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Quel paio di guanti

Prendeva quel treno tutte le sere, ma forse questa, sarebbe stata l’ultima volta.
Lavorava ormai da due anni in un bar, gli piaceva quel lavoro, anche se a volte era davvero duro. Ma andava bene così, d’altronde studiare non era stato mai il suo forte.
Camminava sul marciapiede con le mani nelle tasche del suo giubbetto, il vento soffiava forte e il cielo si era tinto di un grigio inquietante. Sarebbe nevicato? Non lo sapeva, ma la temperatura doveva essere proprio intorno allo zero. Si sistemò meglio la sciarpa per proteggere meglio le vie aeree, notò i passanti emettere sbuffi di aria calda dalla bocca e dal naso, mentre le auto imitavano quel comportamento emettendo nuvolette bianche dai tubi di scarico. Per raggiungere la stazione doveva camminare per almeno dieci minuti, era convinto che ci fosse una remota possibilità di congelarsi anche prima.
Svoltò l’angolo, abbandonando la strada secondaria per immettersi in quella principale che terminava proprio nella piazza della stazione. Guardò l’orologio.
“Oh cavolo, ma sono in ritardo.” Pensò.
Affrettò il passo, non poteva perdere quel treno, solo l’idea di aspettare per venti minuti la corsa successiva lo fece rabbrividire. Attraversò la strada, per poco non venne investito da un taxi, ma alla fine giunse incolume nella piazza della stazione. Tra lui e quel treno c’erano ormai un centinaio di metri. Entrò nell’edificio e controllò rapidamente il tabellone degli orari. Il treno era in perfetto orario.
“Mai un ritardo quando ti serve.” Disse tra se e se.
Imboccò il sottopassaggio, affrontando gli scalini a due a due. Mentre percorse il tunnel una voce maschile annunciò l’imminente arrivo del convoglio, a quel punto stava praticamente correndo. Mentre saliva le scale più rapidamente di quanto non le avesse discese poco prima, sentì l’acuto dei freni del treno e il vibrare del terreno sotto ai suoi piedi.
“Si, ce l’ho fatta.” Realizzò con evidente soddisfazione.
Riemerse dal sottopassaggio. Il suo respiro si era fatto più intenso, l’aria gelida che respirava gli bruciava nei polmoni. Le porte si aprirono ed entrò nel treno dove la temperatura risultò piuttosto piacevole.
Era salito nella carrozza centrale. Attraversò rapidamente i diversi vagoni, quasi tutti deserti, varcando le porte scorrevoli. Si sistemò nel vagone vuoto di coda, il suo preferito, mentre la città prese a scivolare via lungo i finestrini. Si tolse la sciarpa arrotolata attorno al collo e si sbottonò la giacca. Si rilassò. Trascorse così qualche minuto sentendo affiorare nel suo corpo tutta la stanchezza di una giornata di lavoro. Incantato dal rumore quasi ipnotico del treno e dal tepore della cabina, rischiò di addormentarsi. C’erano parecchie fermate prima della sua stazione, ma la prima era già visibile in lontananza. Il treno cominciò a decelerare, poi, si arrestò completamente. Dopo qualche istante si aprì la porta della cabina, entrò una ragazza, una corrente di aria fredda accompagnò il suo ingresso. Lo ignorò completamente e prese posto sull’altro lato della cabina rivolgendo da subito il suo sguardo verso il finestrino. Lui fece lo stesso. Ma poi mentre il treno partì, tornò a guardarla, non tentò neanche minimamente di resistere a quella tentazione. La vide mentre si tolse il cappello, i suoi capelli le scivolarono lungo le spalle, e sfilarsi i guanti che poggiò sul sedile affianco. Incrociò per un breve istante il suo sguardo, i suoi occhi azzurri erano in perfetta armonia con il freddo di quella sera.
Ma notò qualcosa in quegli occhi, tristezza, malinconia o disperazione. Cosa poteva rattristarla in quel modo? Non lo sapeva. Ma gli sembrò, almeno per un istante, di percepire le sue stesse emozioni. Doveva parlarle, si fece coraggio, si alzò. Percorrere quel tratto di corridoio fu come attraversare, sospeso a decine di metri, un ponte fatto di sole corde. Era agitato.
Giunse lì, davanti a lei. Lo guardò e prima che lui potesse dire una sola parola lei disse:
“Siediti”.
Così fece senza esitare. Il silenzio tornò prepotente tra loro. Per qualche minuto i due ragazzi rimasero a fissare lo stesso finestrino, lo stesso paesaggio, la stessa città.
“Stai bene?” Non trovò niente di meglio da dire.
I loro sguardi si incrociarono ancora una volta. Notò quanto fossero dolci i lineamenti del suo viso, giurò che poche cose al mondo potessero sperare di eguagliare quella particolare bellezza.
“Si, grazie. Ho solo avuto una brutta giornata.”
“Mi dispiace.”
“Non ti preoccupare. Può capitare a tutti.”
I due parlarono per più di mezz’ora. Avvertirono da subito una certa sintonia, attrazione, qualcosa che entrambi non avevano mai provato per nessun altro. Il tempo così, passò velocemente, il paesaggio intorno a quel treno mutò, la città lasciò il posto alle case di campagna e ai campi coltivati.
“La prossima fermata, è la mia.” Disse la ragazza.
“La mia è quella dopo.” Gli rispose lui.
I freni entrarono in azione, il treno si fermò.
“E’ stato bello incontrarti.”
“Si, lo è stato anche per me.”
Si alzarono entrambi, poi rimasero fermi, come sospesi nello spazio in assenza di gravità. Lei fece un passo verso di lui, i loro respiri si intrecciarono. Il suo viso si inclinò su un lato e lei lo baciò su una guancia, il calore delle sue labbra riscaldò la pelle di lui.
Lei scese dal treno, lui la seguì sino alle porte.
“Ciao”
“Ciao” Rispose lui
Le porte si chiusero.
“Aspetta, non conosco neanche il tuo nome…” Urlò, ma ormai era troppo tardi.
Non si erano presentati, non conosceva il suo nome, non aveva un suo numero di telefono. Si rese conto che non aveva nulla per poterla rintracciare.
Lo salutò dalla banchina agitando una mano, lui fece lo stesso. Si spostò verso l’interno della cabina dove attaccato al vetro che spannò con una mano, continuò a salutarla, poi lei svanì oltre il profilo del treno. Forse l’aveva persa per sempre.
Il ragazzo si mise seduto, raccolse un giornale, di quelli distribuiti gratuitamente. Lo sfogliò. Un articolo catturò la sua attenzione.
“Ragazza deceduta ieri sul treno, colta da improvviso malore..”
L’articolo era corredato di una foto della ragazza. Quasi gli prese un infarto. Era lei ne era sicuro.
“Ma non è possibile…”
Girò lo sguardo, vide i suoi guanti ancora lì, poggiati sul sedile affianco a quello dove poco prima era seduta lei.
“Allora non mi sono sognato tutto?”
Li raccolse e li strinse nelle mani, non era diventato pazzo, l’aveva incontrata veramente.

Quella ragazza prendeva quel treno tutte le sere, ma quella, fu l’ultima. Percorse la banchina in direzione opposta a quella del treno, passò sotto l’insegna ed attraversò le deboli luci della stazione, poi continuò. Ormai giunta alla fine della banchina, dove l’oscurità era più forte della luce, il suo corpo scomparve nel nulla, abbandonando per sempre la dimensione terrena.

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