Provo ad entrare dentro una stanza, ho la netta sensazione, che poi si tramuta in certezza, che nessuno si accorga di me, in pratica è come se fossi invisibile.
Il trambusto in reparto è quello solito.
Mi domando, nel sogno, con chi sta turnando Mario, non faccio in tempo a farmi la domanda che un altro me stesso sbuca, con il carrellino della cardiolina, fuori dalla camera A, la prima come si entra in reparto.
Resto di stucco, non mi era mai capitato essere nel sogno e sognare me stesso, una situazione insolita, strana, ma, si sa, i sogni sono strani.
Sento il miagolio, il gatto bianco è dietro di me, lo seguo.
Entra dentro la camera H, qui c’è Mario, lui non si accorge di me, io, invece, mi accorgo che, per errore, sta somministrando il farmaco di un paziente ad un altro.
Nel sogno ho la consapevolezza che sta facendo un errore maggiore di quello che può sembrare a prima vista.
Vedo la scena, cerco di bloccarlo, per lui è come se non ci fossi.
Il gatto sale sopra il letto del paziente, miagola.
La sveglia fa terminare questo strano sogno, mi alzo agitato, come se realmente quell’episodio fosse accaduto.
Nel sogno, l’errore commesso da Mario non era di poco conto, se fosse accaduto realmente, penso che avremo avuto dei grossi problemi.
Racconto a Chiara del sogno, secondo lei il lavoro mi sta stressando.
Che abbia ragione lei?
Passano due giorni.
Sono di mattina in reparto; in turno c’è, oltre che Donatella, Mario.
Il Pronto Soccorso non ci dà quasi il tempo di prendere le consegne, ci avvertono che hanno portato un paziente nella nostra accettazione.
Mi avvicino, resto di stucco quando riconosco il paziente del sogno, un signore sulla sessantina, è lui!
Riferisco che il medico sta arrivando, inizio a prendere i parametri, come alzo lo sguardo noto, cosa che non avevo visto prima, che nella maglia della figlia del paziente c’è l’immagine di un gatto bianco.
Strana coincidenza, penso tra me.
Sono circa le undici, il dottor Dotti si avvicina a Mario e gli dice che un paziente ha forti dolori, vedo che aggiunge qualcosa a penna nel foglio della terapia.
Ripenso al sogno.
Rifletto sulle strane, incredibili coincidenze tra il sogno e quello che sta accadendo.
Mi domando se non sia stato un sogno premonitore.
Sto uscendo dalla camera A con la cardiolina quando vedo Mario con un renino, si dirige proprio verso la camera H.
Proprio in quel momento la figlia del signore ricoverato all’inizio del turno, in camera H, passa, con la sua magliettina raffigurante un gattino bianco, proprio davanti a me.
Mi convinco che le coincidenze tra il sogno e la realtà sono talmente incredibili che non posso ignorarle.
Se dovesse succedere qualcosa ed io, in qualche modo, l’avrei potuto evitare bhé non me lo perdonerei mai.
Seguo Mario che intanto ha già aperto la porta della camera H e si è posizionato davanti al paziente entrato all’inizio del turno, che dorme con il viso rivolto verso la parete.
. Hai bisogno d’aiuto? – domando cercando di capire cosa ed a chi deve fare la terapia che ha sul renino. Tutto, il renino, la siringa, le posizioni dei pazienti ed i pazienti stessi, sono uguali al sogno, il che mi da un senso di ansia. Provo una strana agitazione nell’essere dentro quella stanza.
. Devo solo fare questo antidolorifico al signor Martis – mi dice a voce bassa.
. Il signor Martis è l’altro – gli dico sottovoce al collega.
. Oh! Hai ragione! cavoli! – mi dice all’orecchio Mario diventando pallido.
Il paziente difronte sembra non essersi accorto di nulla, poi guarda Mario e gli dice: Non gli detto nulla il medico per il dolore?
All’uscita della stanza Mario mi guarda, resta un attimo in silenzio poi mi dice: Meno male che sei entrato tu…lo sapevi che quel paziente è allergico al quel farmaco? Pensa se glielo avessi fatto? Sarebbe successo un… grazie!
Tutto si è svolto come nel sogno.
Mi tengo, in reparto, per me il “segreto” del gatto bianco, non voglio che pensino che abbia qualche rotella fuori posto o che mi sia inventato tutto, preferisco tenermi tutto per me.
Se non ci fosse stato il gatto bianco, probabilmente il paziente avrebbe avuto una brutta reazione allergica e Mario si sarebbe trovato in grossi guai.
Racconto a Chiara del sogno del gatto bianco e di quello che è successo in reparto.
Lei resta ad ascoltarmi, quasi incredula, poi mi dice: Ti giuro che se me lo avesse raccontato qualcun altro avrei pensato ad uno scherzo…mi stai diventando paranormale – conclude sorridendo.
Quello era il primo di una lunga serie di sogni.

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