IL TEATRO DEI BURATTINI
Pubblicato da rossanocrotti il 25 maggio 2008
IL TEATRO DEI BURATTINI Ruggero entrò in casa e buttò le chiavi sul tavolo, sua madre lo vide dalla porta della cucina e fece bene attenzione a non farsi vedere dal figlio. Da quando Tozzi senior era morto non esisteva più dialogo fra i due. Ruggero era gonfio di pensieri, di ansia, di tristezza, non sapeva più in chi e cosa credere. All’improvviso era come se si fosse reso conto che gli mancava tutto, gli mancava il padre, per potergli dire tutte quelle cose che non aveva mai detto perchè gli sembravano scontate, gli mancava la madre , ormai da anni abituata ad essere una semplice cameriera del figlio , psicologicamente distrutta e fortemente provata dalla perdita del marito. La casa era silenziosa. Ruggero era in piedi in cucina. La piccola cucina illuminata al centro dal vecchio lampadario. Uscì, mentre il cielo prendeva le ombre della sera e il sole calava. Calava come in Ruggero calava un profondo senso di solitudine. Si accorse solo allora della mancanza di una persona con cui parlare di lui, dei suoi problemi. Un amico, una donna, uno straccio di essere umano che ascoltasse lui in quanto tale, avrebbe voluto far parlare i suoi sentimenti, aprire il suo cuore, togliersi quella falsa maschera di apparenza che era stata la sua ragione di vita per troppi anni. Per troppo tempo aveva dato spazio solo alle cose che lo circondavano , pensando a quello che potevano dire gli altri su di lui. Un’apprensione quanto mai stupida, che lo aveva portato a trent’anni, in una sera di fine estate, seduto in giardino a guardarsi le mani. Ruggero aveva gli occhi gonfi, non sapeva cosa fare quella sera, probabilmente i suoi amici erano radunati in gruppo e dopo cena sarebbero usciti. Sarebbero andati in qualche locale, avrebbero sparato qualche cazzata a voce alta. Avrebbero avuto i capelli unti di gel, le scarpe lucide e il cellulare sul tavolo. Avrebbero parlato di cose che anche se non le dici non cambia un niente, perchè di cose importanti non avrebbero parlato. Ruggero aveva gli occhi sempre più gonfi. La madre dalla finestra lo osservava, aveva capito la solitudine del figlio, sapeva che in quell’ippopotamo col pizzetto e la giacca c’era una sensibilità recondita che prima o poi sarebbe venuta fuori. Ruggero voleva delle certezze. Voleva persone di cui fidarsi. Voleva che le persone si fidassero di lui. Un leggero vento spostava le foglie della siepe, vicino alla sedia del giardino di fianco al mobilificio. Ruggero era immobile. Il suo cuore batteva forte. Avrebbe dovuto avere molto coraggio. Per sua madre sarebbe stato un dolore troppo forte, anzi la sua sicura morte. Si mise le mani davanti agli occhi e vide tutta la sua vita che gli passava davanti. Notava come le persone fuggivano via, come non avesse nessuno come punto di riferimento, qualcuno veramente importante per lui, a parte i genitori e il mobilificio. Vedeva la sua vita chiusa in quel pretesto che si era ritrovato dieci anni prima e nient’altro. Gli amici erano tali perchè era il gruppo di facoltosi fighetti del bar a cui lui teneva di appartenere (chissà che giri e quali porte avrebbe aperto con quella gente, sognava ….). Il sole era ormai calato, Ruggero sulla strada vide un contadino su un trattore che stava rientrando a casa e due bambini che giocavano a palla.Ruggero chiuse gli occhi, non si era mai sentito tanto stanco come in quel momento. Gli sembrava di essere arrivato ad un immaginario capolinea della sua vita. Aveva l’impressione di vedere una linea sottile che divideva il suo passato dal suo prossimo futuro. Quel futuro che era molto difficile costruire. Doveva iniziare da zero.La sensazione di sconforto si impadronì di lui. Ruggero non aveva un carattere forte. Ruggero in quel momento si sentiva in pericolo, come riteneva in pericolo tutte le persone che lo circondavano, tutti quelli che la mattina si svegliano incazzati, tutti quelli che si ritengono superiori agli altri , tutti quelli che escono la sera e la mattina dopo non sanno con chi sono usciti, tutti quelli che parlano sempre a voce alta, tutti quelli che sono convinti di avere un’ idea politica, tutti quelli che non si guardano mai dentro, tutti quelli che non hanno mai dato importanza alle piccole cose, tutti quelli che ti salutano senza guardarti in faccia, tutti quelli che ti guardano in faccia e non ti salutano, tutti quelli che sono amici in cinque minuti, tutti quelli che parlano sempre con una maschera davanti al viso, tutti quelli che sorridono troppo, tutti quelli che criticano gli altri, tutti quelli che non sanno che c’è stata una storia e non sanno da dove vengono, tutti quelli che dicono che non s’innamoreranno mai, tutti quelli che dicono che la famiglia…., si,…è una cosa normale .., tutti quelli che confondono amicizia e interesse, tutti quelli che si confondono, tutti quelli che stanno alzati a scrivere fino a tardi, tutti quelli che non sanno che hanno anche un prossimo, tutti quelli che ogni Sabato vanno al centro commerciale e non comprano un cazzo, tutti quelli che in vacanza cambiano, tutti quelli che con la macchina giusta sono altre persone, tutti quelli che si sentono più furbi, tutti quelli che manifestano in piazza e non sanno neanche il perchè, tutti quelli hanno la maglietta del “Che” perchè è una moda, tutti quelli che sono invidiosi e non sanno di esserlo, tutti quelli che sono falsi e sanno di esserlo, tutti quelli che non riescono a fermarsi , tutti quelli che non si pongono dei dubbi, tutti quelli che sognano……ma non dicono niente a nessuno, tutti quelli che non hanno il coraggio delle proprie azioni, tutti quelli che non sanno di essere ipocriti, tutti quelli che sanno di essere ipocriti, tutti quelli che per metà della loro vita hanno leccato il culo e per l’altra metà l’ hanno presa nel culo, tutti quelli che vogliono sembrare di più di quello che sono, tutti quelli che non vogliono sporcarsi le mani, tutti quelli che vogliono fare finta di lavorare, tutti quelli che si lasciano condizionare, tutti quelli che se non sono le cinque del mattino non si sono divertiti, tutti quelli che non scrivono più lettere, ma telefonano, telefonano……………, tutti quelli che non leggono più, ma guardano solo le foto dei quotidiani, tutti quelli che parlano troppo di calcio e non sanno di dire sempre le stesse cose, tutti quelli che buttano via la roba che è passata di moda, tutti quelli che parlano inglese anche se non lo sanno, tutti quelli che dicono che chi ruba fa bene, tutti quelli che dicono che in Italia non si può andare avanti così, tutti quelli che non sanno dov’è la verità, che non sanno che basta poco, basta quel poco che abbiamo abbandonato, perchè non sappiamo più essere noi stessi, non sappiamo più dare spazio alle nostre emozioni, non sappiamo più fare del bene agli altri …………. E fare del bene a noi stessi. Non sappiamo più amare. Ruggero non aveva mai amato. Ruggero si guardava le mani. Ruggero si voleva ammazzare, ma non aveva il coraggio. Ruggero aveva capito, almeno, quello che non aveva mai fatto. Non aveva mai cercato di guadagnarsi la stima delle altre persone, non si era mai accorto di essere soltanto un burattino e mai un’ uomo su cui gli altri potevano contare.Ruggero si alzò, con gli occhi gonfi e barcollando entrò nel portone della casa, dietro il mobilificio. La madre rimase insensibile ai rumori. Ruggero raggiunse la finestra del solaio e la spalancò. Il vento entrò nel sottotetto e fece volare alcune carte impilate contro la parete. Ruggero guardò in basso e valutò l’altezza. Avrebbe dovuto gettarsi a destra per evitare i rami del vecchio albero che cresceva di fianco alla casa. Ruggero singhiozzò, si coprì gli occhi e si gettò nel vuoto.L’ambulanza arrivò dopo pochi minuti e i medici dichiararono subito Ruggero non in pericolo di vita. Aveva una profonda ferita all’addome (causata da un ramo dell’ albero) che forse aveva attutito la caduta. Ruggero se l’era cavata, si era rotto tutto ma non aveva lesioni gravi. E sicuramente mai più avrebbe tentato il suicidio. La corsa dell’ambulanza dal piccolo paese all’ospedale della città fu a sirene spiegate con all’interno Ruggero in stato di incoscienza e la madre che piangeva. Il ramo mezzo spezzato della vecchia pianta cadde per terra mosso dal vento, la finestra ancora aperta sbatté e il giorno dopo la notizia di Ruggero che si lesse sul quotidiano locale aveva più del comico che del drammatico : “ MOBILIERE SCIVOLA DAL TERZO PIANO, SALVATO DA UNA PIANTA” .
4 giugno 2008 alle 9:07 am
non volevo che questo racconto scivolasse via cosi’.
e’ prezioso.
un’analisi perfetta di cme siamo e “in tutti quelli” ci sno anch’io…