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*

Il telefono squillò.
Provò a raggiungerlo con la testa ancora sotto le coperte ma i movimenti incerti della sua mano resero quel semplice gesto un’impresa. Il telefono scivolò tra le sue dita come avrebbe fatto un pesce pescato a mani nude, e poi cadde sotto il letto. Peter si girò dall’altra parte intrecciandosi tra le coperte, lasciò per un po’ il telefono lamentarsi ma poi il rumore della suoneria si fece insopportabile.
“E va bene, arrivo.” Disse, come se chiunque lo stesse chiamando potesse ascoltarlo.
Uscì con la testa allo scoperto, con gli occhi sofferenti e con la bocca impastata.
Mi sento un vero schifo. Pensò.
Cercò disperatamente il cellulare che continuava a squillare nervosamente.
“Ma dove è finito?” Si chiese infilando la testa tra il comodino ed il letto.
Nella penombra della stanza avvistò la tastiera lampeggiare. Afferrò il telefono allungando una mano e poi premette il tasto verde.
“Pronto”. Disse Peter.
“Ciao Peter.”
Sentire quella voce appena sveglio, la sua voce, era incredibile. Lui e Mary si erano conosciuti qualche mese prima all’università. In effetti le era andato dietro per molto tempo ma lei non si era mai accorta della sua presenza. Poi era riuscito a conoscerla e a strappargli un appuntamento, ricordava ancora come gli tremasse la voce in quella circostanza.
“Ma… che ore sono?” Disse Peter mentre tentò di liberarsi dalla stretta delle coperte.
Diede uno sguardo alla sveglia, vide che erano già le sette ed un quarto.
“Avevo bisogno di sentirti prima di andar via.”
“Andare dove? Ma che…cosa vuoi dire?” Le chiese appena in tempo prima che si esibisse in uno sbadiglio paragonabile a quello di un felino di grandi dimensioni.
Peter notò qualcosa di strano nella voce di Mary ed ebbe la sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto.
“Perché dovresti lasciarmi, Cosa è successo?” Chiese Peter.
“Volevo soltanto dirti che… ti amo.”
“Anche io ti amo… ma non capisco…”
Poi per una manciata di secondi ci fu soltanto silenzio.
“Pronto… Mary…”
“Ora devo andare, non posso trattenermi oltre.”
Peter si sedette sul bordo del letto.
“Un momento, devi andare dove?”
“Non ti posso spiegare…” disse Mary.
“Ti chiamo più tardi…” disse Peter, ma la linea cadde prima che Mary potesse rispondergli.

*

Mary aveva conosciuto Sophie alle superiori, tra le due ragazze c’era stata sin da subito sintonia. A distanza di anni, pur avendo intrapreso strade diverse, la loro amicizia era più forte che mai.
Mary accostò l’auto davanti a casa di Sophie poco dopo l’una del mattino, la serata era scappata via veloce e piacevole.
“Sono stata veramente bene, Mary.” disse Sophie aprendo la portiera dell’auto.
“Anche io, dovremmo farlo più spesso. Intendo… un’uscita soltanto tra ragazze.” Disse Mary.
“Sì hai ragione. Ora scappo, mi sto addormentando in piedi, e domani devo andare a lavoro. Tu stai attenta, guida con prudenza. Ok?”
“Sì, sì. Stai tranquilla.”
Si salutarono baciandosi affettuosamente sulle guance. Sophie chiese la portiera, si allontanò dalla macchina, e un attimo dopo scomparve dietro al portone del palazzo.
Mary ingranò la prima e si diresse verso casa.

*

Peter Rimase a fissare sconcertato il display, non capiva perché Mary aveva avuto tutta quella fretta di riagganciare. Si domandò dove dovesse recarsi con tanta fretta.
Si trascinò in bagno e si lavò il viso nella speranza di riprendere conoscenza, ma servì a ben poco, aveva decisamente bisogno di un caffè.
Dopo aver fatto colazione prese il cellulare e tentò di richiamare Mary, ma una voce lo informò che il numero non era raggiungibile. Ci provò diverse volte ma il risultato fu sempre lo stesso.
Trovò qualcosa da indossare tra i vestiti sparsi per la camera, l’ordine non era il suo forte e da quando era andato a vivere da solo le cose non erano di certo migliorate. Si vestì velocemente, doveva andare a lavoro ed era decisamente in ritardo.
Aprì la porta e diede una sbirciatina fuori di casa, la giornata non prometteva nulla di buono. Grossi nuvoloni si erano dati appuntamento sopra la città, presto ci sarebbe stato un acquazzone di proporzioni bibliche.
Almeno porteranno via un po’ di smog, pensò.
Indossò la giacca, prese l’ombrello, chiuse la porta ed imboccò il vialetto che lo condusse in strada.
Potrei provare a chiamare Sophie, ieri sera sono uscite insieme, forse può aiutarmi a rintracciare Mary.
Avvistò l’auto ed affrettò il passo mentre grosse gocce d’acqua iniziarono a tamburellare sulla carrozzeria delle macchine parcheggiate, a far vibrare le foglie degli alberi e a bagnare le spalle dei passanti. Il suo respiro si fece più veloce mentre dalla bocca rilasciava piccole nuvolette d’aria calda. Raggiunse l’auto, riuscì ad entrare ed a chiudere la portiera prima che la pioggia venisse giù a secchiate. Prese il cellulare per chiamare Sophie e compose il numero in tutta fretta.
Squillò.
“Pronto Sophie.”
“Sì, pronto. Ciao Peter.”
“Ciao. Mi chiedevo se avessi per caso sentito Mary questa mattina? Insomma, l’ho sentita al telefono e mi parlato di un appuntamento o qualcosa di simile, poi ha attaccato e non sono più riuscito a rintracciarla.”
Un tuono fece vibrare i vetri dell’auto mentre il vento trasportava foglie in tutte le direzioni come se non avesse deciso da che parte andare.
“No mi dispiace. Ieri sera mi ha riaccompagnata a casa e poi non l’ho più sentita. Ma è accaduto qualcosa ieri sera?”
“Beh, no. L’ho sentita poco fa per telefono.”
Attraverso la cornetta Peter sentì qualcuno lamentarsi con Sophie.
“Meno male, ero in pensiero. Scusa, ma ora sono in metro e la linea potrebbe cadere… ci sentiamo dopo.”
“Ma ti ha parlato di un appuntamento?” Domandò Peter in tutta fretta.
“Che io ricordi no. Se la rintracci le dici che ho lasciato la sciarpa nella sua auto?”
“Sì, sicuramente. Ciao.”
“Ciao.”
Peter sentì riagganciare, poi si accorse che la batteria del suo cellulare era quasi scarica.
“Dannazione, questi aggeggi smettono di funzionare nel momento del bisogno.”
Girò la chiave e il motore si lamentò, azionò i tergicristalli e si diresse verso l’ufficio. I fari delle auto si riflettevano sulle pozze d’acqua e sul parabrezza appannato, Peter spannò il vetro con una mano e guardò il cielo divenuto grigio come la pelle di un elefante bagnato. Guardò l’orologio e imprecò pensando al ritardo che avrebbe fatto a lavoro.
Era ancora intrappolato nel traffico quando il suo cellulare squillò.
Era la mamma di Mary, Anne.

*

La notte era buia e senza stelle, tutta colpa delle fitte nubi che si erano ammassate in cielo.
Credo proprio che domani pioverà, pensò Mary mentre la sua auto abbandonava le strade ben illuminate della città per quelle buie e tortuose della campagna.
“Cavolo se sono stanca, ho gli occhi pesanti come due macigni.”
Abbassò il finestrino nel tentativo di vincere la sonnolenza, e nell’abitacolo entrò aria fresca che le accarezzò il viso e le fece vibrare i suoi lunghi capelli castani. Si sentì subito un pochino meglio.
Accese anche lo stereo, pensando che addormentarsi con la musica ad alto volume sarebbe stato sicuramente più difficile. Mary amava la prudenza e per questo avanzava a velocità controllata con l’attenzione sempre rivolta alla strada.
Ma i tre ragazzi, imbottiti di alcool e droga a bordo dell’auto che correva a folle velocità in direzione opposta alla sua, non la pensavano allo stesso modo.
All’una e ventisei minuti le due auto si accartocciarono l’una nell’altra, vetro contro vetro, lamiera contro lamiera e i detriti si sparsero su un raggio di diverse decine di metri.
Dopo il frastuono del terribile impatto sulla strada tornò il silenzio.

*

Peter sfilò il telefono dalla tasca e rispose alla chiamata.
“Pronto signora.”
“Ciao Peter, dove sei?”
“Sono imbottigliato nel traffico, sto andando a lavoro.”
“Ti devo parl…”
La batteria completamente scarica troncò la chiamata.
“Dannazione…” Disse Peter colpendo nervosamente con il pugno il volante.
Intuì che Anne volesse parlargli di qualcosa.
Forse è davvero accaduto qualcosa a Mary? Se lo domandò mentre iniziò a scaricare la sua preoccupazione suonando ripetutamente il clacson e sbraitando contro gli altri conducenti.
Un’ora dopo entrò in ufficio con l’ombrello sgocciolante come un rubinetto mal chiuso, la giacca completamente zuppa e con i jeans divenuti più scuri sino alle ginocchia. Si diresse rapidamente verso il telefono e selezionò il numero della mamma di Anne.
Quella telefonata fu la più brutta della sua vita. Anne le spiegò che non aveva potuto chiamare prima visto il ritardo con cui la polizia aveva avvertito lei.
Le raccontò di Mary e di quello che era accaduto. Dei tre ragazzi, dell’altra auto, e del terribile incidente in cui era stata coinvolta.
Anne si lasciò abbandonare alle lacrime.
Peter sentì il suo cuore come schiacciato dal peso di mille tonnellate. Fu travolto da disperazione, solitudine, dolore, aveva perso la cosa che per lui era stata più importante.
Ma quella tempesta di sensazioni fu spazzata via da un terribile pensiero.
L’irrazionalità e l’assurdità di quegli eventi gli gelò il sangue.
Mary lo aveva chiamato quella stessa mattina, e se le cose erano andate nel modo in cui le aveva raccontate Anne, beh, c’era una sola conclusione.
Mary lo aveva contattato almeno sei ore dopo la sua morte.

 

Copyright © 2008 Fabio Marchionni