Un lampo lacerò il cielo e per pochi istanti il paesaggio montuoso si tinse di azzurro. Anche la spada e l’armatura, che lo avevano accompagnato nelle numerose battaglie, emisero allo stesso modo riflessi bluastri.
Poi il cavaliere fu di nuovo immerso nelle tenebre e un boato si propagò nell’intera vallata. Il vento piegava le cime degli alberi facendoli sembrare sottili fili d’erba, la vegetazione bassa si agitava ancora più freneticamente producendo forti fruscii.
Era affaticato, ferito ed affamato. Affrontò la ripida salita utilizzando la sua spada come un vecchio il suo bastone, lo scontro era stato duro e forse le ferite lo avrebbero portato alla morte.
Aveva rincorso il suo nemico per molti anni, in lungo ed il largo nell’intero regno, sapeva che affrontarlo era stato da sempre il suo destino.
Il motivo della sua spasmodica sete di vendetta andava ricercata molti anni addietro, in quel terribile giorno quando la sua intera famiglia fu spazzata via, cancellata in un istante. Ricordava ancora il suo villaggio e il male tinto di rosso venuto dal cielo. Il fato lo aveva salvato ma allo stesso tempo lo aveva condannato a vivere nel ricordo e nel dolore. Era solo un ragazzo quando durante il suo undicesimo inverno ebbe luogo l’attacco. Nessun esercito alle porte del suo paese, nessun tiranno a rivendicare il potere su quelle terre, ma solo una creatura portatrice di male assoluto.
Il terreno era viscido e stanco di assorbire acqua che ingrigita scendeva con vigore lungo la superficie discontinua del terreno, al tempo stesso i passi del cavaliere si facevano sempre più pesanti, più lenti. Sentiva i suoi arti intorpiditi dal freddo mentre dalla manica del braccio sinistro, che teneva stretto al petto, fuoriuscì un rivolo di sangue caldo.
Era riuscito a fermare quell’attacco, ma il rovinoso impatto contro il suo scudo lo aveva scaraventato contro una parete della grotta, il braccio rimasto tra il suo corpo e la fredda pietra aveva avuto la peggio.
La spada si fece strada nel suolo fangoso ancora una volta, il cavaliere si appoggiò con parte del suo peso su quel sicuro appoggio, rimase per un attimo lì, nel tentativo di scrutare una qualche formazione naturale capace di proteggerlo dalla pioggia.
I picchi delle alte montagne che si innalzavano intorno alla vallata scomparendo nelle fitti nubi gli donarono una visione, quella del villaggio dove era cresciuto, incastonato in una valle molto simile a quella che si mostrava ora ai suoi occhi. In quel tempo Saìf viveva ad Arthern, uno dei più piccoli e sperduti villaggi della contea di Doneral; per un attimo riaffiorarono nella sua mente i ricordi dei genitori e dei suoi fratelli. Arthern era un posto tranquillo, circondato da folti foreste nei pressi della catena montuosa chiamata Lingua di Ghiaccio, sperduto ma non così tanto da poter sfuggire agli occhi del male.
Una fitta si fece strada lungo la gamba destra e l’intensità del dolore lo costrinse a piegare la gamba ferita, il ginocchio picchiò sul terreno, deformandolo. Aumentò la presa sull’elsa della spada che oscillò sotto il peso del suo corpo, riuscì a rialzarsi emettendo un ghigno di dolore. Ripensò a quanto fosse stata lunga la sua ricerca e di come arrivato davanti al suo nemico, gli eventi si fossero succeduti così rapidamente, una vita concentrata in una manciata di attimi.
Il piccolo Saìf fu l’unico superstite di quel disastro. Venne raccolto ed allevato da Lord Beldak, il signore del feudo che lo amò come un figlio naturale. Tra le mura della fortezza studiò con impegno, divenendo un abile guerriero e stratega. Suo padre adottivo privo di altri figli maschi riponeva in lui ogni speranza per il futuro del suo feudo, ma Saìf in realtà si era impegnato nella sua istruzione per un solo scopo, vendicare la morte della sua famiglia.
Tra la fitta pioggia Saìf avvistò del fumo, non poteva che trattarsi di una abitazione, pensò. Variò leggermente la sua direzione e puntò proprio verso quell’unica traccia che poteva condurlo alla salvezza. Giunse su un altopiano e da quella posizione riuscì a scorgere i lineamenti di una costruzione, aveva avuto ragione. Vagava sotto la pioggia da diverse ore, costretto a proseguire a piedi dopo la morte del suo cavallo. Ora era esausto ma la vista di quella casa gli iniettò nel corpo nuovo vigore, forse poteva farcela. Fu abbastanza vicino da distinguere una finestra e il bagliore del fuoco che ne usciva. Lanciò un grido disperato verso la costruzione ma proprio in quell’istante un boato del cielo sovrastò la sua voce. La gamba cedette ancora una volta e non poté evitare di cadere a terra picchiando con la spalla., parte della sua spada scomparve sotto l’acqua.
Il cavaliere lanciò un ultimo disperato grido mentre le sue palpebre si chiusero lentamente. Poi con la faccia rivolta verso il cielo, perse i sensi.
“Si sta svegliando.” Disse lui.
“Credi che ce la farà?” Gli domandò lei.
Arman e sua moglie Suel avevano raccolto l’uomo e lo avevano portato nella loro umile casa.
“Non lo so, ma è proprio ridotto male, chissà come si è procurato queste ferite.”
“Non ne ho idea, mai visto niente di simile”. Disse lei.
Gli avevano tolto l’armatura e lo avevano adagiato sul letto, ormai erano passate diverse ore da quando lo avevano soccorso. Suel aveva lavato le ferite ed aveva provveduto a fasciare quelle al braccio e alla gamba con delle bende. Fuori la pioggia aveva smesso di cadere e le nubi erano state spazzate via dal forte vento, la notte era fredda e stellata. Il cammino scaldava il piccolo ambiente e la luce che generava disegnava ombre che danzavano sulle pareti in legno, il fumo causato dal combustibile umido saliva su scomparendo dietro le pietre del comignolo.
“Dov… dove mi trovo?” Disse il cavaliere mentre tentò di rialzarsi, il dolore al braccio lo fece contrarre dolorosamente.
“Ora non ti muovere, hai bisogno di riposare.”
Arman alimentò il fuoco con un ciocco di legno mentre Suel aiutò l’uomo a rimettersi giù. Si accorse che aveva un filo di cuoio intorno al collo. Saìf richiuse gli occhi e riprese a dormire. Suel curiosa, afferrò il filo e lo tirò delicatamente, alla sua estremità era fissato uno strano ciondolo, assomigliava molto ad una goccia.
Arman e sua moglie consumarono il pasto, una zuppa di patate e carote accompagnata da un pezzo di pane che scaldarono sul fuoco.
“Da dove credi che venga?” Domandò Suel.
“Non lo so, deve aver fatto molta strada. In ogni caso il suo equipaggiamento mi fa pensare a qualcuno di importante.” Disse Arman buttando un’occhiata sulla spada che avevano recuperato insieme al suo possessore chiedendosi se non fosse pericoloso.
Suel annuì deglutendo un cucchiaio di zuppa. L’uomo iniziò a lamentarsi, ansimando.
“Cosa gli prende?” chiese Arman.
Suel si avvicinò all’uomo e gli toccò la fronte.
“Ha la febbre”
Suel bagnò una pezza con dell’acqua e la poggiò sulla sua fronte. I due cenarono ed andarono a dormire molto presto quella sera, l’indomani sarebbe stata un’altra dura giornata di lavoro. Ma il loro riposo fu ripetutamente disturbato dai lamenti dell’uomo. Durante la notte Suel si alzò più volte per bagnare la pezza.
Quella mattina la luce del sole filtrò attraverso la finestra e scaldò la guancia di Saìf che si svegliò, lì acconto c’era Suel mentre Arman era in piedi in mezzo alla stanza.
L’uomo girò il capo e la stoffa umida cadde sul letto. Aprì gli occhi, ma la luce era troppo fastidiosa, così con una mano fece ombra sul suo viso. Si sentiva decisamente meglio, il suo stomaco protestò. Arman aveva aspettato che si svegliasse, aveva del lavoro da fare ma ancora non si fidava di quell’individuo, non voleva di certo lasciare sua moglie in compagnia di uno sconosciuto, anche se ridotto in quello stato.
“Eccoti qua, sono contenta che ce l’hai fatta. Non ti preoccupare Arman , vai pure.” Disse Suel.
“Come ti chiami?” Domandò Arman all’uomo avvicinandosi al letto.
“Il mio nome è Saìf nato ad Arthern all’ombra della Lingua di Ghiaccio…” Una fitta di dolore alla gamba spezzò la sua voce, poi continuò a parlare.
“…nel Doneral. Sono figlio adottivo di Lord Beldak signore di quelle terre. ”
Arman non rimase stupito, come aveva intuito era davvero qualcuno di importate.
“Non conosco quelle terre, ma ti credo sulla parola, vedi di non far del male a mia moglie, altrimenti io…”
“Arman davvero, vai tranquillo.” lo rassicurò Suel.
Arman ancora con il dubbio stampato sul volto, prese i suoi arnesi ed uscì a lavorare la terra.
Suel scaldò un po’ di zuppa della sera precedente, Saìf consumò avidamente l’intera porzione. Quando ebbe finito di mangiare Suel lo invitò a distendersi, la febbre era passata e questo era senz’altro positivo, ma non era ancora in ottime condizioni. Gli cambiò le bende e pulì le ferite che non mostravano nessun segno di infezione.
“Grazie.” Disse Saìf quando Suel ebbe finito la medicazione.
“Di niente, è raro incontrare qualcuno qui intorno, e poi nelle tue condizioni…”
“Dove ci troviamo?”
“Siamo nella contea di Schiam, il più vicino villaggio si trova a circa cinque di miglia ad Ovest, si chiama Pontelungo. Come ti sei procurato queste ferite?”
“Non so se mi crederesti.”
“Mettimi alla prova.” Disse Suel.
Saìf guardò Suel e si rese conto di quanto fossero delicati i suoi lineamenti, a corte avrebbe fatto morire di invidia le altre donne.
“Mi sono scontrato con… una creatura, un drago.”
“Hai davvero affrontato un drago?” Gli chiese Suel meravigliata che Saìf fosse sopravvissuto a quel duello.
“Si. Dovevo tentare di vendicare la morte della mia famiglia.” La sua mente vagò tra i ricordi, il dolore invase il suo cuore.
Suel immaginò quali oscuri pensieri riempivano la mente di Saìf, sapeva bene cosa poteva significare perdere i propri cari, anche lei aveva perso i suoi genitori troppo presto.
“Ho visto il tuo ciondolo.” Disse Suel, l’espressione di Saìf mutò immediatamente, ci giocò con i polpastrelli.
“E’ davvero bello, deve significare qualcosa di importante per te.” Dedusse Suel.
“Si, dici bene. In realtà non è un amuleto, è una Goccia di Luce.”
“Avevo notato la somiglianza con un goccia, ma perché di luce?” Domandò incuriosita.
“Beh, vedi…viene chiamata in questo modo perché questa… è una goccia di lacrima di drago.”
Suel fu disorientata da quelle parole. Perché quell’uomo doveva conservare una lacrima di drago dopo aver vissuto quella terribile esperienza?
“Lo so, ti starai senz’altro domandando perché me la tengo così stretta. Ho rincorso quella creatura per anni, setacciando decine di contee, ero sempre sulle sue tracce ma continuavo a mancarlo. Dopo tante ricerche riuscii ad individuare con esattezza la grotta in cui si nascondeva, così lo raggiunsi. Era giorno, ma la luce nella grotta sembrava non voler entrare, era così buia. Mi feci coraggio e ne varcai l’ingresso dopo aver lasciato il mio cavallo. Il buio si fece così denso che dovetti proseguire tastando la parete, ma poco più avanti una piccola apertura nella volta illuminò, se pur poco, la grotta.”
“Il drago era lì?” Volle sapere Suel completamente catturata dal racconto.
“Si, era lì. Il suo respiro regolare era accompagnato dal movimento del suo enorme addome, le sua pelle squamosa aveva tutti i colori del tramonto. Era una creatura affascinante, ma guidato dal mio odio usai la mia balestra colpendolo di sorpresa. Lo ferii soltanto e da lì lo scontro si fece duro.”
“Ma te la cavasti, altrimenti non saresti qui a raccontarlo!”.
“Hai ragione. Sino a quel momento l’odio era stato un fedele compagno della mia vita, ma quando mi accorsi di quello che avevo fatto, parte dell’odio lasciò il posto al rimorso.”
“Il rimorso di aver ucciso quella bestia, ma…”
“No. Non aggiungere altro, ti prego. Tu non sai.”
“Cosa?”
“Il drago morì, si. Ma mi accorsi solo dopo che quella creatura era una madre.”
“Aveva dei piccoli?” Chiese Suel.
“Delle uova, che aveva protetto sino alla fine. Poco prima di morire quella creatura pianse. E la sicurezza che avevo avuto sino a quel momento, vacillò. L’uomo è la più mostruosa delle creature, è sempre pronto a rispondere al male con altro male.”
“Hai raccolto una delle sue lacrime…” Suel profondamente commossa non riuscì a dire altro. L’anima dell’uomo che aveva accolto e curato doveva essere in balia di forti emozioni.
“Ma tu non potevi saperlo.” Lo rincuorò Suel.
Saìf perso nei suoi pensieri sembrava non aver sentito quelle parole, continuò a rimanere con lo sguardo fisso nel vuoto.
“Il fato si è preso gioco ancora una volta di me.”
Suel tornò a guardare il ciondolo che il cavaliere stringeva ancora tra le sue dita mentre le sue guance furono attraversate da calde lacrime. Sfiorò con la sua mano quella del cavaliere e la Goccia di Luce cambiò. Iniziò ad emettere da prima una debole radiazione luminosa, poi l’intera stanza fu inondata dai raggi di luce che provenivano dal ciondolo.
Suel sentì il calore di quei raggi sulla propria pelle, l’intensità del bagliore la costrinse a chiedere gli occhi. Quando li riaprì, rabbrividì. Saìf era scomparso. Tra le coperte avvistò la piccola pietra che sino a poco prima risplendeva di luce propria ed ora era completamente opaca. Suel prese il cordoncino di cuoio e se lo legò al collo. Piangendo si ripromise che non avrebbe mai dimenticato Saìf e la sua storia.