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Highway 113

 

Il motore della vecchia Ford emetteva di continuo strani lamenti, il vetro insisteva ad appannarsi e dalle prese d’aria usciva soltanto aria fredda. Carl Bowden si era ripetuto decine di volte di far controllare l’impianto di riscaldamento della sua auto, ma il lavoro che faceva non gli permetteva di avere molto tempo libero, e tanto meno di acquistare una nuova auto. Aveva passato quasi tutta la sua vita con il naso immerso tra le pagine di libri e testi scientifici, o con il viso illuminato dalla luce di un monitor e nell’ultimo periodo la sua vita privata era stata di fatto rilegata a quei pochi momenti passati insieme ad Gyro, il suo gatto, che ora riposava tranquillo nella gabbietta poggiato sul sedile del passeggero.
Il dottor Bowden conduceva ricerche presso il dipartimento di fisica dell’università di Duluth, nel Minnesota. Dopo tanto tempo aveva avuto finalmente l’occasione di rilassarsi, e lo avrebbe fatto nel piccolo paese dove era nato, a Waubun.
Procedeva in direzione Nord sulla Highway 113 lungo le rive del Tulaby Lake con i fari accesi, mancavano circa una ventina di miglia per raggiungere Waubun. Passò la mano sul vetro appannato disegnando una mezza luna di goccioline sulla fredda superficie, mentre fuori i tergicristalli si muovevano simultaneamente emettendo i tipici suoni striduli. La neve continuava a cadere da diverse ore mentre le due casse dell’impianto radio diffondevano nell’abitacolo musica dal gusto rock. A causa di quella intensa nevicata sulla strada non erano più visibili le tracce delle altre auto, questo preoccupò Carl. Si domandò se la strada fosse stata chiusa per la troppa neve.
Carl sfilò una sigaretta dal pacchetto che estrasse dalla tasca interna della giacca, l’accese ed aspirò profondamente, una piccola nuvola di fumo fuggì dalla sua bocca e lui strizzò gli occhi. Il motore improvvisamente borbottò ancora. Guardò il cruscotto ma tutte le spie d’allarme erano spente. Sperò che la sua macchina non lo abbandonasse, la strada si faceva sempre più tortuosa, la foresta intorno a lui più fitta e il freddo pungente come le foglie di un cactus.
Diete una rapida occhiata all’orologio posto nel cruscotto, erano da poco passate le sette. Quel tempaccio lo aveva costretto a rallentare ed ormai aveva accumulato un bel po’ di ritardo sulla tabella di marcia.
Avrei dovuto dar retta alle previsioni meteo, pensò.
Il motore vibrò ancora ma questa volta si agitò così vigorosamente da farlo sobbalzare sul sedile, emise un ultimo sbuffo dalla marmitta e poi divenne preoccupatamene silenzioso. Le ruote tracciarono solchi nella neve morbida sino a quando, una volta che la macchina esaurì l’inerzia, smisero di avanzare arrestando il loro movimento sul ciglio della strada.
Carl provò con insistenza a riaccendere il motore, ma ad ogni tentativo corrispose un insuccesso.
“Merda.” Imprecò a voce alta.
Fare altri tentativi non aveva senso. Diede uno sguardo fuori ed ebbe la netta sensazione che la situazione meteorologica fosse peggiorata, i tergicristalli per quanto lavorassero velocemente non riuscivano a contrastare la troppa neve che si cadeva sul vetro. Li disattivò.
Sarei dovuto partire domani, se lo disse sbattendo con forza entrambi i pugni sul volante, il clacson dell’auto lanciò un grido che nessun altro all’infuori di Carl ed Gyro poterono sentire. Gyro disturbato da quel frastuono si svegliò e lanciò un debole miagolio verso Carl, poi chiuse gli occhi e riprese a dormire.
Il professore sopraffatto dal nervosismo si strinse nel cappotto, aprì lo sportello e scese dalla macchina. Guardò in entrambe le direzioni ma la forte nevicata e l’oscurità gli impedivano di vedere chiaramente una quindicina di metri oltre la sua posizione. Si chiese cosa stesse facendo lì fuori, buttò la sigaretta nella neve e rientrò in auto con le spalle e il capo bianchi come i peli del suo gatto e i piedi ridotti a due ghiaccioli.
Carl spense i fari mentre alla radio un tipo, a dispetto della sua situazione, pubblicizzò le spiagge bianche e calde dei Caraibi. Girò canale nella speranza di ascoltare notizie circa le previsione del tempo, ma dopo aver selezionato inutilmente tutte le frequenze spostò la manopola su off. Si trovò catapultato nel silenzio più totale, poteva quasi ascoltare la neve che cadeva copiosa sulla sua auto, mentre il vento freddo soffiava tra le ferite della vecchia carrozzeria producendo un inquietante canto; Gyro continuava a riposare indisturbato.
L’ultimo centro abitato che ricordava aver attraversato era quello posto nelle vicinanze del Tulaby Lake, ormai distante qualche miglio. Almeno per il momento scartò l’idea di mettersi in cammino sotto quella tempesta, era molto più saggio attendere il passaggio di un’auto.
Che freddo, pensò, mentre strofinò le mani l’una contro l’altra nel tentativo di scaldarle. L’orologio segnava le 19.32.
Con l’oscurità della notte il professore riusciva a malapena a scorgere la prima fila di alberi cresciuti lungo la strada, perlopiù grossi Pini Bianchi.
Ad un tratto qualcosa ruppe la quiete di quella fredda notte invernale.
Per Carl, che da piccolo aveva ascoltato molte volte quel rumore non vi erano dubbi, quello era un ululato di un lupo. La situazione poteva mettersi male, l’ululato sembrava tremendamente vicino. Gyro si svegliò ed iniziò ad agitarsi.
Il professore non era mai stato un amante della violenza tuttavia aveva sempre posseduto una pistola, un vecchio cimelio di famiglia acquistato da suo padre e conservato da lui più per motivi affettivi che per altri scopi.
Carl Aprì il bauletto dell’auto, la pistola era lì.
L’afferrò, sperando di non doverla utilizzare e controllò i proiettili presenti nel tamburo.
Soltanto due.
Beh, due era meglio che niente pensò, mentre il gatto miagolò nervosamente.
“Buono Gyro, buono.” Carl aprì la gabbietta prese il gatto e se lo portò in grembo. Iniziò ad accarezzarlo con una mano mentre nell’altra impugnava la pistola.
L’ululato cessò.
I momenti che seguirono furono per Carl terribili, pochi minuti durante i quali avrebbe preferito trovarsi in una di quelle calde spiagge dei Caraibi, lontano dal freddo e dal pericolo dei lupi. Improvvisamente Gyro rizzò i peli lungo la schiena insieme a quelli della coda, emise un grido acuto e poi scappò agilmente dalla prese di Carl spostandosi verso i sedili posteriori.
Qualcosa aveva impaurito il gatto. Carl accese le luci appena in tempo per scorgere nel cono dei fari una sagoma scomparire nell’oscurità. Ascoltò rumori provenienti da tutte le direzioni, evidentemente non c’era soltanto un lupo, ma un branco.
Sentì la neve cedere sotto i loro passi ed immaginò il loro respiro affannato riscaldare l’aria. Non riusciva a capire quanti fossero ma di sicuro erano più di due, anche se avesse colpito con estrema precisione due pallottole non sarebbero bastate.
Era in trappola.
I lupi iniziarono a girare famelici nelle vicinanze della macchina ma sempre evitando i fari.
Improvvisamente uno di loro, ritto sulle zampe posteriori, provò ad infrangere il finestrino del lato del guidatore spingendo con forza sulle zampe anteriori; il cuore di Carl prese a battere impazzito.
Doveva spaventarli senza però pregiudicare l’integrità dell’auto, sparare attraverso il finestrino non era una buona idea, avrebbe spazzato via un lupo si, ma agli altri avrebbero trovato la strada libera per entrare nell’abitacolo.
Cercò di pensare rapidamente, ma il raschiare delle grosse zampe contro il vetro della macchina di certo non lo aiutava. Si girò verso il lupo, il suo respiro si infrangeva contro il vetro, appannandolo. Vide fuoriuscire dalla sua bocca grosse quantità di saliva, poteva quasi sentirne l’odore, e poi notò che i suoi occhi avevano qualcosa di strano, le pupille erano completamente dilatate.
Potrebbe essere rabbia, ipotizzò.
Non è il momento di capire cosa ha spinto i lupi sin qui, piuttosto devo trovare un modo per…
Finalmente ebbe un’idea.
Infilò l’arma nella tasca del cappotto, accese la radio ed impostò il volume al massimo, poi iniziò a premere ripetutamente il clacson ed a urlare come un pazzo. I lupi si allontanarono velocemente, il bluff era stato convincente ed almeno per il momento era riuscito a liberarsi del branco. Ma sapeva che questa sarebbe stata soltanto una tregua e che presto i lupi sarebbero tornati sulle loro orme.
Quanto tempo aveva? Se lo chiese dopo aver spento la radio e smesso di picchiare energicamente il clacson. Il suo cuore tornò a battere normalmente.
“Gyro. Dove sei finito?” Lo trovò rannicchiato sotto ad uno dei sedili posteriori, provò ad afferrarlo, ma dovette desistere poiché l’animale sfuggì più volte alla sua presa.
Tornò con lo sguardo fisso sul parabrezza, l’intensa nevicata aveva ormai sepolto la macchina sotto ad un mantello di neve, pur avendo indossato guanti e cappello stava congelando. Di certo non poteva resistere a quella temperatura per tutta la notte, d’altro canto mettersi in cammino sotto la tormenta e con il pericolo di essere braccato dai lupi non era altrettanto invitante. Si trovava nella difficile situazione di scommettere sulla propria vita e su quella del suo amico Gyro.
L’orologio segnava le 22:27, nelle ultime due ore i lupi non si erano fatti vedere. Il suo corpo stava spendendo tutte le energie per sfuggire al congelamento, ormai stanco ed affamato lottava con estrema difficoltà contro la sonnolenza, con il terrore che se si fosse addormentato non sarebbe arrivato a vedere la luce dell’alba.
Non ho altra scelta, se non mi muovo rischio di morire congelato.
Decise così di percorre quelle poche miglia e affrontare la tormenta. Prese la gabbietta ed aprì lo sportello anteriore lacerando il mantello di neve che ricopriva la carrozzeria. Scese dalla macchina, i suoi piedi affondarono con estrema facilità nella morbida neve. Andò verso lo sportello posteriore agile come un pinguino sulla terra ferma, lo aprì. Vide Gyro rannicchiato sotto il sedile e visibilmente infreddolito, questa volta riuscì ad afferrarlo senza problemi e lo fece scivolare nella gabbietta. Poi aprì il portabagagli, e dalla valigia estrasse un suo maglione che utilizzò per ricoprire la gabbietta.
Si affrettò ad incamminarsi lungo la strada in direzione del lago, il vento che soffiava con forza rendeva tutto ancora più complicato. Era costretto ad avanzare con il capo chino e con lo sguardo fisso sull’alternarsi ipnotico dei suoi piedi. Poche miglia, soltanto due o forse tre, e tutto sarebbe finito per il meglio.
Camminò per una ventina di minuti e per tutto quel tempo il terrore di avvistare qualcosa alle sue spalle gli impedì di voltarsi indietro. Respirava con difficoltà ed ogni volta che inspirava aveva la sensazione che qualcosa gli raschiasse con forza i polmoni, aveva i pantaloni zuppi sino alle ginocchia e il viso contratto in una smorfia di dolore. La situazione non era delle migliori ma non doveva mollare. La strada ora era lieve salita e si incurvava verso destra, doveva fare molta attenzione a non scivolare, non era il momento adatto per rompersi una gamba. Se non ricordava male alla fine della salita avrebbe dovuto avvistare le prime case.
Ce l’ho quasi fatta, pensò.
Ma improvvisamente sentì Gyro agitarsi all’interno della gabbietta. Carl si fermò e sollevò un lembo di maglione, il gatto si comportava allo stesso modo di quando i lupi erano comparsi la prima volta.
Bowden si voltò e vide una macchia scura avvicinarsi velocemente. Iniziò a correre sulla neve indurita dal freddo della notte, ma non riusciva a procedere abbastanza velocemente, perdeva terreno.
Il forte vento disorientava il suo udito così da rendere l’inseguitore silenzioso come un fantasma. Sperò che si trattasse di un solo lupo, probabilmente poteva affrontarlo, ma se ci fosse stato un branco difficilmente avrebbe potuto avere la meglio.
Arrivò in cima alla salita con i polmoni in fiamme, il cuore impazzito, sfinito. Vide le transenne che bloccavano l’accesso alla strada. Ora era chiaro il motivo per cui non era riuscito ad incontrare altre auto, evidentemente l’accesso alla strada era stato bloccato poco dopo il suo passaggio.
I lupo erano talmente vicino che riuscì a sentire il suo ringhio, il suo respiro.
La pistola, Pensò.
Infilò una mano nella tasca del cappotto e cercò disperatamente di impugnarla, ma prima di riuscirci il lupo gli si avventò addosso facendogli perdere l’equilibrio. Cadde a terra perdendo la presa sulla gabbietta.
Il lupo continuò ad attaccare e riuscì a morderlo sull’avambraccio lacerando facilmente il tessuto del cappotto e quello del maglione. Carl sentì i denti dell’animale penetrare nella carne, non poté evitare di far cadere anche la pistola che sparì nella neve, ebbe il presentimento che per quella notte non avrebbe utilizzato proiettili.
Si divincolò, urlando e scalciando, con un colpo fortunato colpì il lupo, tramortendolo.
Altre ombre emersero dalla foresta.
Carl riuscì ad alzarsi e barcollando si diresse verso Gyro. Vide la gabbietta aperta.
Forse Gyro ce l’ha fatta, pensò.
Un istante dopo si ritrovò con la gola intrappolata in una morsa fatale. Gridò, ma il suo grido strozzato si spense nella notte.

 

 

Copyright © 2008 Fabio Marchionni

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