Il vento freddo mi costrinse ad alzare il colletto del cappotto, il cielo limpido e senza nuvole sembrava fosse stato da poco ridipinto come le pareti di una stanza pronta ad accogliere un maschietto appena nato.
Continuai a camminare accompagnato dal grattare della ghiaia sotto ai miei piedi, giunsi così davanti ad un enorme cancello in ferro incastonato tra due possenti colonne. Allungai una mano per afferrarlo ma il cancello iniziò ad aprirsi ancor prima che lo riuscissi a sfiorare. Rimasi fermo mentre si spalancò del tutto, e nel farlo non emise neanche un cigolio.
Mi accorsi dei numerosi cipressi che si ergevano attorno a me soltanto dopo che Eolo decise di scuoterli per bene, fu una folata così forte che fui costretto a tenermi ben stretto il cappotto. Oltre al cancello una scalinata di una ventina di gradini celava l’orizzonte alla mia vista. Iniziai a salire i gradini e dopo qualche istante giunsi alla sommità della scalinata. Il mio cuore ebbe l’idea di farsi una passeggiata sino alla gola e di mettersi a battere come un batterista impazzito.
Davanti ai miei occhi comparve una interminabile distesa di croci, di angeli pietrificati e di vecchie lapidi parzialmente nascoste dalla vegetazione troppo cresciuta. Mi domandai del perché mi trovassi in quel luogo ma non ne ricordai proprio il motivo.
Camminai in mezzo a quei sepolcri per istanti che sembrarono trascorrere veloci come millenni leggendo nomi, date e necrologi. Poi scorsi una donna nelle vicinanze di una enorme tomba, così grande da poter accogliere al suo interno i defunti di un’intera dinastia.
Mi fermai.
Lei entrò nella mia mente e tutto il resto sembrò sparire.
Sembrò non accorgersi della mia presenza. Non riuscii a vederla in viso poiché non era voltata verso di me, ma notai qualcosa di familiare in quei suoi capelli biondi che le scendevano morbidi sino alle spalle. Indossava un vestito bianco che sembrava esserle stato cucito addosso, la gonna le lasciava scoperte le gambe dal ginocchio in giù mentre le spalle erano protette unicamente da due piccole bretelle. Mi chiesi come facesse a sopportare quell’aria così gelida vestita in quel modo e quel pensiero mi provocò un brivido lungo la schiena, sentii freddo per lei. Ripresi a camminare mentre il desiderio di vederle il volto cresceva dentro di me ad ogni passo, ad ogni centimetro, ad ogni metro che compivo verso di lei.
La donna in bianco non si mosse per tutto il tempo rimanendo immobile come una dama dipinta in un quadro. Giunsi alle sue spalle mentre il vento le faceva muovere i capelli spostandoli da una spalla all’altra. I miei occhi furono catturati dal movimento dei suoi capelli, e poi, tra le ciocche bionde, riuscii ad intravedere una collana d’oro.
Allungai una mano e le toccai una spalla, risultò stranamente calda al contatto con i miei polpastrelli infreddoliti.
Lei non disse una parola. Si voltò lentamente mentre i miei occhi rimasero catturati da quel sottile filo d’oro che le scendeva lungo il collo, sino a lì, tra le morbide curve del suo seno. Quando finalmente si girò completamente il mio sguardo cadde sul piccolo pendaglio appeso al suo collo.
Iniziai a capire e fu doloroso.
Avevo già visto quel pendaglio, ne avevo regalato uno identico ad Evelyn per il suo ultimo compleanno. Il ricordo di quella giornata venne in superficie come una bolla d’aria rilasciata nelle profondità marine. E all’improvviso, come quando l’aria imprigionata in quella forma sferica torna finalmente libera, nella mia mente tornarono le immagini di vecchi ricordi.
Ricordai di come l’avevo crudelmente lasciata sulle spine per tutto il giorno, della splendida serata trascorsa insieme al ristorante ed in fine di quando, dopo cena, le consegnai il pacchetto.
Il cimitero sparì ed io tornai a vivere quel tragico momento.
“Dai, cosa aspetti? Aprilo.” Le dissi con il sorriso stampato in volto.
La guardai nei suoi occhi mentre lei guardava me, e mi persi.
“Sì.” Disse semplicemente mentre le sue mani iniziarono a scartare il pacchetto.
Tolse il nastro con facilità ed aprì la piccola scatola che conteneva il regalo. Sorrise di gioia ma non disse una parola.
“Allora? Ti piace?” Le domandai impaziente.
“Sì, è stupendo. Mi hai fatto aspettare per tutto il giorno, sei stato tremendo.”
“Beh, l’attesa ti ha ripagato, spero.”
“Oh amore, è davvero bello. Grazie.”
Mi avvicinai a lei e ci scambiammo un bacio. Le dissi che l’amavo e poi imprecai quando mi accorsi che la mia cravatta aveva avuto voglia di farsi un bagno nel bicchiere del vino.
“Guarda qua che mi sono combinato.” Dissi con rabbia con la cravatta poggiata sul palmo della mano.
“Non ti preoccupare… non roviniamo questa serata. Dai, mi aiuti ad indossarlo?”
Mi alzai e presi posto dietro di lei. Mi passò la collana e l’aiutai ad indossarla dopo che ebbe raccolto i capelli in una singola ciocca che spostò con entrambe le mani lungo una spalla.
La serata scivolò via rapidamente come spesso accade quando si vivono momenti di un evento a lungo atteso. Prendemmo i nostri cappotti, pagai il conto e ci dirigemmo verso l’uscita.
Soltanto quando uscimmo dal ristorante e vidi la città nascosta dietro una imponente pioggia mi accorsi di aver dimenticato l’ombrello all’interno del locale.
“Un momento Evelyn, ho dimenticato l’ombrello. Aspettami qui.” Le dissi.
“Vai, sbrigati.”
Quella fu l’ultima volta che ascoltai la sua voce.
Accadde tutto rapidamente ed ancora ad oggi non me ne faccio una ragione.
Rientrai nel locale, raggiunsi quello che era stato il nostro tavolo. Vidi l’ombrello proprio dove l’avevo lasciato poggiato al muro affianco alla sedia. Lo raggiunsi. Lo afferrai con una mano e il mondo attorno a me sembrò esplodere.
Ci fu un fragore assordante che coprì senza difficoltà il brusio della sala. Non capii subito cosa fosse accaduto ma poco dopo compresi che un’auto impazzita aveva mandato in frantumi la vetrata e che poi aveva spazzato via il bancone della reception come se fosse stato di cartone. Per istinto in quei lunghi istanti non avevo saputo fare altro che rimanere sdraiato a terra.
Dopo interminabili istanti mi alzai e corsi verso di lei, ma quando giunsi affianco alla macchina la vidi come mai avrei dovuto vederla, con il corpo straziato e senza vita.
E’ lei, pensai.
Sentii il sangue gelarsi nelle vene.
Alzai lo sguardo, lentamente. Riconobbi il suo mento, le sue labbra, il piccolo neo sulla guancia sinistra e i suoi occhi. La mia mente non riuscì a dare una spiegazione a quello che i miei sensi le suggerivano. Vederla ancora una volta davanti ai miei occhi era una sensazione stupenda, ma quello che stava accadendo era del tutto irrazionale.
Provai a parlarle ma lei poggiò delicatamente l’indice sulle mie labbra. Si avvicinò sino a che sentì il suo respiro riscaldarmi le labbra. Mi baciò. Assaporai il suo bacio ancora una volta, più di quanto avessi fatto quella sera al ristorante.
“Chiudi gli occhi.” Mi disse.
Ed io lo feci.
“Devo andare, aspetto ospiti.” Disse sussurrandomelo ad un orecchio. Non aggiunse altro e quando io riaprii gli occhi lei era svanita.
Gridai il suo nome una volta e continuai a farlo sino a quando mi sentii i polmoni in fiamme. Sembrava scomparsa nel nulla.
Il dolore mi fece piegare sulle ginocchia e le lacrime lubrificarono i miei occhi. Me le asciugai con il dorso delle mani, e quando furono di nuovo liberi mi accorsi che quella che si ergeva davanti a me era la sua lapide.
*
Poi tornai bruscamente alla realtà. Mi svegliai nel mio letto zuppo di sudore e con la sensazione che qualcuno credutomi un vampiro avesse piantato un paletto nel mio petto. Il dolore di averla persa tornò vivo e dirompente dentro di me e non potei contrastarlo, nuove lacrime inumidirono le mie guance.
Passai il resto della giornata cercando di dimenticare quell’incubo che mi aveva fatto rivivere il giorno della sua morte. Benché ci provassi con tutte le forze non potei evitare di ripensare alle sue parole, a quelle che mi aveva sussurrato in sogno. Mi chiesi se era possibile interpretarle in qualche modo, ma non ci riuscii.
Soltanto più tardi afferrai il vero significato di quella frase, ma in tutta quella storia non seppi comunque trovare un briciolo di logica.
Ero a cena in compagnia della tv sintonizzata sul notiziario. Ero intento a riempirmi lo stomaco con una bistecca quando il giornalista conduttore annunciò un servizio che riguardava il degrado dei cimiteri. Il servizio fu mandato in onda e catturò da subito la mia attenzione. L’inviato parlò delle condizioni fatiscenti del cimitero, della vegetazione lasciata crescere senza controllo, dell’assenza di una degna illuminazione e poi…
.. e poi durante il servizio la telecamera inquadrò per qualche istante la lapide di Evelyn e la sua frase riecheggiò nella mia mente ancora una volta: Devo andare, aspetto ospiti.
Copyright © 2009 Fabio Marchionni