Category: Horror


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Ora non sono più solo

Corse veloce più di quanto avesse mai fatto. Svoltò diverse volte, sino a quando i rumori della strada principale non scomparvero. Poi si fermò.
Un cane era impegnato a cercare cibo nei cassonetti. Al suo arrivo scappò via con la coda in mezzo alle gambe emettendo un acuto guaito.
Allan si toccò la fronte, della ferita non c’era più traccia, la nuova vita era piena di sorprese, pensò. I suoi pensieri furono bruscamente interrotti da uno strano sibilo, si voltò. Vide una figura completamente avvolta nell’oscurità, aveva uno strano oggetto tra le mani, non riusciva ad identificarlo. Il sibilo diveniva sempre più acuto e vicino.
Quel rumore era prodotto da qualcosa che stava viaggiando verso di lui.
Ma da cosa?
Poi lo vide. Viaggiava a mezz’aria in direzione del suo cuore.

Scott era in cerca di lavoro per quella notte.
Molto tempo prima era stato un buon poliziotto, ma quella era storia passata. Era stato buttato fuori dal dipartimento a calci in culo, dopo dieci anni di onorato servizio. Il capitano lo aveva protetto, ma non aveva avuto altra scelta che congedarlo. Aveva ucciso una donna, di questo non si era mai pentito. Ovviamente la versione ufficiale era stata un’altra.
Stava camminando lungo il marciapiede, nei pressi della Grand Central Station quando sentì il frastuono prodotto da una frenata. Vide una macchina sbandare e picchiare contro il muro, fortunatamente senza coinvolgere passanti. Incuriosito, attraversò la strada e raggiunse il veicolo, altri lo imitarono.
I fari ancora accesi dell’auto proiettavano sul muro due grossi cerchi di luce, la Buick emetteva fumo dal motore. L’uomo al volante aveva un grosso taglio sulla fronte, sembrava stordito, ma cosciente. L’uomo scese dalla macchina, lo vide mentre guardava i sedili posteriori, come se stesse cercando qualcuno, ma l’abitacolo era vuoto.
Quel comportamento gli parve davvero strano. Lo guardò meglio e notò un particolare che altri non potevano spiegare, la sua ferita si stava richiudendo a poco a poco. Forse, almeno per quella notte, aveva trovato lavoro. Scott iniziò a cacciare vampiri dopo essersi imbattuto nel primo, la donna che aveva ucciso, che gli aveva fatto perdere il lavoro.
L’uomo scappò.
Scott lo inseguì, quel vampiro era troppo impegnato nella fuga per preoccuparsi di lui. Correva troppo forte per le sue gambe, lo perse di vista dopo un paio di svolte. Poi, forse il lamento di un cane, lo aiutò ad individuarlo.
Lo vide fermo, li, in mezzo al vicolo. Sfilò da sotto l’impermeabile i pezzi della sua piccola balestra, che aveva imparato a montare con notevole velocità. Caricò un dardo e lo incoccò.

Allan si spostò rapidamente, ma non riuscì ad evitare il dardo che si conficcò in una spalla. Cadde a terra e picchiò duramente la schiena sbilanciato sul lato colpito dal dardo. Sentì un altro sibilo, il secondo dardo lo colpì mentre provava a rialzarsi, gli si conficcò nella coscia con la stessa facilità con cui un ago penetra nella pelle. Il terzo suono fu strozzato a metà strada.
Alla sentì qualcuno gridare.
“Tu…” Scott non disse altro.
Allan ebbe il tempo di rimettersi in piedi, lo vide, colui che sedeva nella sua auto, ora lo aveva salvato bloccando il terzo paletto.
“Ma voi umani non imparate mai…” Disse l’oscura figura che si era inserita tra lui e il cacciatore.
Scott tentò di ricaricare la sua balestra, ma il vampiro comparve ad un centimetro dalle sua testa, troppo velocemente. Afferrò la sua arma e la ridusse in frantumi, mentre con l’altra mano gli strinse il collo all’altezza della giugulare in una stretta mortale. Il flusso di sangue aveva difficoltà a giungere al cervello, stava perdendo i sensi, mentre le sue gambe si divincolavano nell’aria a mezzo metro dal terreno.
Scott cercò disperatamente il coltello che teneva dietro alla schiena, aveva ancora poco tempo. Lo trovò. Lo sfilò dalla fondina di pelle, in un solo colpo recise la carotide al vampiro che lo lasciò cadere a terra. Il vampiro urlò, mentre dal suo collo fuoriusciva un getto di sangue, sangue che un tempo era appartenuto alle sue vittime.
“Fottiti.” Disse Scott con voce smorzata per via della poca aria presente nei suoi polmoni. La sua arma era inservibile.
Devo piantargli un paletto…presto. Pensò Scott che non ebbe il tempo di agire.
Allan non era ancora capace di muoversi alla stessa velocità del vampiro più anziano, ma fu comunque rapido e aggredì Scott alle spalle. Gli affondò i canini nella carne, bevve e saziò la sua fame. Il corpo di Scott cadde senza vita sul duro asfalto.
“Vieni qui…fratello mio.” Disse il vampiro con la gola squarciata.
Allan si avvicinò a lui.
L’anziano vampiro parlò con voce rauca: “Non…ti preoccupare…sto già guarendo.”
Allan vide il suo taglio richiudersi più velocemente di quanto non avesse fatto il suo. La sua voce tornò potente come prima.
“Ora non sono più solo”

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Una fame insaziabile

Non sapeva esattamente cosa era accaduto quella sera, non riusciva ancora a comprenderlo. Ma aveva capito che la sua umanità era stata spazzata via, era divenuto una creatura con l’anima maledetta, ora era un vampiro.
Forse le descrizioni dei vampiri date da film e libri non corrispondevano alla realtà, Allan non volle sperimentare il contrario sulla propria pelle, non era il caso. Così aspettò la notte. Sapeva di certo un’altra cosa, doveva essere stato un altro vampiro a crearlo, trovarlo poteva voler dire trovare una guida, un maestro.
Da quanto era rinato il suo aspetto fisico era decisamente migliorato, i muscoli erano aumentati di volume e ben definiti, mostrava sicuramente meno anni di quelli che aveva. La mente doveva abituarsi a quel nuovo corpo, doveva conoscere le sue nuove potenzialità, Allan le avrebbe scoperte con il tempo.
Si vestì ed uscì di casa. Si accorse, come immaginava, che la luce artificiale non era dannosa. Aveva fame, una fame che non aveva mai conosciuto.
Abitava nel quartiere di Tribeca in Leonard St, molto vicino al più famoso quartiere Chinatown. Cacciare vicino casa non gli parve una buona idea, così decise di spostarsi con la sua auto verso quartieri più malfamati dove sarebbe stato più semplice avvicinare qualcuno.
Uscì dal palazzo, alzò il capo e incrociò lo sguardo di una signora anziana affacciata da una finestra della costruzione di fronte, vedendolo si ritrasse nel suo appartamento. Due ragazzi di colore passarono proprio davanti a lui, con la loro caratteristica andatura molleggiante e i loro abiti da Rapper, sentì i canini crescere e allungarsi, aveva voglio di affondarli nella loro pelle, di bere. Poi si controllò.
Montò sulla sua macchina, una Buick Century di seconda mano acquistata per poco più di seimila dollari. Era posteggiata lungo il marciapiede, montò ed accese il motore. Allan si gettò nel traffico con la sua Buick nera, uscendo dal parcheggio così rapidamente da scatenare l’ira di un guidatore che sopraggiungeva dietro di lui. Il clacson del veicolo, che per poco non lo travolgeva, gridò.
Era impaziente di scoprire il gusto di bere il sangue umano, pensò al più dolce dei vini, al più succulento piatto che aveva mai mangiato quando era ancora in vita, ma era sicuro che il sangue sarebbe stato unico, al di fuori di ogni paragone.
Accese la radio, una stazione stava trasmettendo “Confessions on a Dance Floor”, alzò il volume, adorava ascoltare Madonna. Mentre guidava tra le strade di New York, percepì una strana sensazione, sfuggente. Guardò lo specchietto retrovisore, e vide qualcuno.
“E tu chi sei?” Disse alla strana figura che era comparsa improvvisamente sul sedile posteriore.
“Colui che ti ha fatto.” Rispose. “Attento a dove vai, potresti uccidere qualcuno…” aggiunse sogghignando.
Allan tornò a guardare la strada, ma ormai era troppo tardi. Sterzò bruscamente, ma quella manovra servì solo ad evitare la macchina che lo precedeva, le ruote lasciarono la loro firma sull’asfalto, l’impatto con il muro fu disastroso, la macchina andò a picchiare di muso e le lamiere si aggrovigliarono attorno al motore. Allan picchiò con la testa sul parabrezza, le spaccature nel vetro divennero molto simili ad una ragnatela sviluppata attorno al punto di impatto. Il collo venne proiettato all’indietro, un essere umano se lo sarebbe spezzato, picchiò con il capo contro il poggiatesta. Il veicolo si arrestò, dal cofano si innalzò fumo bianco.
Allan si rese conto che se fosse stato ancora vivo ci avrebbe quasi sicuramente lasciato la pelle, aveva avuto un altro incidente con la macchina, beh, era stato più che altro un tamponamento. Quella sera si era completamente disinteressato della strada, attratto dalla bellezza delle sue gambe, quelle di Elisabeth.
Scese dall’auto frastornato, sulla fronte aveva un taglio che sgorgava sangue. Intorno a lui si formò una piccola folla. Guardò nell’auto, cercando quello strano individuo che era comparso improvvisamente, ma era svanito altrettanta rapidità.
“Ma è ancora vivo! ” esclamò un ragazzo.
“Si sente bene?” disse una donna.
“Si …è che…” Non aggiunse altro.
Si portò la mano in volto, toccò la ferita e sentì il sangue denso e freddo sotto i suoi polpastrelli. Il grosso taglio che si era procurato iniziò a richiudersi. Allan sentiva la pelle tirare, mentre il flusso di sangue diminuiva. Doveva andarsene di li, e alla svelta. Si fece spazio tra la calca spingendo, scappò. Imboccò strade secondarie cercando rifugio nelle tenebre. Qualcuno lo seguì.

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Uno strano risveglio

Entrò in casa, l’oscurità riempiva il piccolo appartamento in cui viveva. Cercò l’interruttore della luce, lo azionò. Fece scivolare le chiavi all’interno della tasca del suo impermeabile che appese sull’appendiabiti. La casa era vuota come lo era stata ogni sera, da quando si era lasciato con Elisabeth. Allan andò in salotto e si diresse verso il minibar, in realtà un vecchio mobile per grammofono unico cimelio familiare che possedeva, e si preparò un drink. Lo mandò giù con la stessa rapidità con cui una biglia cade da un piano inclinato. Andò in cucina, sbirciò nel frigo. Era in evidente stato di abbandono, l’odore del formaggio ammuffito lo convinse ad ordinare la cena in pronta consegna.
Cinese anche questa sera. Pensò mentre richiuse il frigo.
Così un’ora più tardi si ritrovò a consumare degli involtini primavera di fronte al suo televisore sintonizzato su ESPN, i Mavs di Dallas si giocavano la finale NBA contro Heat di Miami. Seguì la partita sino alla fine del terzo quarto, poi la voglia di alcol tornò. Si preparò un altro Scotch, l’alcol investì il suo corpo di un improvviso calore. La stanchezza, unita all’alcol lo fece addormentare sul divano.

Allan si svegliò, con difficoltà aprì gli occhi. Non ricordava di essersi spostato sul letto, tantomeno di essersi tolto i vestiti. Sentì i rumori della città attraverso la finestra aperta, i rumori in strada gli fecero intuire che doveva essere tarda mattinata. I postumi sembravano quelli di una brutta sbronza, ma non ricordava di aver bevuto eccessivamente. Girò lo sguardo verso la finestra, la tenda si gonfiava e si agitava come una vela sotto la spinta del vento, incrociò i raggi del sole che penetravano nella stanza e chiuse gli occhi. La luce era insolitamente forte, guardandola gli fece emergere una emicrania. Chiuse la finestra, la camera sprofondò nella penombra, il resto della casa già lo era, il mal di testa si attenuò.
Ma che mi sono scolato ieri sera, questa è anche peggio della sbornia presa nell’ultimo anno di liceo.
Si infilò i jeans ed andò in cucina. Aveva fame, non ricordava di essersi mai svegliato con quella voglia di mangiare, così forte da avere i crampi. Aprì gli sportelli della dispensa, ma il loro stato era ancora più preoccupante di quello del frigo.
Devo decidermi di fare un po’ di spesa. Mi toccherà fare colazione fuori. Pensò, ma si accorse che la sua era una strana fame. Non desiderava né caffè né altro, non riusciva a capire. Andò a spegnere il televisore, rimasto acceso dalla sera prima, con Elisabeth in casa non sarebbe mai successo. Ora, con le finestre chiuse e la tv spenta, il silenzio riempì l’intera casa. Tornò in camera da letto, prese una maglietta che indossò. Buttò uno sguardo sulla radiosveglia, uno di quei giocattoli collegati via radio che indicava sempre l’ora esatta, per rendersi conto di quanto fosse tardi. Ma la vera sorpresa non fu scoprire l’ora esatta, ma la data.
“Non è possibile” Quasi gridò. Prese in mano la sveglia e l’agitò come se bastasse a farle cambiare idea sul tempo trascorso. L’orologio indicava le 18:45, ma del giorno sbagliato. Non aveva dormito a lungo, era praticamente andato in letargo. Il suo riposo era durato ben cinque notti.
“A quest’ora dovrei essere morto!” Dedusse, visto che era stato senza bere per così tanto tempo. Morto. Quella parola riecheggiò nella sua mente come un eco nel Grand Canyon. A quel pensiero andò a cercare il battito del cuore, ma il suo corpo rispose con il silenzio.
“Sto sognando, è un incubo!” Non aveva altra spiegazione.
Andò allo specchio si accorse di come era cambiato. La sua pelle era bianca, pallida, e i suoi occhi una volta castani erano diventati di un verde brillante, i pochi capelli bianchi che aveva, erano scomparsi. Il collo gli faceva male, lo sentiva indolenzito. Lo ruotò sino a quando non vide nella sua immagine riflessa i segni di due piccoli fori. Ci passò sopra i polpastrelli, doveva essere uscito del sangue, ma non c’era traccia di fluido coagulato. La fame si fece sentire più intensa, si sentiva completamente vuoto. Poi, capì di cosa aveva veramente bisogno. Aveva sete, sete di liquido rosso, non di vino, ma di sangue.