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Ancora una vasca

Ancora una vasca. E’ quello che continuo a ripetermi da circa un’ora. Gli allenamenti sembrano non avere mai termine. Sino a allo scorso mese ho fatto sempre e solo nuoto libero, con le mie pause, la mia andatura, qui è tutta un’altra storia. Non mi sarei mai immaginato quanto sarebbero stati duri gli allenamenti, non avevo mai provato ad allenarmi a questi ritmi.
Ora, immerso in questo liquido trasparente tinto di un lieve bluastro donatogli dal colore delle piastrelle, mi domando se sopravviverò o se mi prenderà un infarto anche dopo aver sostenuto questo stesso pomeriggio la visita agonistica. Il medico ha eseguito tutti i controlli previsti per il tesseramento, credo proprio che se ripetesse ora l’elettrocardiogramma, il grafico prodotto somiglierebbe molto ad un quadro futurista. Ho il cuore che batte così forte che il suo ritmo mi preme sulle tempie.
Sento l’acqua scorrere lungo il mio corpo; le braccia, le spalle, le gambe, tutti i miei muscoli sono indolenziti dal lavoro ai quali sono sottoposti. A volte mi chiedo se la mia sia stata una scelta sensata, ripensandoci non ricordo di averla presa con una pistola puntata sulla fronte.
Porto un braccio fuori dall’acqua e prendo un bel respiro, devo cercare di mettere in pratica i suggerimenti dell’allenatrice, devo allungarmi. Sposto il braccio davanti alla testa, continuo a ripetermi di stare attendo alla mano, alla forma che assume. Sento la mie dita unite a paletta perforare la superficie dell’acqua, dopo un movimento ad S sotto il mio petto, riporto il braccio fuori. Altre due bracciate, e poi un altro respiro.
Lo stile libero mi piace, è un movimento che mi viene naturale, mi rendo conto che la mia tecnica è sgraziata come i movimenti di un rapper in un balletto di musica classica, ma sono qui anche per questo. Le gambe cavolo! A volte è come se non ce le avessi, le uso soltanto quando me le ricordo, e poi fanno male, un male boia.
Sotto di me continuo a vedere scorrere le piastrelle che ricoprono il fondo della piscina, il problema è che si spostano con la stessa rapidità di una lumaca che se la prende comoda.
Ok, ci sono. Questa vasca è quasi finita, ma non ho idea di quante ancora ne manchino, posso starci attento quanto mi pare ma alla fine perdo sempre il conto. Quante ne avrò fatte sino ad ora?
Forse una un centinaio in tutto, ma forse è la stanchezza del mio corpo che me ne suggerisce un numero così alto, realisticamente parlando ne avrò fatte la metà.
Sono vicino al muro. Decido che non è il caso di tentare una virata potrei rischiare un annegamento, così mi appoggio con una mano sulla parete, richiamo le gambe sotto di me ruotando il busto e porto i piedi a contatto con il muro. Spinta, se così posso chiamarla, e di nuovo a mulinare bracciate. Aiutatemi!
No, non devo assolutamente arrendermi. Respiro, bracciate, respiro ed ancora altre bracciate. Ho la sensazione di stare a mollo da un giorno intero, presto la mia pelle diventerà così grinzosa da somigliare a quella di un vecchio di novant’anni.
Continuo ad arrancare sulla superficie dell’acqua ancora per qualche vasca, mi sento come se stessi trascinando sul fondo una palla da bowling.
Penso che questa dovrebbe essere l’ultima vasca, il primo della fila si è fermato sotto ai blocchi di partenza, un ultimo sforzo e avrò qualche minuto per recuperare, anche se a me servirebbe almeno un’ora.
Raggiungo il punto di partenza e mi aggrego agli altri, mi arpiono al bordo vasca deciso a non mollarlo, poggio la testa sopra le braccia incrociate mentre i miei polmoni fanno muovere il mio petto su e giù spasmodicamente.
La voce dell’allenatrice, potente a dispetto della sua giovane età, giunge ovattata alle mie orecchie piene d’acqua; prima o poi dovrò decidermi a comprare dei tappi. A dispetto della stagione e della temperatura dell’impianto, lei indossa un costume intero e un paio di calzoncini, il rumore delle sue ciabatte sottolineano i suoi passi.
Si avvicina verso di noi minacciosamente, mi accorgo che stringe tra le mani il nemico di tutti i velocisti, il cronometro. Ci indica i le modalità e i tempi per i prossimi esercizi riuscendo a sovrastare con la sua voce i rumori provenienti dalle altre corsie, ci ordina di eseguire degli scatti di venticinque metri con recupero di qualche secondo tra uno scatto e l’altro, questa volta saranno solo otto vasche, ma io già mi sento male.
A poco a poco recupero la normale frequenza respiratoria, c’è addirittura il tempo per fare qualche risata insieme ai ragazzi del gruppo. Mi sono aggiunto alla squadra solo di recente, mentre il gruppo già lavora insieme da un paio di mesi, non mi preoccupa il fatto di legare nuove amicizie, la mia vera difficoltà sarà quella di ricordare tutti i loro nomi, in questo sono un vero disastro.
Ok, si parte. Il primo, poi il secondo ed ora tocca a me. Questa volta la spinta con le gambe risulta essere molto più efficace, emergo dalla fase subacquea ed inizio a nuotare a stile. Dopo pochi minuti di pausa i miei muscoli sono di nuovo in grado di spostare il mio peso, anche se ho il sospetto che durerà ben poco.
Sono alla terza vasca, ancora riesco a muovermi con uno stile decente, questo infatti peggiora quanto maggiore è la mia stanchezza.
Alla quinta vasca le mie condizioni sono anche peggiori del previsto, riesco a malapena a respirare, le braccia mi pesano come due mattoni, il mio movimento non è più fluido come prima, penso che all’ottava non ci arriverò mai.
Ma qualcosa scatta dentro di me, il mio pensiero si trasferisce altrove. Tra un mese circa ci sarà un evento al quale credo parteciperò, sarà la mia prima gara, la mia prima occasione di confrontarmi e cogliere i risultati di questo impegnativo allenamento.
Così inizio la quinta vasca tenendo sotto controllo la distanza con il ragazzo che mi precede, tenterò di stargli attaccato con tutte le mie forze, con tutto l’impegno che riuscirò a metterci, ma la schiuma prodotta dal movimento delle sue gambe continua ad allontanarsi, inesorabilmente.
Tento di intensificare la spinta delle mie braccia, ho le spalle in fiamme, il cuore di nuovo pompa come un matto e i muscoli delle gambe sono in costante pericolo di crampi.
L’ultima vasca la inizio dando il massimo, magari a metà mi ritroverò le gambe staccate dal resto del corpo, ma non posso e non devo fermarmi.
Ecco, ora ci sono, ancora qualche metro e poi…
Finalmente raggiungo il bordo piscina. Tiro fuori la testa dall’acqua e i miei polmoni iniziano a prendere ossigeno più di quanto ne possano contenere, inspiro ed espiro aria così intensamente che non riesco a sentire null’altro intorno a me.
E così la lezione è finita, i ragazzi escono dall’acqua uno ad uno con i loro costumi bagnati, le cuffie e i loro occhialetti che mostrano ancora numerose goccioline sui vetri appannati.
Rimango fermo lì a bordo vasca ancora per qualche secondo, poi anche io come loro esco e mi dirigo barcollando neanche fossi ubriaco verso il mio accappatoio. Infilo le mie braccia nelle maniche mostrando una smorfia di dolore in viso, ho le braccia a pezzi. Mi tolgo la cuffia e gli occhialetti che inserisco nelle due tasche e giro il mio sguardo verso il corridoio che porta agli spogliatoi, mi accorgo che la strada non mi era mai sembrata così lunga. Ho davvero bisogno di una bella doccia.
Mi soffermo a guardare la piscina mentre i miei compagni scompaiono dietro l’angolo con i loro accappatoi colorati, l’acqua è ferma, immobile.
Penso alle gare e a quanto sono vicine. Ancora un mese, poche settimane e poi dovrò tuffarmi da uno di quei blocchi insieme ad altri nuotatori pronti a dare battaglia. Non andrò di certo lì per vincere una medaglia o un premio, ma sfiderò me stesso con tutto l’impegno che ci potrò mettere e con l’intento di migliorarmi, sempre.
Lascio la piscina stringendomi nel mio accappatoio, sento freddo. Allontanandomi penso all’acqua che rimarrà immobile per qualche ora, sino a quando non sarà spezzata da qualcuno che vi entrerà, che inizierà a nuotare, per una vasca e poi ancora una.

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