Archive for gennaio, 2014


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Che cosa ne è stato di Seth, Signore della Distruzione? Verrà scaraventato nel Mondo Sotterraneo a scontare le sue malefatte, vien da pensare.
Invece no!
Il Dio-Supremo dispone per lui un “castigo” assai singolare: Seth sarà condannato a proteggere la Barca Solare nel suo percorso notturno dagli attacchi di Apep (meglio conosciuto come Apofi), il Grande Serpente Primordiale.
Apep è la Forza della disorganizzazione primordiale; se guerre e carestie si abbattono sul Paese, é perché la Barca Solare si è arenata sul “banco di sabbia” di Apep.
Apep e Seth si assomigliano, ma non sono uguali. Sono due aspetti del Male, ma assolutamente diversi. Seth è il “male necessario”: l’inondazione disastrosa o la tempesta del deserto, che si posso imbrigliare e controllare. Apep, invece è il “male assoluto” il cui scopo é solo l’annientamento.
Seth il Perturbatore, è Colui che sconvolge le regole e l’ordine dell’Universo, Apep il Distruttore, è colui che mira alla distruzione dell’Universo: una lotta che si ripete ogni notte a bordo della Meskhenet, la Barca Solare Notturna.
E’ la lotta fra il Bene e il Male e sarà proprio Seth, ogni notte, ad uccidere Apep con la sua Fiocina da bordo della Barca, per ritrovarselo davanti la notte successiva.
Così sarà fino alla fine del mondo… fino a quando regneranno ordine e giustizia.
Tutto questo, Horo vincitore, deve riferire al padre, Osiride, affinché la sua “passione” si compia e dia i suoi frutti.

Vita, morte, cicli vegetativi, rinnovo generazionale: l’uomo antico e non solo l’antico egizio, subisce la quotidianità di tali complessi fenomeni ed é da essi che attinge per creare i propri miti. Le acque in secca, la natura spoglia, sono espressione di morte; la germinazione, il rigonfiare delle acque, sono espressioni di rinascita.
La Natura rinasce. Osiride rinasce, ma è l’azione di suo figlio a compiere il miracolo.
Immobile e passivo, ma “in potenza”, nel luogo nascosto ed inaccessibile del Busiris, che gli antichi egizi chiamano Gedu, Osiride aspetta l’arrivo del figlio.
Lo chiama:
“Oh, Horus, vieni a Busiris!
Provvedi.
Fai il giro della mia casa
Vedi le mie condizioni…”
Ed Horo accorre, ma non prima che il tempo sia maturo, poiché l’anima di Osiride è il grano che germoglia e il ciclo della fertilità della Natura deve essere completato.
Così si legge nei Testi delle Piramidi:
“Il cielo è buio, la Terra trema.
Horus viene, appare Thot
Essi sollevano Usiris su un fianco
lo fanno comparire davanti alla Divina Compan accorre personalmentegnia…”

Di altro tono, però, è la composizione dei Testi dei Sarcofagi, d’epoca più tarda, quando identificarsi con Osiride non era appannaggio di soli Re e nobili, ma anche della gente comune.
Horo non accorre personalmente dal padre, ma manda un messaggero in vece sua, alterando, in tal modo, la sequenza stessa del mito.
Horo prega suo padre di aspettare. Anzi, lo sollecita a scuotersi ed a regire: lo invita a fare appello alle proprie energie.
“Guardati nella tua condizione e metti in movimento l’animo tuo.
Fallo venir fuori e controlla il movimento, sì che il tuo seme
si sparga fra il genere umano…”

Il Messaggero che Horo invia al padre è un Essere divino e primordiale che egli investe della propria forma di Falco-Divino ed a cui infonde il suo Santo Spirito.

Impossibile, a questo punto, non riscontrare un’altra analogia: quella con la TRINITA’ ebraica e cristiana: PADRE – FIGLIO – SPIRITO SANTO (quest’ultimo, sotto forma di colomba)

Il viaggio del Messaggero è un racconto pieno di pathos e di estrema vivacità.
La Duat, il Mondo Sotterraneo, è un posto pieno di insidie e pericoli. Ma non sono soltanto demoni e spiriti malvagi, paludi, orridi e caverne a creare difficoltà al Messaggero Divino.
Le stesse Divinità si mostrano poco disponibili con lui, tanto che più volte il Supremo deve intervenire in suo soccorso:
“Horus è assurto ai suoi troni e questo (il falco) che ha la sua forza.
E’ un potente egli stesso ed é uno che il suo signore (Horo)
ha equipaggiato e investito dell’animo suo…”
oppure esortare:
“La Sacra Via sia aperta per lui quando i Demoni
vedranno la sua forza e udranno quello che ha da dire.
Giù! Col viso a terra, o Dei del Mondo Sotterraneo…”

E così, al passaggio del Falco-Divino, tutti gli Dei degli Inferi si ritirano per lasciargli il passo: gli Abitanti delle Caverne, i Custodi della Casa di Osiride, Aker, il Guardiano delle Porte, i Custodi del Cielo e i Sorveglianti della Terra. Perfino Ruty, il Demone più infessibile, che dimora in una caverna all’estremo nord del mondo e che si mostra il più ostinato fra tutti, poiché il Falco non porta la Corona Nemes, simbolo di potere, finisce per arretrare.
Tutti, alla fine, sono costretti a cedere di fronte al potere del Falco-Divino, che gli viene direttamente da Horo, il nuovo Signore dell’Universo.
Gli viene riconosciuto il diritto di proseguire e gli vengono consegnati Corona ed Ali e finalmente il messaggero può raggiungere la Casa di Iside, nella Palude, per farsi raccontare della nascita di Horo e delle sue peripezie da riferire a suo padre Osiride.
Da qui potrà spiccare il volo verso l’alto e chiedere a Nut, Signora delCielo, il permesso di attraversare la volta celeste, possibilmente indenne dalle insidie che vi si nascondono.

Un viaggio lungo e irto di pericoli, dunque, quello del Falco Divino, prima di poter raggiungere gli Inferi e Busiris, la Casa dove Osiride giace sempre immobile e sofferente e in attesa di notizie.
Il Falco lo informa della grande vittoria conseguita da suo figlio sul nemico e l’annientamento di questi e gli riferisce la volontà del Supremo di ritirarsi e lasciare il comando dell’Universo ad Horo, suo erede legittimo, quinto nella linea di successione:
– Atum il Supremo
– Shu, suo figlio
– Geb, il di lui figlio
– Osiride, figlio di questi
– Horo

Così come il Benu, la Fenice, fu Angelo dell’Annunciazione della Vita, ora il Falco-Divino è Angelo dell’Annunciazione della ricostituita Ma’at, ordine e giustizia universale.
Il viaggio, che anche l’anima del defunto dovrà affrontare, è diviso tre tappe: dalla terra per raggiungere il cielo e dal cielo per ridiscendere nel mondo sotterraneo.
L’essenza del mito, dunque, é che Osiride esprime sia le forze cicliche dell’uomo (nascita, vita, morte) che quelle della Natura (acque e vegetazione), ma anche dell’intero Cosmo, con la Luna, le Stelle, il Sole, la Luce e le Tenebre.

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La Leggenda di MERLA e TIBALDO

Da sempre chiamiamo “Giorni della merla” gli ultimi, rigidissi tre giorni del mese di gennaio.
Molte leggende sono sorte intorno a questo fenomeno atmosferico e in questa sede ne presento una: forse, la più romantica e triste insieme.
Viveva, nel ‘500, nella Rocca di Stradella, in provincia di Pavia, una nobile famiglia di gastaldi di nome Merli.
Tibaldo, un giovane della famiglia, fu inviato a Pavia a studiare. Terminati gli studi, il giovane ritornò nel contado.
Qui incontrò una giovanissima ragazza di nome Merla e se ne innamorò; Merla era talmente bella, che in tutto il contado si diceva: “Bella come la Merla”.
La ragazza ricambiò immediatamente il sentimento di Tibaldo, ma un grosso ostacolo separava i due innamorati: il grado di parentela.
Merla e Tibaldo, infatti, erano cugini stretti.
Per un po’ i due innamorati riuscirono a tenere segreta la loro relazione, infine, dovettero rendere pubblico quel loro amore senza speranza.
Sembrava, ai due giovani innamorati, che non ci fosse per loro altra soluzione che un romantico suicidio.
Quel sentimento, però, così forte, profondo e sincero, finì per attirare su di loro simpatia, benevolenza e comprensione.
Lo stesso vescovo di Pavia, parente dei due giovani, si mosse a commozione e riuscì ad ottenere una dispensa papale che consentisse loro di sposarsi.
Le nozze furono celebrate in pompa magna e i festeggiamenti si protrassero per tre giorni: gli ultimi, tre gelidi giorni del mese di gennaio e tutto il paese vi partecipò.
Il festoso evento, però, finì in tragedia.
Per raggiungere Pavia, i due sposi attraversarono il Po gelato a bordo della loro carrozza.
Durante il viaggio, la superficie gelata del fiume si ruppe e i due giovani sposi finirono tragicamente annegati.

GELOSIA

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La principessa Jasmine si ristabilì presto; tre giorni dopo si sentiva già abbastanza in forze. Seduta sulla sponda del letto, si teneva le ginocchia con le dita delle mani intrecciate; la spalla le doleva ancora.
Si girò, due o tre volte, per guardarsi intorno: il letto di Rashid. Grande, largo, basso. L’aveva accolta tra le coltri calde, tranquille e sicure per ben tre giorni e tre notti.
Il letto di Rashid. Immenso e soffice, dove lui consumava le sue notti d’amore e di passione con altre donne, avvolto in quella stessa grande coperta di broccato amaranto.
Chiuse gli occhi e quasi di sorpresa l’assalì il pianto, quel bisogno antico sollecitato dal dolore, quel privilegio quasi del tutto femminile che doleva come una ferita fisica. Poteva “vederlo”, il suo Rashid, disteso accanto “all’altra”, avvinghiato in spasmi di passione, in una fusione di respiri ansanti, soffocati dall’intensità del piacere…. all’altra… a Selima… A Selima, a cui lui prestava fede più che a lei… d’un tratto la sua voce, come evocata dai suoi pensieri:
“Jasmine, amore mio. Sono felice di vederti seduta e non distesa nel letto. Letizia, qui fuori, mi ha detto che stavi riposando.”
Jasmine trasalì; era di spalle e non lo aveva visto né sentito entrare. Non si voltò, ma lasciò scivolare in avanti le gambe.
Non indossava più la veste da notte, ma un’ampia tunica color sabbia ricamata in oro che le lasciava scoperte solamente le braccia. Era stata la piccola Agar, la figlia minore di Alina, ad aiutarla a vestirsi. Agar in quei tre giorni non l’aveva lasciata mai sola un istante per farsi raccontare favole d’amore; la sua voce, adesso, proveniva da fuori squillante ed allegra.
Rashid avanzò a passi lenti; raggiunse l’immenso letto e lo aggirò. Immobile, Jasmine si calò sul bellissimo volto il velo di seta blu e nascose il rossore di quei pensieri.
Rashid l’aveva raggiunta.
“Non farlo.” le sorrise.
Quante volte aveva ripetuto quella frase.
“Non farlo.” ripeté, prendendo tra le sue entrambe le mani di lei che stringevano i lembi del velo, ma questa volta lei si liberò della stretta e si sistemò il velo sul capo.
“E’ sconveniente che io mostri il volto ad occhi maschili. – disse, sottraendogli la visione del bel volto in fiamme e concedendogli solo l’emozione dei suoi occhi verdi – Come è sconveniente che io continui a dormire nel tuo letto, Rashid. – lui fece l’atto di replicare, ma lei lo prevenne – Sei stato molto generoso, Rashid, ad ospitarmi qui, ma è ora che io torni sotto la mia tenda – .” aggiunse in tono che non ammetteva repliche.
E Rashid non ne fece. Non subito, ma tese un piccolo cesto di datteri.
“E’ un regalo di pace da parte di Selima. – disse con un sorriso conciliante – Dice di essere mortificata per tutta questa situazione e che vuole chiarirsi con te.” aggiunse sedendo sul letto accanto a lei.
“Sei stato da lei? – domandò Jasmine con voce incolore ed a testa bassa, mentre un lampo le attraversava lo sguardo, poi, mutando di tono – Lo voglio anch’io! – mentì – Rassicurala… Rassicura Selima… quel giorno vaneggiavo…. L’hai detto anche tu che vaneggiavo…”
Mentiva, con quell’accento persuasivo, soavemente ingannevole, dolcemente remissivo. Aveva imparato a mentire in quei tre giorni trascorsi nella languidezza abusiva di quel letto su cui adesso erano seduti entrambi, ma che custodiva tracce di altri corpi femminili… di Selima.
Aveva imparato a mentire per nascondersi e non mostrarsi ferita agli occhi di lui. Aveva imparato a mentire perché tutte le sue difese erano concentrate nell’istinto che l’aveva sempre protetta e l’istinto ora le suggeriva di mentire, mentre inquietudine e gelosia le contraevano la carne e arrivavano ovunque, passando attraverso lo sguardo.
Aveva imparato a mentire e Rashid ne era dolorosamente consapevole.

Il suo sguardo, però, non mentiva, né mentiva il sorriso, triste e privo di quegli angoli ai lati degli occhi. Ed erano solo quelli, di tutta la persona, che lei gli concesse di guardare: perfino la bocca, colorata come un fiore di melograno e anche il naso che si levava elegante e curvo, lei gli aveva sottratto alla vista.
Lei fingeva di credergli, fingeva di adattarsi alle sue congetture e lui ne era consapevole, mortificato e addolorato: lei lo faceva con dolcezza soave, ma con dolorosa certezza e lui si sentiva colpevole, ma non sapeva spiegarsi di quale colpa. Colpevole e basta!

Il giovane si alzò; posò un ginocchio a terra davanti a lei e con gesti delicati e pieni d’amore le prese tra le mani il volto velato, sfiorandone i contorni con trepida dolcezza.
“Jasmine, mia adorata, vuoi diventare la mia sposa?” proruppe, mentre le dita scivolavano con dolce lentezza sulle sopracciglia frementi, le ciglia abbassate e le labbra tremanti; il velo era bagnato di lacrime.
Un fremito, però, gli contrasse la carne: Jasmine scuoteva il capo in segno di diniego.
“Jasmine, mio tesoro…”
Rashid era sinceramente stupito; si aspettava fremiti, aneliti, slanci di gioia e invece lei lo respingeva.
“Se me lo avessi chiesto prima… – la udì sussurrare – Non oggi… Non oggi, Rashid!”
“Ma perché? Perché, Jasmine, mia adorata?”
“Troppe ombre tra noi, Rashid.”
“Ma io ti amo, Jasmine, Luce degli Occhi miei! Io non ho altro desiderio che svegliarmi al mattino con te tra le braccia.”
“No! – lei continuava a scuotere il capo – Non oggi, amore mio. Non oggi, sull’onda di tante emozioni… Non sulla spinta di tante emozioni.”
“Tu.. tu credi, amore mio, che la mia richiesta sia dettata dall’emotività di questi eventi?… Oh, Jasmine…” proruppe il grande predone, affondando il capo nel grembo caldo e soffice di lei e circondandole la vita con le braccia.
“Chiedimelo ancora, Rashid, se mi ami… Ma non oggi. Non oggi.” gli sussurrò lei, chinando il capo fino a sfiorare quello di lui e ponendovi le labbra, poi gli scompigliò i capelli neri, folti e ricci, così come si fa con un bambino che vuol essere consolato dalla sua piccola grande pena; glieli accarezzò a lungo, con movimenti dolcissimi e lenti e di infinita tenerezza.
Il rais sollevò il capo; afferrò entrambe le mani di lei e se le portò alle labbra tremando: lui, l’uomo davanti a cui, eccetto la Natura, tutti chinavano il capo.
“Se è la presenza di Selima a impedirti di essere felice, amore mio, io la rimando oggi stesso alla sua gente. E allontanerò da questa casa ogni altra donna che risultasse non gradita alla mia principessa.” disse alzandosi e tornando a sederle accanto.
Con gesti di infinita tenerezza le tolse il velo, che posò alle loro spalle e le sciolse i capelli che Jasmine aveva legato sulla sommità del capo; lei lo lasciò fare e si lasciò attirare nell’incavo delle sue braccia forti e protettive.
“Non è questo che voglio…. ma, se Allah… – disse, infine, sollevando su di lui gli occhi verdi in cui un’ombra navigava veloce – … se Allah ti ha concesso l’amore di altre donne, io vorrei che non ci fossero ombre…”
“Oh, Jasmine! Nessuna donna all’infuori di te!” la interruppe lui con enfasi attirandola a sé con quella dolce violenza con cui lei lo immaginava impegnato con altre donne e la baciò con dolce passione. Un bacio tenero e indugiante. Sensuale. Che suscitò furiosa eccitazione e spasmi impetuosi in lui ed inconfessati desideri in lei.
“Letizia ha ragione, dunque!” sussurrò come trasognata, Jasmine, bruciata da quel liquido fuoco vivo che le scorreva nelle vene e dentro le ossa, alimentato dalle mani di lui che la cercavano e la percorrevano.
“Che cosa dice Letizia?” mormorò Rashid, quasi distrattamente e con le labbra chiuse intorno all’orecchio di lei che spuntava come una rosea conchiglia tra i capelli.
“Che un uomo innamorato sa trovare nella donna che ama, tutte le qualità che Allah ha distribuito in tutte le altre donne!”
“Sì! Letizia ha ragione!” assentì lui e si disse che un uomo davvero innamorato avrebbe desiderato la sua donna anche dopo averla appena posseduta. Si disse che lui, ogni volta, posseduta una donna, mai pago e sempre insoddisfatto, non aveva mai desiderato di trattenerla e che aveva provato sempre un senso di sollievo, dopo, a vederla scivolar via dal suo letto.
Quella sua abilità erotica, si disse, quella capacità di trarre piacere senza coinvolgimenti emotivi, non valevano per la sua Jasmine: lei lo appagava soltanto guardandolo negli occhi.
Le labbra lasciarono l’orecchio per cercare il mento e poi la gola e tornare ancora alle guance, alle palpebre e fermarsi alla bocca.
“Resta, Jasmine.” pregò.
Ma lei non restò.

(brano tratto dal romanzo “IL RAIS- Fiamme sul deserto” … prossimamente

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HORO-GIOVANE…. il Salvatore

Salvatore di Osiride e Salvatore dell’umanità.
Se Osiride è considerato il Dio della gente comune poiché al contrario di Ra, Ptha o Ammon non fornì mai un base al potere politico, Horo è certamente una delle massime concezioni del pensiero filosofico religioso della cultura eglizia.
Ad Horo è affidata la missione di riportare Ordine e Giustizia in un mondo caduto nel Disordine e nella Confuzione compromessi e stravolti da Seth il Perturbatore.
Suo padre Osiride è morto e; giace inerte e completamente passivo e questo stato di cose durerà fino a quando il suo erede non vincerà sui nemici.
I nemici di Horo sono Seth e i suoi sotenitori.
La lotta sarà lunga e terribile, poiché Seth, nel mito osiriaco, è la personificazione della Morte e del disfacimento fisico. Sarà una battaglia durissima, a tratti tragicomica, durante la quale Horo strapperà i testicoli a Seth e Seth caverà un occhio, quello sinistrao, ad Horo.
Una lotta senza quartiere che si trascinerà per lungo tempo senza vinti né vincitori, ma che sconvolgerà “l’età d’oro” istaurata da Osiride e spingerà La Divina Compagnia ad intervenire perché vi si ponga fine.
Sarà Thot, Personificazione dell’Ordine, incaricato da Atum il Supremo, del delicato compito.
“Oh, Thot! Che cosa sta succedendo fra i figli di Nut?
Essi han creato la lotta; hanno eccitato la confusione.
Hanno agito male, hanno suscitato la rivolta…”

HORO… il Salvatore
Seth e Horo, i due Contendenti, saranno chiamati a interrompere le ostilità e presentarsi al cospetto della Divina Compagnia che deciderà a chi dei due assegnare la palma della vittoria e il diritto ad occupare il trono d’Egitto.
Il Giudizio divino favorisce Horo: Ordine e Ragione prevalgono su Disordine e Violenza.
Horo è riconosciuto erede di suo padre; é riconosciuta la discendenza paterna ed assicurata la pace e la giustizia.
“…. la Terra fu solcata e sconvolta dai due che avevano combattuto
………. La contesa ebbe fine. La lotta si fermò.
L’ardente fiamma fu spenta. L’odore del sangue spazzato via…”
Horo vincitore può finalmente prendere il potere e sedere sul trono come Nuovo Re e subito dopo partire per recarsi nel Mondo Sotterraneo a portare al padre, sempre inanimato ed immobile, la Buona Novella.

Osiride giace nel Mondo di Sotto, ma non è morto, bensì trasformato in forza “inerte” della Natura che aspetta di “mettersi in movimento”
“Il mio corpo alla Terra
La mia anima al Cielo.”
farà dire, in un testo risalente all’epoca del faraone Zoser.

Sarà suo figlio Horo, il Nuovo Signore dell’Universo che, rendendolo consapevole della Buona Novella del ricostituito Ordine Cosmico, “metterà in movimento” il suo corpo inerte e lo scuoterà dallo stato di incosciente torpore:
“Sorgi, Tu che fosti buttato giù a Nedit!
Respira felicemente in Pe!”
e ancora:
” Questi é Horus che parla.
Egli ha allestito un processo per suo padre
Si è rivelato padrone della Tempesta (Seth)
Si è opposto alle tonanti minacce di Seth…”

Osiride è riportato in vita. Osiride si scuote. Rinasce. Rivive, ma non nella vecchia forma, bensì come Spirito della Vegetazione, poiché egli è la Natura. La Natura così come era intesa all’epoca: con la desolazione estiva e lo spirito della vita che poteva addormentarsi e morire, ma che poi si svegliava per tornare a vivere.
Altrettanto era il destino di Osiride:
“Se ne andò, si addormentò, morì.”
ma poi, la salvezza ad opera del figlio Horo:
“Tornò, si svegliò, vive di nuovo!”

L’intervallo, però, tra queste due fasi, la Morte e la Resurrezione, è un momento critico e delicato. Pieno di pathos. Il pericolo di disfacimento e corruzione fisica è altissimo.
E’, questo, l’acme dell’intero dramma.
Vulnerabile ed inerme, esposto ad ogni insidia, l’Inanimato Osiride, ma anche lo Spirito della Natura che simboleggia, così come il corpo del defunto che in Lui si identifica, hanno bisogno di protezione.

Questa “vigilia”, questo periodo di “transizione”, nelle vicenda di Osiride era colmata dalla “veglia” e dal pianto di Iside e Nefty in attesa di Horo.
Nelle vicende umane, invece, erano familiari, amici e prefiche ad assistere e piangere il defunto. Lo facevano nel corso delle numerose cerimonie funebri, come quella, fondamentale, della “Apertura della Bocca”.
Era sempre un momento di grande tensione emotiva.
Il sacerdote esorcista funerario di massimo grado fingeva di dormire e di svegliarsi al richiamo della voce che lo “chiamava in soccorso”.
Così il Rito. Così il Mito.

Nel Mito, quello risalente ad epoca successiva, Osiride invoca il soccorso del figlio Horo che discende nel mondo sotterraneo, lo raggiunge e lo libera della “Immobilità”, annunciandogli la Buona Nvella: la Ma’at, il Ricostituito Ordine delle Cose e della Giustizia.
Da Osiride, invece, Horo riceve il Ka, ossia lo Spirito e l’eredità del Comando e può prendere il suo posto sul trono.
Ora che è “riemerso” dalle tenebre, rinato e risorto, Osiride può finalmente liberare la propria Anima.
Egli, che giaceva impotente in un nero antro del Mondo Sotterraneo, avvolto nelle spire del serpente Nehaher, al comparire del Disco Solare mostra i primi segni di rianimazione. Il Disco Solare sta attraversando gli Inferi nel suo percorso notturno e nel vederlo dice:
“Oh, Osiride, Tu che il Grande Serpente circonda
e voi, o sanguinari, che precipitate a capofitto,
…………..
Possa la mia Luce illuminare la tua Caverna
senza che ilserpente se ne accorga…
… Sorgi dalla Terra.”

I “sanguinari” sono gli avversari di Osiride e seguaci di Seth, che la potenza di Horo ha già atterrato e il “sorgere dalla Terra” è l’attestazione del trionfo di Osiride.
E’ il momento più elevato del dramma. E’ il momento della vittoria e del trionfo: é l’apice della Rinascita e della Trasformazione di Osiride.
Anche l’opera di Horo è terminata; come terminata è l’assistenza di Iside.
Questa è la volontà del Dio -Supremo! Atum in persona è entrato in scena a questo punto del dramma. Con lui c’é l’onnipresente Thot, Signore dell’Ordine.
E’ il momento culminante della trasformazione di Osiride, ma non è più quello della “passione”, bensì quello del “trionfo”.
Nella “passione” erano state Iside e Nefty a sorreggerlo, nel “trionfo” è Atum il Supremo a condurre l’azione. E’ Atum ad autorizzare ogni atto da questo momento: la consegna dell’”Occhio di Horo” e della “Parola divina”, simboli di Vita-attiva e di Supremo-potere.
Ed é Atum a sollecitare l’arrivo del Vento del Nord che con il suo respiro annunzia l’Inondazione e l’inizio del nuovo ciclo di vita della Natura e della Resurrezione del Dio morto.
Osiride ha lasciato il luogo di tenebre e d’ora in poi dimorerà nel Luogo Primevo e il suo trono poggerà sul Tumulo della Creazione, nella “Niwt”, la “Vittà Luminosa”, dove ridìsiederà per Giudicare.
Per farlo, Egli siederà in un Palazzo del Tumulo, che è al centro del Mondo.
Egli è Signore della Rettitudine e Signore dell’Ordine della Natura e dello Spirito della Germinazione.
Osiride, dunque, è il Signore dei defunti i quali dopo un esame da parte di 42 Giudici Divini, vengono condotti in sua presenza da Horo per essere giudicati.

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LA TRIADE o SACRA FAMIGLIA

Le vicende di: OSIRIDE – ISIDE – HORO

La più complessa, ma straordinaria espressione del pensiero etico-filosofico-religioso egizio è senza dubbio la figura di Osiride.
Osiride è diverso da tutte le altre Divinità.
Osiride è simbolo del dramma dell’esistenza umana: l’ineluttabilità della morte e la speranza della resurrezione. Osiride è il simbolo del Ciclo: Vita-Morte-Resurrezione.
Osiride è la “vittima” per eccellenza: viene sacrificato, ma il suo sacrificio e la sua passione, vengono compensati dalla Giustizia e dall’Ordine Universale ristabiliti.
Sposo e padre amato, viene soccorso dalla sposa Iside e dal figlio Horo…

Ma vediamo un po’ più da vicino il Mito di questa “Sacra Famiglia” e le sue vicende quasi umane.
Nut e Geb, Signora del Cielo e Signore della Terra, avevano quattro figli: Osiride, Iside, Seth e Nefty. Iside ed Osiride, narra il mito, erano innamorati ancora già nel grembo materno. Belli, generosi ed operosi, costituivano la coppia perfetta. Al contrario degli altri due figli della coppia divina, Seth e Nefty, che si detestavano cordialmente ed erano irresistibilmente attratti l’uno da Iside e l’altra da Osiride.

I Testi, gli Inni, le Litanie che raccontano questo Mito, però, non hanno i toni e gli accenti del dramma e della tragedia; però, sono pervasi dal dolore profondo della “Passione” e dalla esultanza della “Resurrezione”: Osiride è Fondatore di una “Epoca d’Oro” raggiunta attraverso la instaurazione della Giustizia e dell’Ordine.
Recita un Inno del Nuovo Regno:
“Egli stabilì la Giustizia su tutte e due le sponde
Mise il Figlio al posto del Padre…”

Ma Osiride ha un grande nemico. Si chiama Seth ed è suo fratello minore.
Seth è litigioso, violento e irascibile. In una parola: Tempestoso. Seth è la personificazione della Violenza e della Forza Cieca. Perfino la sua nascita fu una esplosione di forza a violenza.
“Tu, che la Dea pregnante, Nut, Signora del Cielo, partorì
quando spaccasti il Cielo in due,
Tu sei investito con la forma di Seth,
che proruppe fuori con violenza…!”
Fu Seth a distruggere l’Ordine Precostituito delle Cose e lo fece uccidendo Osiride.

Come avvenne il fattaccio?
Varie le versioni di questo delitto.
Il mito più recente é quello riportato da Plutaro (II° secolo d.C.) che parla di una festa durante la quale Seth convinse l’ingenuo Osiride a stendersi in una cassa per vedere se riusciva a contenerlo, dopo di che, gettò la cassa nel Nilo.
La cassa, continua il mito, fu spinta dalla corrente fino a Biblos e finì su un albero che, crescendo a dismisura, attirò l’attenzione del Re di quella città il quale fece tagliare il tronco per farne la colonna portante del suo Palazzo.

Iside, giunta a Biblos, si fa consegnare il corpo dell’amato Osiride intrappolato in quel tronco e lo riporta in Egitto; qui, però, Seth, approfittando di un suo momento di disattenzione, riesce a trafugare la salma, tagliarla a pezzi ( 7 oppure 14) ed a gettarli in diverse zone del Paese.
Il mito più antico e primitivo, appartenente alla Teologia Memfitica, parla, invece, di annegamento nelle acque del Nilo e descrive così l’evento.
“Nefty ed Iside accorsero subito perché Osiride stava annegando.
Esse lo guardarono, lo videro e inorridirono.
Horo comandò a Iside e Nefty di afferrare Osiride per impedirgli di annegare…”

Altra versione, di Testi delle Piramidi ancora più antichi, indica un luogo chiamato Nedit, dove Osiride sarebbe stato ucciso, il corpo fatto a pezzi e i pezzi sparpagliati per tutto il Paese.
Ma ecco accorrere Iside in aiuto dell’amato sposo ed insieme alla sorella Nefty, andare alla ricerca dei pezzi e ricomporli attraverso una prima forma di imbalsamazione, con l’aiuto di Anubi, il figlio che Osiride aveva avuto da Nefty.
E’ la prima “mummia”, ma non è ancora la “Rinascita… per questo bisognerà aspettare che il dramma si compia per intero.
“Benefica Iside che protesse il fratello e andò in cerca di lui
né volle prendere riposo finché non l’ebbe trovato…”

Alla ricerca dei pezzi del corpo di Osiride, attraverso le paludi e le rive del fiume, Iside si era recata assieme alla sorella Nefty; li recuperarono in varie località: a Philae, a Letopolis, ad Abidos, ecc…. eccetto il fallo, ingoiato da un pesce.
Iside, però, voleva dare un erede al suo sposo amatissino, affinché da grande potesse vendicarne la morte. Cosa che fece, prima di dargli sepoltura.
Ecco come recita l’Inno:
“Ella ravvivò la stanchezza dell’Inanimato
e ne prese il seme nel suo corpo, dandogli un erede.
Allattò il fanciullo in segreto,
il luogo ove egli stava essendo sconosciuto…”
Quel luogo segreto, quel nascondiglio, era il Chemmis o Cespugli-Sacro e si trovava nelle paludi del Delta, nei pressi della cittadina di Buto.

Con la morte di Osiride anche la vita di Iside e quella del figlioletto Horo erano in pericolo: Seth si sentiva minacciato da quel figlio che crescendo avrebbe sicuramente vendicato la morte del padre, poiché, il rapporto scambievole fra il Figlio-vivente e il Padre-morto, fu sempre alla base del pensiero etico-filosofico-religioso dell’antico egizio.

Seth, infatti, racconta una tarda leggenda, catturata Iside, la rinchiuse in una filanda con le sue ancelle, ma la Dea con l’aiuto di Thot riuscì a fuggire e raggiungere la Palude del Delta e il Chemmis, dove, per l’appunto, dette alla luce il figlio di Osiride.
Qui, però, il piccolo era esposto ai molti pericoli della palude, come il veleno di serpenti e scorpioni, ma, soprattutto, il rischio di cadere nelle mani del malvagio zio Seth. Questi, infatti, assumendo la forma di serpente, strisciava nelle acque di quei pantani ed un giorno attaccò il piccolo Horo il quale, però, come recita l’Inno, riuscì a sconfiggerlo:
“… io ero un bimbetto lattante
e sebbene fossi ancora debole
abbattei Seth e lo intrappolai sulla riva…”

A vegliare sul pargolo divino, in verità, erano in tanti oltre al saggio, onnipresente ed innamorato Thot. Tante Divinità minori, tutte impegnate a giocare con lui e distrarlo: Bes, il Deforme Dispensatore delle Sabbie del Sonno, che per tenerlo quieto improvvisava grotteschi passi di danza con le sue gambette sgraziate; le Divinità della Palude, Pehut, Sechet ed altre, che cantavano per coprire il suo pianto onde non arrivasse alle orecchie di Seth.
Iside infatti era costretta ad allontanarsi dal Cespuglio-Sacro per andare in giro a mendicare per provvedere a se stessa ed al piccolo.
Durante il suo peregrinare, racconta il mito, seguita da 7 Scorpioni che le facevano da scorta, la Dea capitò in un piccolo villaggio. Qui, nel vederla da lontano, una donna molto ricca ma molto avara, senza riconoscerla, le chiuse la porta in faccia. Fu, invece, una fanciulla molto povera, figlia di pescatori, ad aprile la porta della sua casa e lasciarla entrare.
La cosa dispiacque molto ai 7 Scorpioni che decisero di dare una bella lezione alla donna ricca e ingenerosa. I 7 raccolsero tutto il loro veleno e lo misero in Tefen, il più malvagio di loro e questi strisciò sotto la porta di casa della donna e punse il figlioletto che stava giocando, ma che cominciò ad urlare dal dolore.
Disperata, la donna uscì dalla casa con il bimbo in braccio, correndo attraverso tutte le strade dl villaggio in cerca di soccorso; nessuno, però, ma poteva aiutarla.
Fu la stessa Iside, mossa a pietà del piccolo innocente, ad intervenire e ad ordinare al veleno di lasciare il corpo del bambino.
Pentita della propria ingenerosità, la donna ricca divise tutti i suoi averi con la fanciulla povera.

Di ritorno alle paludi ed al Chemmis, però, Iside trovò che anche il piccolo Horo era rimasto vittima del veleno di un serpente, opera del malvagio Seth e le sue grida di dolore l’accolsero insieme alle disperate invocazioni d’aiuto al Padre degli Dei, di Nefty, Selkhet e delle altre Divinità delle Paludi.
In quel momento la Barca di Ra stava transitando nel Cielo con a bordo l’intera Divina Compagnia e Nefty la invitò a richiamare la loro attenzione. Cosa che Iside fece immediatamente levando al cielo alti lamenti.
Quando la arca di Ra arrivò, spinta dal Vento Cosmico, ne discese Thot, Signore delle Scienze e della Magia, armato, dice il Mito
“… di potenza e di suprema autorità per mettere le cose a posto.”
Dopo aver confortato e rassicurato sia Iside che la sorella Nefty e tutte le Divinità della Plude, Il Grande Mago mise in atto il suo esorcismo e scacciò il veleno.
“Indietro, oh Veleno!
Tu sei esorcizzato dall’incantesimo delle stesso Ra.
E’ la parola del più grande degli Dei che ti caccia via.
La Barca di Ra resterà ferma e il Sole resterà al posto di ieri
finché Horo guarirà, per la gioia di sua madre!”
E Thot continua, con il suo incantesimo enumerando tutte le sciagure che avrebbero colpito la Terra e l’umanità se Horo fosse morto:
“… le Tenebre coprirebbero ogni cosa
Non ci sarà più distinzione di tempo.
Le Sorgenti saranno chiuse e il grano appassirà
e non ci sarà più cibo…”
E termina così:
“Giù! A terra, oh Veleno!
Il Veleno è morto.
La febbre non tormenterà più il Figlio dell Signora…
Horus vive di nuovo, per la gioia di sua madre.”

Horo, dunque, nacque, visse e crebbe fra i pantani del Delta e quando ebbe raggiunto la maggiore età si accinse a rispondere al richiamo di Osiride, sempre immobile ed impotente nel Mondo Sotterraneo ed ad affrontare il suo nemico: Seth il Perturbatore.
Il Giovane-Horo calzò i “sandali baianchi” che sua madre iside gli aveva consegnato e si accinse ad attraversare la Terra per andare in soccorsdo del padre, Osiride.