Archive for agosto, 2012


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Seguiva una cerimonia funebre officiata, alla presenza di amici e parenti, da Sacerdoti funerari, tra cui il sacerdote-sem, riconoscibile (in pitture parietali o papiri) dalla pelle di leopardo sulle spalle e il chery-webb, Sacerdote –lettore,riconoscibile dalla lunga stola bianca adagiata su una spalle.
Prima di calare il sarcofago nella tomba, si metteva in atto un complesso rituale conosciuto come “Il rito dell’apertura della Bocca”, che avrebbe restituito i sensi al defunto e gli avrebbe consentito una vita “normale”..

Cosa accadeva, nel frattempo alle altre entità?
Il Ba, l’Anima, usciva dalle narici e con forma di uccello con testa umana, volava sulle montagne della necropoli. Qui restava in attesa di congiungersi alle altre entità, dopo il Giudizio di Osiride.
Anche la Shut, separata dal corpo, restava in attesa e in caso di Giudizio sfavorevole, si aggirava di notte, arrecando ovunque terrore e danno. Qualche volta riusciva a seguire il Ka nel suo peregrinare lungo le vie dell’Oltretomba e, se il Giudizio di Osiride fosse stato sfavorevole, non c’era scampo neppure per essa.
-L’Ib, il Cuore, doveva raggiungere il Tribunale di Osiride per essere giudicato. Messo su uno dei piattelli della Sacra Bilancia di Maat, Dea della Verità e della Giustizia, doveva pesare non più della Sacra Piuma, che la Dea si staccava dal capo e poneva sull’altro piattello.

Ma… torniamo al Ka, lo Spirito. Era il solo (a parte il Cuore) fra tutte le entità del defunto, a mettersi in viaggio attraverso le oscure ed insidiose vie della Duat, l’Oltretomba egizia. Doveva affrontare creature spaventose come il serpente Apep,(meglio conosciuto con il nome di Apofi), il leone Akhet, il coccodrillo Shui e molte altre ancora; doveva percorrere fiumi dalle acque impetuose, laghi di fuoco, montagne di ghiaccio e… (chi più ne ha, più ne metta).
In questa impresa, però, non era né solo né sprovveduto: Divinità funerarie erano pronte ad aiutarlo e, naturalmente, la Magia… la magia, ancella della Religione o, più esattamente, sua comprimaria: il defunto, infatti, aveva a sua disposizione He-kau, formule magiche per affrontare pericoli e annientare nemici. Erano, per lo più, scritte su scarabei di pietra turchese; in alcune tombe ne sono stati trovati fino a novanta esemplari.
Giunto alla Sala del Tribunale, lo aspettavano Osiride e la Corte dei Quarantadue Spiriti, ognuno dei quali rappresentava un peccato: invidia, inganno, appropriazione indebita, ecc.)
Formule magiche, naturalmente, lo aiutavano a superare le difficoltà… D’altronde, bastava essere innocente di almeno Sette dei Quarantadue Peccati per scongiurare la fine.
Una fine davvero orrenda, quella riservata ai peccatori: le fauci di Ammit la Bestia, un ibrido con testa di ippopotamo, corpo di leone e coda di coccodrillo.
Il Ka che fosse riuscito a superare il Giudizio, poteva fare due cose (e di solito le faceva entrambe): restare nell’Oltretomba e soggiornare negli Hotep Jaru, il Paradiso egizio, come Spirito, oppure tornare nella hut-ka, la tomba, dove lo aspettava il corpo imbalsamato e dove poteva congiungersi alle altre entità e vivere fisicamente in quella dimora.
Era quello, infatti, lo scopo della preservazione del corpo fisico: dare un supporto allo Spirito e permettere al defunto la sua Vita Eterna.

E l’Akh, il Luminoso?
All’interno della tomba poteva accadere uno strano fenomeno: dopo un po’, il corpo di un defunto innocente e virtuoso cominciava ad emanare luce. Meno erano i peccati, più intensa si faceva la luce: un modo poetico, forse, degli Antichi Egizi, di spiegarsi il fenomeno dei fuochi fatui.

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- Ba: un po’ difficile, definire questa entità. Di sicuro era qualcosa di speciale, che solo la creatura umana possedeva e che la differenziava all’animale (senza anima).
Alla sottoscritta piace definirla la parte divina che è in ogni essere umano: l’Anima, che Dio trasfuse all’uomo quando lo creo, soffiandogli attraverso le narici. (concetto ripreso successivamente dalla cultura ebraica: basta leggere la Bibbia e la Creazione dell’uomo)
Il Ba è raffigurato come un uccello (quasi sempre un airone) con testa umana, forse a causa della presenza dei numerosi stormi d’uccelli che stazionavano sulle cime dei monti delle necropoli.
- Ib: il cuore, sede della coscienza e del carattere di ogni individuo.

- Shut: l’Ombra. Copia in negativo del djet, alla morte dell’individuo, l’Ombra si staccava dal corpo e vagava inquieta nell’attesa del Giudizio di Osiride. Accadeva anche che lo seguisse nell’Aldilà.

- Ren: il Nome. Era così importante, questa entità, da negare l’esistenza a chi non lo possedeva o non lo possedeva più. Basti pensare al deplorevole uso di cancellare da Templi e Monumenti, il nome di alcuni Faraoni scomodi, come il celeberrimo Akhenaton, al solo scopo di cancellarne la memoria.
- Akh: chiamato anche il Glorioso o il Luminoso.

Cosa accadeva ad una persona appena defunta?
Ecco il rituale cui era sottoposta e il mito, a cui il popolo egizio si aggrappava.
Convinto?… Immagino di sì!… Almeno quella parte del popolo tenuto nell’ignoranza!
Subito dopo il decesso, i Sacerdoti funerari prelevavano il cadavere e lo trasportavano alla Casa dell’Imbalsamazione per prepararlo “fisicamente” all’Immortalità.
Settanta o anche ottanta giorni, durava il processo di conservazione del corpo, ma qui, bisogna fare una distinzione fra Imbalsamazione e Mummificazione.
La seconda era un “processo naturale” di conservazione del corpo e lo si praticò, all’incirca, fino alla IV o V Dinastia (epoca di Giza, Sakkara, ecc). Non occorreva intervenire sul corpo, poiché bastavano clima secco e temperature elevate.
La prima era, invece, un “processo artificiale”. Il corpo veniva svuotato degli organi molli (fegato, stomaco, intestino e polmone, i quali venivano conservati in appositi contenitori, conosciuti con il nome di vasi canopi) e il vuoto era riempito con paglia, resine, balsami; poiché non si praticava ancora la sutura delle ferite, queste tendevano ad aprirsi. Per ovviare all’inconveniente, il cadavere veniva avvolto in bende tenute insieme da una colla, scura e densa. Ancora oggi non se ne conosce bene il composto, che qualcuno chiamò (in egiziano): mummif (bitume), da cui la parola mummia.

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Era convinzione di questo straordinario popolo, che l’esistenza umana attraversasse tre momenti, tutti e tre fondamentali, misteriosi e complessi:
- la vita terrena
- la morte
- la vita ultraterrena
Già cinque secoli prima di Cristo, lo storico Erodoto scriveva:
“Gli Antichi Egizi erano un popolo che praticava il Culto dei Morti, ma amava intensamente la vita.”
Sembra una contraddizione, ma non lo è!

- La Vita terrena, dicevano gli Antichi Egizi, era un dono che gli Dei facevano alla creatura umana per consentirle di prepararsi alla vita ultraterrena: l’Eternità e l’Immortalità.
Questo popolo fu ossessionato dall’idea di Immortalità: per essa, eresse opere colossali come La Sfinge e le Piramidi, innalzò Templi e Santuari che sfidano ancora oggi il Tempo.

- La Morte, per il popolo nilotico, costituiva un passaggio tra la prima fase e la seconda e non era vissuta con l’ossessione dei giorni nostri. Poteva essere traumatica, certo, e certamente era rifuggita, ma, al contempo, accettata con fatalità e pragmatismo.

- La vita ultraterrena, ossia la Vita Eterna, desiderata ed agognata da tutti, non era, però, appannaggio dell’intera umanità, poiché bisognava meritarsela. Per comprendere appieno la profondità di questo pensiero filosofico, basta leggere qualcuna di quelle Massime Sapienziali che invitavano a vivere una vita terrena onesta e operosa e generosa:
“L’uomo litigioso causa disordini.”
“Non essere malvagio: la bontà genera simpatia.” oppure:
“Onora una vita di lavoro: l’uomo che non ha nulla diviene desideroso dell’altrui proprietà.”
“Agisci rettamente durante il tuo soggiorno terreno.”
E ancora:
“Aiuta le vedove e coloro che sono in lacrime.”

Per consentire tutto questo, dicevano gli Antichi Egizi, Dio aveva dotato la creatura umana di una complessa natura e di un certo numero di… per comodità le chiameremo entità, termine da cui esoterici e pseudo-studiosi, hanno sempre attinto a piene mani per le loro bizzarre dottrine, teorie e affermazioni.
Sette. Erano sette, queste entità, ognuna con un compito ben specifico.
- Djet: il corpo, deputato ad operare durante la vita terrena. Viveva fisicamente le esperienze di vita, come amare, lavorare, essere la salute o sopportare la malattia, ecc.
- Ka: chiamato anche “Doppio”. Copia esatta del djet, era fisicamente inconsistente, trasparente ed evanescente; corrispondeva a quello che noi, gente moderna, chiamiamo Spirito o Fantasma.
Era raffigurato con due braccia sollevate verso l’alto ed era quella, fra tutte le entità del defunto, che aveva il compito di intraprendere il viaggio nell’Oltretomba per sottoporsi al Giudizio di Osiride.

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Da quando l’uomo auspica una vita dopo la morte?
Non è prudente azzardare supposizioni.
Gli Antichi Egizi dicevano che il percorso umano si divide in tre fasi:
- Vita terrena
- Morte
- Vita ultraterrena

La vita terrena, dicevano, è un dono degli Dei per consentire all’uomo di procurarsi tutto il necessario per affrontare la vita ultraterrena e la morte è un solamente un passaggio.

“L’antico popolo egizio – diceva lo storico greco Erodoto – praticava il Culto dei Morti, ma amava profondamente la Vita.”
Ed era proprio così: gli Antichi Egizi cercavano di vivere al meglio la vita terrena, poiché quella ultraterrena doveva esserne una copia esatta.
Un dono o un privilegio, non riconosciuto a tutti, però, poiché quel dono bisognava meritarselo attraverso una vita terrena condotta irreprensibilmente.
Nelle Antiche Massime Morali troviamo insegnamenti come:
“Non essere malvagio, la bontà genera simpatia.”
“Onora una vita di lavoro:l’uomo che non ha nulla diviene desideroso dell’altrui proprietà.”
O ancora:
“Calma coloro che sono in lacrime.”
“Non opprimere le vedove”

Che cosa accadeva all’uomo dopo la morte? Di tutte le entità (erano sette e ne parleremo in altra sede) che componevano la sua natura umana, solamente il Ka, ossia lo Spirito, si apprestava a percorrere le strade della DUAT (l’Oltretomba) per affrontare il Giudizio di Osiride e dei 42 Giudici: la pesatura del Cuore.
Il Cuore veniva posto su uno dei piattelli della Sacra Bilancia di Maat, la Dea della Giustizia, la quale si toglieva dal capo la Sacra Piuma e la poneva sull’altro piattello: il Cuore non doveva pesare più della Piuma.
Formule Magiche ed Incantesimi, però, (Rew ed He-Kau) potevano “alleggerire” il peso del Cuore… (Ah!… questi antichi egizi!…)

Il percorso per arrivare alla Sala del Tribunale di Osiride era irto di pericoli ed insidie, ma anche qui veniva in soccorso la magia… spesso le formule magiche( per ogni più svariata evenienza) erano incise sulla superficie di scarabei di pietra… in alcune tombe sono stati trovati fino a novanta scarabei con queste incisioni.
Accompagniamo, dunque, il Ka del defunto lungo questo viaggio.
Iniziamo dal grande Portale d’Ingresso: Ro-Stau, letteralmente “La Buca”.
Era sorvegliata da tre demoni: il Portiere, il Guardiano e l’Araldo.
Il loro compito era di impedire l’accesso a quella Porta e il loro aspetto era terrificante.
Anche qui, però, in soccorso del povero defunto-pellegrino giungeva quell’aspetto utilitaristico della Religione e della Magia di cui l’antico popolo nilotico permeava la propria esistenza.
Incantesimi e Formule Magiche riuscivano a vincere la resistenza di quelle demoniache creature e la loro volontà: il Ka del defunto doveva soltanto pronunciarle con la “giusta” intonazione della voce, dopo essersi dichiarato ed aver pronunciato il nome di ognuno di loro.
L’esito era assicurato e i tre Demoni avrebbero spalancato il Portale ed introdotto lo spirito del defunto all’interno dell’Oltretomba, un percorso disseminato di ambagi ed insidie.
Il primo ostacolo da superare era…
ma qui, vorrei invitarvi a seguire il Ka del defunto, lungo il suo percorso, attraverso la lettura dell’ultimo libro di Maria PACE:

“DJOSER e Lo Scettro di Anubi”

Potete richiederlo presso:
- www.lulu.com
- Google Book
- Amazon book

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La seconda iscrizione:
“Pastora. Nessuna Tentazione. Che Poussin, Teniers detengono la chiave: Pace 681. Per la Croce e per questo Cavallo di Dio, io compio “anniento” questo demone di guardiano a mezzogiorno. Mele Azzurre.”
Che cosa significherebbe?
Chiave 681 sarebbe l’anno in cui sono avvenuti i… chiamiamoli così, mescolamenti genealogici (che tradotto vuol dire: matrimonio) fra un discendente del Cristo e un membro della famiglia reale della Dinastia Merovingia?
I Merovingi, discendenti di Cristo?
Affascinante, è stata definita questa teoria: stravagante, direi io. Inquietante e perfino mortificante per l’umano intelletto.
Per decine di secoli, dunque, una “genia divina” (il Cristo sarebbe oppure no, Figlio di Dio?) avrebbe vissuto in mezzo a poveri mortali senza mai intervenire in guerre, genocidi, pestilenze, e altro? Uomini e donne, dal sangue divino, avrebbero condotto la propria esistenza come qualsiasi mortale su questa Terra?
Tutto questo, fino a quando qualcuno non li ha “scovati”: un pretino francese che in punto di morte ha rivelato il suo “segreto”… un pretino che, tra le altre vicissitudini, era stato perfino scomunicato per attività simoniaca.
Sotto la chiesa, infatti, si trova una cripta ed è probabile che al suo interno vi fossero reperti antichi con il cui traffico clandestino, il bravo pretino si sia è arricchito: era quello il ”tesoro”.

A questo punto la domanda è d’obbligo: i messaggi delle
Pergamene sono autentici oppure no?
La sottoscritta dubita perfino della loro esistenza! Chi ha potuto dare un’occhiata al famoso pilastro che regge l’altare, ha potuto anche costatare che il nascondiglio( un minuscolo foro) è talmente piccolo da non poter contenere assolutamente nulla e tanto meno quattro pergamene.

Oltre alle Pergamene, però, replicano gli irriducibili di tale teoria, ci sono varie iscrizioni e rebus, distribuiti qua e là, all’interno ed all’esterno della chiesa.
Quello che per molti costituisce un affascinante rompicapo si trova inciso sul portale. Breve e lapidario, recita così:
“Terribilis est locus iste”
Una scritta latina che per molti significherebbe :
«Questo luogo è terribile »
Un vero latinista, però, come la tradurrebbe?
Ricordo ancora la famosa frase risalente ai miei primi approcci con questa “morta” ma sempre viva lingua: “mus farinam est”. Io credevo che il topo fosse fatto di farina, anziché mangiarsela, la farina.
La spiegazione più semplice e plausibile dovrebbe essere ricercata nella personalità di colui che ha tracciato tale iscrizione e cioè il bravo, simoniaco pretino, il buon
Sauniére il quale l’ha estrapolata da un versetto biblico:
“Terribile è questo luogo, che è la Casa del Signore e la Porta del Cielo” (Genesi, 28 – 17) e terribile sta per mirabile
e non certo, spaventevole.
Quale credente definirebbe terribile e spaventevole una Chiesa, ossia la Casa del Signore?

C’è, poi, la sibillina iscrizione: “Christus A.O.M.P.S. DEFENDIT” tradotta in:
“Cristo difende l’Antico Ordine Mistico del Priorato di Sion”… ma, del Priorato di Sion ci occuperemo prossimamente.

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Non c’è mistero che si rispetti senza la propria pergamena,
rotolo di papiro o lastra di pietra o bronzo.
Famose sono diventate quelle di Rennes-le-Chateau, in Francia.
Dove e quando, sono spuntate fuori?
Nel 1.887, nella chiesa del paese, durante i lavori di restauro dell’altare, promossi dal parroco, Berenger Saunière.
Le offerte dei fedeli furono piuttosto generose (lasciti, messe, indulgenze ed altro) e il buon parroco si trovò a maneggiare parecchi quattrini. Circostanza, questa, che scatenò l’estro creativo dello scrittore francese G. De Sède, autore delle improbabili e fantasiose vicende di un romanzo intitolato “Le tresor maudit” (Il tesoro maledetto).
All’interno di una colonna che sosteneva l’altare, si disse,
il parroco aveva trovato delle pergamene dai contenuti enigmatici e alquanto misteriosi. Tali da convincerlo a recarsi fino a Parigi per sottoporli a “lettura” da parte di esperti di messaggi criptati.
Ed è a questo punto che cessa il buon senso e ci si tuffa in un mare di congetture, supposizioni e perfino mistificazioni.
L’esperto parigino (o parigina… non si sa con precisione) così traduce ed interpreta due delle pergamene:

La prima iscrizione:
“A re Dagoberto II ed a Sion appartiene questo tesoro. Egli è morto lì.”
Che cosa significa? Che quella pergamena era la mappa di un tesoro? Un tesoro a cui il buon parroco avrebbe attinto a piene mani ed, in parte, generosamente distribuito, contribuendo personalmente ai lavori di restauro?
E quei due nomi: re Dagoberto II e Sion (che sta per Priorato di Sion)?
Dagoberto era un Sovrano della stirpe dei Merovingi.
I Merovingi erano Franchi, lo si sa. Quello che non si sa, è il legame di questo Sovrano con i fatti di Rennes-le-Chateau e la famiglia del Cristo che, secondo certe teorie, abbia finito proprio lì i suoi giorni e vi sia stato sepolto.
Leggenda nella leggenda: re Dagoberto era un discendente di Gesù, come questi lo era di re Davide?
E il Priorato di Sion?
Sarebbe una setta e di essa ci occuperemo a breve.
La seconda parte dell’iscrizione, quel “Egli è morto lì”, indicherebbe il luogo di sepoltura del corpo del Cristo (di cui ci siamo già occupati)

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Non c’è mistero che si rispetti senza la propria pergamena,
rotolo di papiro o lastra di pietra o bronzo.
Famose sono diventate quelle di Rennes-le-Chateau, in Francia.
Dove e quando, sono spuntate fuori?
Nel 1.887, nella chiesa del paese, durante i lavori di restauro dell’altare, promossi dal parroco, Berenger Saunière.
Le offerte dei fedeli furono piuttosto generose (lasciti, messe, indulgenze ed altro) e il buon parroco si trovò a maneggiare parecchi quattrini. Circostanza, questa, che scatenò l’estro creativo dello scrittore francese G. De Sède, autore delle improbabili e fantasiose vicende di un romanzo intitolato “Le tresor maudit” (Il tesoro maledetto).
All’interno di una colonna che sosteneva l’altare, si disse,
il parroco aveva trovato delle pergamene dai contenuti enigmatici e alquanto misteriosi. Tali da convincerlo a recarsi fino a Parigi per sottoporli a “lettura” da parte di esperti di messaggi criptati.
Ed è a questo punto che cessa il buon senso e ci si tuffa in un mare di congetture, supposizioni e perfino mistificazioni.
L’esperto parigino (o parigina… non si sa con precisione) così traduce ed interpreta due delle pergamene:

La prima iscrizione:
“A re Dagoberto II ed a Sion appartiene questo tesoro. Egli è morto lì.”
Che cosa significa? Che quella pergamena era la mappa di un tesoro? Un tesoro a cui il buon parroco avrebbe attinto a piene mani ed, in parte, generosamente distribuito, contribuendo personalmente ai lavori di restauro?
E quei due nomi: re Dagoberto II e Sion (che sta per Priorato di Sion)?
Dagoberto era un Sovrano della stirpe dei Merovingi.
I Merovingi erano Franchi, lo si sa. Quello che non si sa, è il legame di questo Sovrano con i fatti di Rennes-le-Chateau e la famiglia del Cristo che, secondo certe teorie, abbia finito proprio lì i suoi giorni e vi sia stato sepolto.
Leggenda nella leggenda: re Dagoberto era un discendente di Gesù, come questi lo era di re Davide?
E il Priorato di Sion?
Sarebbe una setta e di essa ci occuperemo a breve.
La seconda parte dell’iscrizione, quel “Egli è morto lì”, indicherebbe il luogo di sepoltura del corpo del Cristo (di cui ci siamo già occupati)

La seconda iscrizione:
“Pastora. Nessuna Tentazione. Che Poussin, Teniers detengono la chiave: Pace 681. Per la Croce e per questo Cavallo di Dio, io compio “anniento” questo demone di guardiano a mezzogiorno. Mele Azzurre.”
Che cosa significherebbe?
Chiave 681 sarebbe l’anno in cui sono avvenuti i… chiamiamoli così, mescolamenti genealogici (che tradotto vuol dire: matrimonio) fra un discendente del Cristo e un membro della famiglia reale della Dinastia Merovingia?
I Merovingi, discendenti di Cristo?
Affascinante, è stata definita questa teoria: stravagante, direi io. Inquietante e perfino mortificante per l’umano intelletto.
Per decine di secoli, dunque, una “genia divina” (il Cristo sarebbe oppure no, Figlio di Dio?) avrebbe vissuto in mezzo a poveri mortali senza mai intervenire in guerre, genocidi, pestilenze, e altro? Uomini e donne, dal sangue divino, avrebbero condotto la propria esistenza come qualsiasi mortale su questa Terra?
Tutto questo, fino a quando qualcuno non li ha “scovati”: un pretino francese che in punto di morte ha rivelato il suo “segreto”… un pretino che, tra le altre vicissitudini, era stato perfino scomunicato per attività simoniaca.
Sotto la chiesa, infatti, si trova una cripta ed è probabile che al suo interno vi fossero reperti antichi con il cui traffico clandestino, il bravo pretino si sia è arricchito: era quello il ”tesoro”.

A questo punto la domanda è d’obbligo: i messaggi delle
Pergamene sono autentici oppure no?
La sottoscritta dubita perfino della loro esistenza! Chi ha potuto dare un’occhiata al famoso pilastro che regge l’altare, ha potuto anche costatare che il nascondiglio( un minuscolo foro) è talmente piccolo da non poter contenere assolutamente nulla e tanto meno quattro pergamene.

Oltre alle Pergamene, però, replicano gli irriducibili di tale teoria, ci sono varie iscrizioni e rebus, distribuiti qua e là, all’interno ed all’esterno della chiesa.
Quello che per molti costituisce un affascinante rompicapo si trova inciso sul portale. Breve e lapidario, recita così:
“Terribilis est locus iste”
Una scritta latina che per molti significherebbe :
«Questo luogo è terribile »
Un vero latinista, però, come la tradurrebbe?
Ricordo ancora la famosa frase risalente ai miei primi approcci con questa “morta” ma sempre viva lingua: “mus farinam est”. Io credevo che il topo fosse fatto di farina, anziché mangiarsela, la farina.
La spiegazione più semplice e plausibile dovrebbe essere ricercata nella personalità di colui

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E’ sicuramente il falso d’autore più intrigante della Storia. Ma a cosa si riferisce?
Ad una ipotetica tomba di Cristo che si troverebbe nei pressi del villaggio di Rennes-le-Chateau, in Francia.
Chi ne è stato l’artefice?
Come prima risposta verrebbe da fare il nome di Dan Brown, autore del libro: “Il Codice da Vinci”. In realtà, questo libro, che ha reso multi miliardario il suo autore, è lo sviluppo, fantasioso e romanzato, di un’altrettanta fantasiosa ricerca condotta nel 1.980 dai giornalisti Lincoln, Leigh e Baigent: “Il Santo Graal”
Secondo le ricerche e gli studi condotti dai tre giornalisti, il Cristo non sarebbe morto sulla cr

… nei sotterranei della Piramide… (terza parte)

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(continua)
Un’ombra, improvvisamente, gli piovve alle spalle investendo lui e il defunto; un soffio ardente lo colpì sulla nuca. Si girò e uno sbavo di terrore lo colse fin nel midollo delle ossa: di fronte a lui, in tutto il suo terribile ed indescrivibile aspetto, c’era Anubi, lo Sciacallo Divino.
“Chi è che con spoglie mortali si aggira nella Terra-dei-Misteri?” tuonò il Dio dalla Testa di Sciacallo facendo convergere su di lui i fiammeggianti occhi verdi dalle palpebre senza battito.
Atterrito da quella presenza e da quello sguardo, Djoser si prosternò, con la faccia schiacciata contro il pavimento terroso.
“Sono io, o Anubi, Si…Signore delle Fornaci e Dominatore delle Montagne de…della Morte. – balbettò, con la polvere fra i denti – Sono Djoser, figlio di Pthahotep, ar..architetto di Ptha…”
“Che cosa cerchi, Djoser, figlio di Pthahotep, architetto di Ptha,
strisciando come un insetto nelle viscere di Geb?”
“Ce…cerco una tomba per il mio maestro.”
“E la cerchi nella tomba di un Figlio di Ra?” tuonò ancora la voce dello Sciacallo Divino, facendo fremere l’aria; l’onda d’urto spinse il ragazzo con le spalle contro la parete. C’era, in quella voce la stessa eco soffocante e cupa lasciata nel budello in cui era appena strisciato.
“Anche un Figlio di Ra, o Divino Sciacallo, – rispose Djoser, senza, però, ardire di sollevare il capo – apprezza la devozione di fedeli disposti a servirlo nell’altra vita, così come hanno fatto in quella precedente e si allieta della loro presenza…”
“Ah.ah.ah!” la cavernosa risata di Anubi sconquassò l’aria con la forza di un violento temporale; uno di quelli che si scatenavano nel deserto una volta almeno nell’anno, minacciando di far precipitare il cielo: violento come l’ira stessa di Seth, Signore delle Tempeste. Anubi, però, non sembrava irritato, piuttosto divertito e questo incoraggiò il ragazzo..
“Le mani di quell’oscuro architetto hanno sorretto quelle di Hemium, il grande costruttore della Piramide.”
Il terrore gli impediva quasi di respirare; proprio per questo non riusciva a spiegarsi dove trovasse il coraggio per rispondere a quelle domande. Era come se ogni goccia di sangue fosse attraversata dalla paura senza, però, restarne sopraffatto. Era come se avesse già conosciuto quelle paure; le avesse già affrontate e, cosa strana, fosse felice di trovarsele ancora di fronte.
“Molte mani oscure – replicò il Dio con quel sibilo roco che faceva vibrare le pietre delle pareti contro cui Djoser stava appoggiato per non cadere – hanno sorretto l’architetto Hemium, ma nessuno di quei servitori, divide la tomba con un Dio.”
“Lo so, Potente Signore delle Tenebre. – proruppe il ragazzo – Quei devoti servitori vivono appagati nelle loro tombe, all’ombra protettrice della grande Piramide del loro Dio. Al mio maestro non è stato concesso il meritato privilegio, pur essendo stato il più devoto dei devoti servitori di Sua Maestà…”
Il ragazzo fece seguire una pausa che lo Sciacallo Divino riempì con un respiro roco e profondo, come lo sbuffo di un mantice. Anche Djoser ebbe un lungo respiro, si schiarì la voce e proseguì:
“Per questo, o Anubi, ti prego di lasciarlo dimorare qui, il mio maestro. Te lo chiedo con la faccia prostrata al suolo, perchè lui è degno di continuare a servire il suo Faraone.”
Anubi lasciò andare un altro lungo respiro, più profondo e cupo del primo, che fece fremere l’aria già scossa e minacciò il già precario equilibrio del ragazzo.
“So – riprese Djoser – che solo al Faraone è concesso di scalare il Cielo attraverso la Piramide, ma il mio maestro lo renderà lieto con la sua presenza: è assai sapiente e i suoi racconti…”
Anubi non lo lasciò finire e per la seconda volta scoppiò in una
sonora risata: “Ah.ah.ah!”
“E io ti prometto, – continuò il ragazzo – o Signore del Mondo-Rovesciato, che se gli permetterai di restare qui, io non servirò altri Dei all’infuori di Anubi. Nè Ptha il Creatore, nè Osiride il Glorioso e neppure il Solare Horo o il Lunare Thot. Questo io prometto, o Misericordioso Anubi. Questo prometto!”
Anubi smise di ridere e un silenzio profondo riempì la lunga pausa che seguì, poi con un gesto lo invitò ad alzarsi e disse:
“Chi riesce ad ispirare tanta devozione in un altro essere mortale
merita rispetto!”
Djoser non si fece ripetere l’invito. Sollevò prima un ginocchio e poi il capo e fu allora che il suo sguardo cadde sull’ombra che Anubi proiettava al suolo e che disegnava sul pavimento un inquietante assemblaggio di segni: una piuma, un rivo d’acqua e un mattone, che insieme formavano

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(continua)
- MEDEA

Feroce e tragica fu questa figura di donna, considerata fin dall’antichità come il “genio del male al femminile”.
La tradizione micenea la vuole al fianco dell’eroe Giasone, uno degli Argonauti partiti dalla Grecia per la Colchide, alla conquista del “Vello d’Oro”.
Medea lo aiutò sempre ed in ogni modo, con le sue arti magiche, non disdegnando neppure di far ricorso al delitto più efferato per spianargli la via.
Secondo il mito, erano state Minerva e Giunone, Protettrici dell’eroe, ad indurre Venere a convincere il figlioletto, Eros, a scoccare una freccia nel cuore di Medea affinché si innamorasse di Giasone e lo aiutasse nell’impresa.
Giasone sposò Medea promettendo, davanti agli Dei, di amarla per sempre e portarla con sé in Grecia.
Superate le prove imposte da re Eeta, padre di Medea, e staccato il Vello d’Oro dal ramo di quercia cui era attaccato, i due salirono sulla nave Argo per tornare in Grecia.
Eeta, però, contravvenendo ai patti, fece inseguire gli Argonauti fino alla foce del Danubio.
Per ritardare l’inseguimento e aiutare il suo uomo, Medea ricorse al delitto più atroce: attirò con l’inganno il fratellastro Apsirto, facendogli credere d’essere stata rapita e di trovarsi sulla Argo contro la propria volontà e lo fece uccidere per poi farne gettare i resti nel fiume e costringere gli inseguitori a rallentare per seppellirli.
Dopo varie peripezie, gli Argonauti giunsero in Grecia e i due amanti si fermarono a Corinto, dove Giasone fu fatto Re. Qui, però, l’eroe commise il suo più grave errore: si innamorò della bella Creusi, (o Glauce) figlia di re Creonte e la sposò, abbandonando Medea.
La vendetta della maga, nipote della ancor più potente maga Circe, fu tremenda.
Fingendosi rassegnata, l’implacabile Medea inviò il suo dono di nozze alla novella sposa: una corona d’oro e un manto bianco.
Appena, però, la sposa ebbe indossato la veste nuziale, questa prese fuoco provocandone la morte e quella di tutti coloro che si trovavano a Palazzo; Giasone si salvò solo perché riuscì a buttarsi giù da una finestra.
Non ancora soddisfatta, Medea giunse ad escogitare e mettere in atto la più orrenda delle punizioni per il marito infedele: quella di uccidere due dei figli avuti da lui.