Archive for agosto, 2012


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(continua)
“Ecco qui tracce di qualche caposquadra desideroso di far sapere di aver contribuito alla gloria del suo Faraone.” sorrise.
L’ambiente era largo più di due metri ma piuttosto basso; sufficiente, però, per starvi in posizione eretta. Qui si fermò e sollevò la torcia sul capo, poi la infilò tra due sporgenze della parete. La luce, tremula e fumosa, invase l’ambiente, illuminandogli il volto e proiettando la sua figura contro la parete. Saldo sulle gambe, il fisico risaltò in tutta la sua prestanza. Era alto, i fianchi stretti e le spalle atletiche. Al collo portava l’ampio collare degli studenti del Tempio di Ptha.
Sollevò la stuoia e con amorevoli gesti l’appoggiò alla parete occidentale della stanza poi tirò da sotto il perizoma un rotolo di
papiro che accostò alla stuoia: il Libro delle He-kau, il lasciapassare per attraversare l’Aldilà.
“Questo, o mio buon maestro, aiuterà il tuo Ka a trovare la strada per raggiungere il tuo signore, il faraone Khufu. Ti aiuterà a fargli sapere che sei degno di vivere alla sua ombra e ti condurrà sano e salvo fino alla Sala del Giudizio di Osiride.”
“Salute a te, Horo dei Due Orizzonti. – cominciò a pregare –
Salute a te, Anubi, Signore della Conservazione.”

brano tratto dal libro DJOSER e lo Scettro di Anubi
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… nei sotterranei della Piramide…

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. Di corsa attraversò il pavimento lastricato del cortile e raggiunse un punto preciso dell’immensa costruzione. Con gesti rapidi, sempre protetto dall’oscurità, si fermò ad armeggiare intorno ad uno dei lastroni di rivestimento esterno della Piramide.
“Proprio qui dietro – pensò sottovoce – dovrebbe trovarsi una di quelle saracinesche che l’architetto NiuserKa ha fatto rinforzare con serramenti di pietra e legno per tenere lontano i ladri.”
NiuserKa, amico di suo padre, era anch’egli un architetto di Ptha. “Povero Niuserka! – sospirò – Se sapesse che proprio il suo discepolo più fidato è stato sorpreso fuori dal cantiere con in
mano i segreti della Piramide del suo Faraone!”
Quei lastroni di durissima pietra erano inviolabili perfino per le attrezzature di cui disponevano i ladri, ma il ragazzo sapeva che si poteva fare affidamento su operai corrotti e preti miscredenti. I ladri sapevano sempre dove scavare e quali vie percorrere per raggiungere tesori nascosti.
“I saccheggiatori, figlio mio, – soleva ripetergli suo padre – non si arrestano davanti ad alcun ostacolo. Siamo noi che dobbiamo
rendere invalicabili gli ostacoli!”
Una volta gli aveva confidato che in gioventù era stato chiamato a testimoniare in un processo contro i ladri della tomba
di una Regina e di aver partecipato ai lavori di traslazione in un’altra tomba di quel che era rimasto del corredo funerario: quella Regina era proprio Hetepheres, madre del faraone Khufu.
Sotto una spinta vigorosa, il varco si aprì e il ragazzo oltrepassò la soglia insieme al suo fardello; appena dentro, spinse il lastrone con entrambe le mani e la “porta” si richiuse rapidamente alle sue spalle.
“Oh, Thot, Tu rendi potente l’Occhio di Horo
che splende sulla fronte di Ra. Io ti chiamo …” riprese.
Parlava sottovoce, quasi un pensiero sussurrato e intanto sfregava l’una contro l’altra le due pietre focaie che aveva con sè. Una miriade di scintille, luminose come stelle, fendettero la fitta oscurità. Il ragazzo vi accostò la torcia che teneva infilata nel corto gonnellino che gli copriva i fianchi e questa prese fuoco con una brusca fiammata.
“Voi tutti, Dei e Dee, fategli la strada.
Fate che giunga a voi Glorioso e ben fornito…”
Il fumo della torcia, acre e pungente, gli ferì gli occhi e la fiamma gettò luce sulle ombre, proiettando la sua figura sulle pareti dello stretto passaggio, un cunicolo alto non più di otto piedi e largo ancora meno, che lo costringeva a stare curvo. Poteva avere quindici anni. Forse sedici. Il corpo era agile e snello e il volto straordinariamente bello. Una massa di ciocche, corte e contorte, trattenute da un cordino di pelle, gli nascondeva la fronte e gli dava quell’aria un po’ selvaggia, tipica della gente del Basso Delta. Aveva labbra carnose e imbronciate e mento arrotondato e volitivo.
Tenendo sollevata la fiaccola, la cui luce moriva, inghiottita dalle tenebre davanti a sé, Djoser proseguì, sempre trascinandosi dietro la stuoia e il suo penoso contenuto. Avanzava a fatica. Il passaggio era stretto ed angusto. Strusciando sul pavimento di terra pressata e compatta, la punta dei tat-beb di corda lasciava dietro di sè un’eco soffocata e cupa.
Il percorso era in ripida pendenza e sprofondava sempre più giù e ad ogni passo aumentava la fatica. L’aria divenne pesante e l’afa opprimente. Sempre più spesso dovette fermarsi e portarsi alle labbra la spugna bagnata che aveva con sè. Non era soltanto la fatica fisica, era soprattutto un disagio dell’animo. Era l’improvviso peso di una solitudine totale che soltanto là sotto poteva raggiungere quelle soglie. Era solo, eppure, continuava ad avvertire l’invisibile presenza, quel respiro alle spalle, e il cuore tornò a battere veloce. Era veramente solo, però. Era l’unico essere vivente ad aggirarsi tra quelle pietre silenziose.
Cominciò a misurare il percorso: venti piedi, ventotto, trenta, quaranta, sessanta. Settanta piedi. Qui un blocco di granito interruppe la sua avanzata.
Mostrando di conoscere assai bene quel tratto, si spostò sulla sinistra. Da lì partiva un corridoio che imboccò senza esitazione. Proseguendo si accorse subito che sul fondo il tappo di chiusura era stato demolito. Non era il solo; ne vide almeno altri tre, i cui frammenti giacevano sparsi per terra. Il corridoio portava in basso, nelle fondamenta della struttura e ancora più giù, nella roccia sottostante. Sulla destra si apriva un vano. Uno dei tanti che avevano consentito ad architetti ed operai di sostare durante i lavori; le pareti recavano scritte in tintura rossa.
“Ecco qui tracce di qualche caposquadra desideroso di far sapere di aver contribuito alla gloria del suo Faraone.” sorrise.

DJOSER e lo Scettro di Anubi

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ANTICO EGITTO: storia, tradizione e fantasy

“DJOSER E LO SCETTRO DI ANUBI”

Siano in Egitto, Antico Regno – IV Dinastia.
Djoser, un ragazzo di sedici anni, allievo del Tempio di Ptha, lavora al cantiere della Piramide del faraone Khafra.
Abbandonato ancora bambino sulle rive del Nilo, Anubi, la più inquietante delle Divinità egizie, lo pone sotto la sua protezione facendo di lui una “creatura” diversa dagli altri mortali: gli permette perfino un viaggio attraverso la Duat, l’Oltretomba egizia, durante u

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La vendetta, si dice, è un piatto che va gustato freddo.
Proprio quello che fecero due tragiche figure femminili della Storia (o della Mitologia): Medea e Crimilde, l’una appartenente al Mito Nordico e l’altra a quello Creco.

Crimilde, principessa dei Burgundi

Questa storia fa parte della mitologia nordica del popolo dei Nibelunghi. Inizia quando l’eroe Sigfrido giunge alla corte del Re dei Burgundi.
Sigfrido è un grande eroe, che ha compiuto grandi imprese: ha combattuto, vinto e ucciso il drago… nel cui sangue si è bagnato rendendosi invulnerabile, salvo una spalla su cui si era posata una foglia.
Ha conquistato la Spada Magica, la cui lama uccide al solo tocco ed ha ricevuto in dono da una maga un anello che moltiplica le forze.
Riesce anche a salvare la Valchiria Brunilde, vergine-Guerriera inviata da Odino, Padre degli Dei, a scegliere eroici guerrieri morenti da condurre nel Walhalla, dimora degli Dei.
Brunilde e Sigfrido finiscono per innamorarsi, ma il cattivo mago Hagen, con una pozione magica, fa infiammare il cuore dell’eroe per Crimilde, sorella di Gunther, re dei Burgundi, a cui Sgfrido consegna la bella Brunilde.
Furente, ma sempre innamorato del suo eroe, Brunilde è rosa dalla gelosia: Sigfrido e Crimilde sono molto felici e lei per vendicarsi del tradimento di Sigfrido, rivela ai suoi nemici il solo punto vulnerabile del suo corpo.
Responsabili della morte di Sigfrido, con una freccia scagliata in quel solo punto vulnerabile, sono il mago Hagen e lo stesso re Gunther, i quali vogliono impadronirsi del tesoro che l’eroe aveva sottratto al drago.
Brunilde, apprendendo del filtro magico, rosa dal rimorso, si getta sulla pira su cui Crimilde aveva fatto adagiare il cadavere dell’eroe.
La vendetta di Crimilde, invece, fu tremenda e seguiva un ben preciso disegno.
Si concesse come moglie ad Attila, Re degli Unni e si fece giurare che l’avrebbe assistita nella vendetta contro la propria famiglia.
La nuova Regina degli Unni invitò a corte il fratello Gunther con il suo seguito di nobili e cavalieri e il mago Hugen. Offrì loro un sontuoso banchetto, chiedendo, però, di lasciare le armi fuori del grande salone.
Crimilde chiese ai fratelli di consegnarle il mago Hagen, ma costoro si rifiutarono, poiché il mago era il solo a conoscere il posto, nel Reno, in cui Sigfrido aveva sepolto il suo tesoro.
Per ottenere quel tesoro, fa sapere il mago, nessuno del popolo dei Burgundi dovrà essere ancora in vita.
Crimilde non ebbe esitazioni e chiese da Attila, che non aspettava altro, lo sterminio della sua gente e dell’odiato mago Hagen, che si consumo durante quel banchetto fatale.

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Eventi catastrofici sono sempre stati associati alla volontà divina (accade ancora oggi, in certi ambienti e certe culture) soprattutto se inspiegabili (come il fulmine) o devastanti (come terremoti o alluvioni)
Racconti di Diluvi Universali ( come lo scioglimento delle acque dopo una Glaciazione) sono presenti in ogni cultura e ad ogni latitudine del pianeta e nessuno studioso o scienziato li mette più in dubbio.
Anche la Teologia egizia ha il suo Diluvio, ma lo racconta in maniera diversa e particolare.
Il motivo, forse, c’è: lo straripamento di un fiume non poteva essere devastante come l’innalzamento delle acque del mare ed eventuali tzunami!
Cosa raccontano i Testi Sacri egizi?
Ecco qua un bel racconto con finale a piacere:
Per punire il genere umano, reo di colpe molto gravi, si decise di dargli una bella lezione.
A compiere la “missione” fu mandata la ferale Sekhmet, Sposa di Ptha, (Dio Creatore, corrispondente… un po’… al nostro Padre Eterno) nelle sembianze di Leonessa Sacra.
Cosa fu, cosa non fu, ma… la Dea si lasciò trasportare dalla propria natura ferina e compì una vera strage, tanto da minacciare di estinzione il genere umano.
Preoccupato, Ptha (o Ra, secondo altre versioni) pensò bene di inondare tutto il territorio di birra rossa.( gli antichi egizi ne facevano largo uso!)
La Dea, scambiandola per sangue, si prese una bella sbronza e… si dimenticò di portare a termine la “missione”.
Altra versione:
La Dea, che doveva risparmiare gli uomini giusti, se la prese anche con Adapa (il Noè della situazione) e lo ferì mortalmente. Resasi conto della gravità del fatto, si fermò e cominciò a versare un bel po’ di lacrime di pentimento. Furono proprio quelle lacrime a sanare le ferite di Adapa e restituirgli la vita.
Da allora Sekhmet divenne la Dea della Distruzione e della Rinascita, della Malattia e della Medicina… ambivalenza, come in quasi tutti gli aspetti della filosofia egizia.

FIOR di LOTO

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Proprio all’ingresso della prima delle grandi Sale della Statuaria, al Museo Egizio di Torino, c’è una splendida colonna papiriforme ornata alla base da un fior di loto chiuso e in alto da un fior di loto aperto.
Osservandola, ogni volta mi viene in mente un episodio riportato da: “Le Istruzioni di Amenemeth”
(Libri della Sapienza).

Amenemhet era un Sovrano con qualità di scriba e teneva una lezione a suo figlio sulla misericordia del Nether- Wa, Dio-Unico, verso gli uomini.
Dopo un po’, il ragazzo, piuttosto scettico, gli fece una domanda:
“Signore, – disse – Come può Dio occuparsi di tutti gli uomini che sono tanti, tanti e poi tanti ancora ed ancora di più?”
Dopo un attimo di riflessione, Amenemhet chiese:
“Figlio, hai mai contemplato un fior di loto?”
“L’ho fatto, sì.” rispose l’altro con accento un po’ stupito.
“Lo sai, figlio, che ogni sera il LunareThot provvede a chiudere ognuno dei petali del calice del fior di loto, affinché né insetti, né animali, né vento o acqua lo danneggi? E lo sai che ogni mattino il Solare Horo provvede a riaprire quei petali per ridare al fiore vita e bellezza?… Se due Divinità importanti come Thot ed Horo si occupano di un umile fiore, come puoi dubitare dell’interessamento di Dio verso l’uomo, la più importante ed amata delle sue creature?”

Cosa dire di insegnamenti come questo!… E’ così attuale, che sembra uscito dalle labbra di un Pontefice.

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ANTICO EGITTO – Poesia Amorosa

Unica amante che non ha seconda
Bella più di ogni altra donna.
Luminosa e perfetta come la stella sorgente
Di colorito splendente, seduce con lo sguardo
E incanta con le labbra.
Il suo collo è lungo, meraviglioso il seno.
I capelli veri lapislazzuli
Più che oro splendono le braccia
Le dita ricordano i fior di loto.
Perfettamente modellata ai fianchi,
le gambe superano ogni altra sua bellezza.
Nobile è il suo incedere.
Farà schiavo il mio cuore con un abbraccio.
Ogni sguardo la segue mentre lei si allontana
Tale è questa unica Dea
Felice chi potrà abbracciarla tutta.

( di anonimo – risalente alla XVIII Dinastia dei Faraoni)

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(seguito)

- Huthsepsuth

Huthsepsut – Regina-Faraone.
Le gesta di questa regina egizia, appartenente alla XVIII Dinastia, sono un capolavoro di astuzia, temperamento e capacità: una donna che oggi nessuno esiterebbe a definire emancipata.
Era figlia di Thutmosis I e della regina Amesh e fu fatta sposare al fratellastro Thutmosis II.
I due non ebbero figli maschi, ma solo due femmine, Thutmosis II, però, il suo erede, Thutmosis III, lo ebbe da una Sposa Secondaria, la regina Ese.
Alla morte di Thutmosis II, avvenute in circostanze non propriamente chiare, la regina Hutsepsut assunse la Reggenza del Paese, essendo Thutmosis III ancora troppo giovane, neppure decenne, per regnare.
Troppo poco, La Reggenza, per una donna come lei.
Huthsepsut era una donna intelligente, di grande carattere e assai ambiziosa. Era anche molto bella e possedeva un fascino irresistibile e grandi doti di diplomazia.
Sapeva leggere, scrivere, danzare e guerreggiare: accompagnava il padre nelle battute di caccia e, si dice, uccise il suo primo leone all’età di dieci anni.
Non si accontentò, dunque, del ruolo di Reggente e mise in scena uno di quegli intrighi di corte che solo una mente potenzialmente astuta ed audace poteva concepire.
Huthsepsut aveva creato intorno a sé una corte di funzionari fedelissimi, primo fra tutti, l’architetto Senmut, suo amante e, forse, padre di una delle sue figlie. Godeva anche del sostegno di buona parte del Collegio Sacerdotale e di quello delle più alte gerarchie dell’esercito: tutti pronti a reggerle il gioco.
Anche il principe erede aveva i suoi sostenitori, soprattutto nel corpo sacerdotale di Karnak, cui il faraone Thutmosis II aveva preferito affidarlo per tenerlo lontano dalle ambizioni della Regina, e che, inspiegabilmente, si astennero da qualunque azione.
La Regina aveva già raggiunto l’apice della sua potenza, ma sentiva il bisogno di legittimarla e di legittimare la decisione di costruire il “Milione dei Milioni di Anni”, il suo Complesso Funerario che tutti, ancora oggi, possiamo ammirare a Deir-el-Bahri.
Quale fu questo colpo di scena? Questo “miracolo”, come fu definito dai suoi seguaci?
Stava, un mattino, officiando in vesti di Sacerdote Supremo, nel Tempio di Karnak, quando, tra fulmini e tuoni e saette, il dio Ammon fece sentire la sua voce attraverso il naos (tabernacolo in cui era l’effigie divina) e la proclamò Figlia-Sua e Signora-delle-Due-Terre (Alto e Basso Egitto).
“Kem-hut-Ra (Colei che regna su Kem col favore di Ra) sarà il tuo nome – disse pressappoco la voce del Dio (probabilmente quella di un sacerdote che la sosteneva nel gioco) – Io mi compiacerò in te.”
Kem era un altro nome con cui si designava l’Egitto.
Da quel giorno la Regina, non più Reggente e con il titolo di Regina-Faraone, si mostrò in pubblico in abiti maschili e con la barba posticcia dei Faraoni.
Era già accaduto in passato che Regine avessero usurpato il trono, ma l’avevano fatto conservando sempre atteggiamenti femminili. Era la prima volta che una Regina nelle iscrizioni si faceva nominare al maschile.
Le statue la rappresentavano quasi sempre con shendit (gonnellino plissettato) e copricapo da Re: la nemesh (copricapo triangolare a righe) e il pshent (casco blu da combattimento).
I testi che fece incidere sulle pareti e i pilastri del Tempio Funerario raccontano tutta la storia.
Parlano della sua nascita divina, mettendo in bocca alla regina Amesh, sua madre, il racconto del suo concepimento ad opera del dio Ammon:
“… quando nella tua grazia ti sei unito alla mia maestà
e la tua rugiada è penetrata in tutto il mio essere…”
c’è scritto.
E parla lo stesso Ammon:
“Colei che Ammon abbraccia è il suo nome
Sua la mia anima. Suo il mio Scettro
Suo il mio prestigio. Sua la mia corona
Affinché regni sui Due Paesi
E regni su tutti i viventi”
E ancora, per donarle prerogative maschili, ad Ammon fa dire ancora:
“Salute a te, Figlia mia, nata dalla mia carne
Immagine brillante uscita da Me
Tu sei un Re che reggi i Due Paesi
Sul trono di Horo, come Re.”
Il suo regno durò per quasi venti anni e fu, sicuramente, uno dei momenti più pacifici e felici di tutta la storia del popolo egizio.
Durante il suo regno, infatti, quella Regina fece erigere Templi ed Obelischi, organizzò spedizioni, istituì leggi in favore di donne, bambini e gente umile e fece molte altre cose ancora che, noi gente moderna diremmo, degne di un Sovrano Illuminato.
(

LA DONNA nella STORIA: Vizi e Virtù L’Astuzia (prima parte)

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Che cos’è l’astuzia?
Non potrebbe essere la virtù di chi non ha il potere, ma le qualità per procurarselo?
Si dice che l’astuzia sia una virtù soprattutto femminile
Ed è proprio delle “astute manovre” di due donne che intendo parlare: la biblica Abigail e l’egiziana Hutsep

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Il termine Sostituto indica oggi semplicemente una persona che svolge mansioni al posto di un’altra.
Nelle antiche culture, però, all’epoca del Matriarcato, il Sostituto era una figura assai tragica ed infelice.
Era al centro di una consuetudine davvero cruenta: così in Egitto come in Mesopotamia o Hattusa… Roma si salvò solo perché la sua storia è più recente.

Il Grecia il Sostituto si chiamava Interrex ed era quasi sempre un ragazzo sui dieci anni, perché tanti erano gli anni di regno del Paredro.
Oggi diremmo: Principe Consorte.
Secondo i costumi dell’epoca la Regina si sceglieva, tra i giovani più forti e gagliardi, un Re-Sacro, il Paredro, per l’appunto, per procreare e regnare con lui fino a che questi avesse conservato forze e vigore. Dopo egli veniva ucciso e il suo sangue sparso sui campi per renderli fecondi.

Dieci anni. Tale era il tempo concesso ad un Paredro.
Questo fino a quando non arrivò qualcuno che si rifiutò di sottostare al sacrificio e pretese una vittima in sua “sostituzione”.
Quel qualcuno si chiamava Enapione e pare fosse uno dei nipoti del famoso Minosse.
Egli si rifiutò di morire, nonostante che il nuovo pretendente della Regina avesse, secondo le Leggi, superato le prove a cui era stato sottoposto e lo avesse vinto in regolare combattimento. (lotta libera, presumibilmente).
Enapione si nascose in una cripta facendosi credere morto, ma “resuscitò” opportunamente (con l’aiuto di sostenitori) e in sua vece pretese il sacrificio di un fanciullo: l’ Interrex , ossia il Sostituto.

I Sostituti erano sempre fanciulli sui dieci anni, schiavi, prigionieri o ragazzi dotati e, non raramente, erano addirittura i figli dello stesso Re-Sacro in carica.
Questo potrebbe dar luce a qualche mito o casi di parricidio da parte di principi-eroi, che ci appaiono incomprensibile, ma di cui la storia della Grecia Arcaica e perfino Minoica e Micenea, abbonda.

L’Interrex veniva insediato sul trono con una cerimonia assai festosa. Regnava per un giorno, durante il quale gli era permessa ogni cosa, poi veniva drogato e ucciso.
Il Paredro tornava sul trono al fianco della Regina (il cui potere, però, cominciava a mostrare primi segni di debolezza)… fino a quando un nuovo pretendente, più forte e vigoroso, non fosse riuscito a toglierlo di mezzo.

Non si sa per quanto tempo tale cruente costume abbia continuato a mietere fanciulli. Ad un certo momento della storia, però, il sacrificio dei fanciulli verrà sostituito da quello di un animale: capro o toro.
O, come accadde in Egitto, da una cerimonia detta Zed o Giubileo: un rituale magico attraverso cui il Sovrano ritrovava energia e vigore.

A proposito di Giubileo, la regina Elisabetta II d’Inghilterra ha celebrato da poco il suo e il Papa si appresta a celebrare il proprio.

Pratiche moderne, dunque, che affondano le radici
in pratiche antiche.