Category: Gli Enigmi della Storia


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Il falso storico più eccellente della Storia dell’uomo è senza dubbio la schiavitù in Egitto. La schiavitù degli Ebrei. Si legge nella Bibbia – Esodo
“Torme di schiavi assetati muovono giganteschi blocchi di pietra e schiene annerite dal sole e piagate dalle fruste si curvano nello sforzo immane; talvolta qualcuno cade sfinito dalla fatica per non rialzarsi mai più, mentre le gigantesche piramidi vengono innalzate lentamente…” e ancora:
“Vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi emanciperò dalla loro schiavitù”
Per secoli e generazioni si è prestato fede a questi “equivoci” E come sottrarsi a questa “verità”? Sulla Bibbia si giurava e da qualche parte si giura ancora. Da sempre si è creduto ed è stato fatto credere che la società egizia fosse una società schiavista: proveniva da libri, testi scolastici, incontri religiosi e da qualunque altra fonte.
I nostri occhi si sono riempiti di scene di sadismo e crudeltà, quelle riportate dalle illustrazioni di libri, da quadri di famosi pittori, film hollywoodiani e i nostri cuori si sono riempiti di compassione e di furore. Sprecata la prima, ingiusto il secondo.
Ma su che cosa ha fatto affidamento l’uomo comune, ma soprattutto lo storico e lo studioso, per così lungo tempo, nel sostenere questa affermazione? Su un libro che racconta che l’uomo è stato creato con un pugno di terra e che parla di un certo Giosué che ferma il sole con un gesto e un ordine.
Si riuscirà mai a rendere giustizia ad uno dei popoli antichi più civili, ma vilipeso ? Sono in molti a credere ancora che davvero Giosuè abbia comandato al Sole di fermarsi e che in Egitto davvero esistesse la schiavitù.
Oppure non sappiamo che cosa significa il termine schiavitù? Ecco cosa recita il dizionario: ” Condizione di chi è giuridicamente considerato come proprietà privata e quindi privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del proprietario.”
Senza addentrarci nella questione sotto l’aspetto antropologico o giuridico, una cosa la possiamo affermare, riguardo gli schiavi ebrei in Egitto: se uno schiavo forniva il lavoro senza trarne compenso alcuno, come potevano possedere… e ne possedevano, dice la Bibbia… beni e perfino servi?
Forse la risposta c’è! Forse perchè il lavoro di quegli “schiavi” era compensato da una retribuzione, un salario. Non solo. Quel lavoro era anche “tutelato” da un contratto: un contratto di lavoro. Non certo come quello dei giorni nostri. Diverso.Come diverso è il nostro concetto di “schiavo” rispetto a quello dell’antichità.
Mai, nell’Antico Egitto, proprio in quello più remoto, gli uomini furono considerati e trattati come merce che si potesse acquistare o vendere. Per indicarli, il termine era “hem”, che significa servo. I lavoratori, semplici operai oppure personale qualificato, beneficiavano perfino di assistenza medica.
C’erano, poi, altri lavoratori, nella qualità di prigionieri di guerra o di altra condizione che pestavano gratuitamente il loro lavoro e questi sono fatti assodati. Ma non era di certo una condizione che potesse chiamarsi schiavitù e la società non era certo schiavista. Si sa, invece, che questa seconda categoria di lavoratori, i servi., finivano sempre per integrarsi nella società stessa.
Che fossero mano d’opera o tecnici qualificati, gli operai beneficiavano di un contratto di lavoro e di un salario corrispondente alle loro competenze.
Varia la documentazione che riporta lamentele per mancato pagamento della retribuzione, per la richiesta di permessi e altro ancora, tutte situazioni assolutamente incompatibili con uno stato o condizione di schiavitù. In un papiro si parla addirittura di un operaio che chiede un permesso per curare l’asino ammalato e di un altro che chiede un alloggio più confortevole per la moglie che ha appena partorito.
A diffondere la diceria che la costruzione delle Piramidi si deve solo al lavoro degli schiavi, furono, soprattutto storici greci, come Erodoto…che però parlavano di qualcosa accaduto due mila anni prima. Oggi sappiamo che a costruire templi e palazzi non furono schiavi, ma lavoratori regolari, artigiani e contadini e personale qualificato, che percepiva un salario in natura corrispondente al lavoro ed alla qualifica.
Quanto agli ebrei costretti a lavorare sotto la sferza di capomastri sadici ed aguzzini, mentre alle spalle la Piramide lentamente si innalzava, è assolutamente falso: gli ebrei sono entrati in Egitto in epoca assai posteriore. Presumibilmente durante la XII Dinastia, come molti Asiatici,. Entrarono in massa, e come gli altri asiatici, inizialmente lavorarono come manodopera a buon mercato; in seguito riuscirono anche ad occupare mansioni di responsabilità. L’episodio di Giuseppe ne è uno degli esempi più lampanti.
A causa della loro mentalità e religione, assai diverse da quella degli egizi, non si inserirono mai nella società del paese che li ospitava. Erano arrivati bisognosi e quando non ci fu più bisogno, decisero di lasciare il Paese che li aveva ospitati. Probabilmente non onorando quei contratti di lavoro che avevano stipulato, che li faceva sentire schiavi perchè costretti ad un lavoro che non desideravano più fare. Questo ai tempi del faraone Ramesse II e di suo figlio Merempthha,.
E allora, chi erano i lavoratori “ebrei” citati nella Bibbia, costretti a lavorare alle Piramidi? Probabilmente popolazioni nomadi asiatiche che si spostavano lungo i confini egizi e che talvolta sconfinavano prestando occasionalmente la loro opera. Non è a questo tipo di prestazione, però, che si riferisce la documentazione egizia che ci è pervenuta, dove non si fa mai cenno a “schiavi” nella costruzione di templi e palazzi e monumenti, bensì ad una prestazione volontaria della popolazione, soprattutto contadini, durante il periodo di inondazione. Tre mesi, per la verità. Un obbligo per tutta la popolazione.
Assodato che la schiavitù, intesa come assenza totale di diritti legali, non esisteva in Egitto, quale era la condizione di coloro che occupavano l’ultimo grado della piramide sociale? Erano uomini e donne, spesso prigionieri di guerra o persone estremamente indigenti, privati della libertà, che si occupavano dei lavori più umili, ma che si vedevano riconosciuti i diritti più elementari.
Il loro status naturalmente mutò con il tempo. Così, nell’antico Regno, nell’epoca della costruzione delle piramidi, il lavoro era volontario, fatta eccezione dei pochi prigionieri di guerra, di razza libica e nubiana.
I primi “schiavi”comparvero durante il primo Periodo Intermedio, in arrivo dai mercato asiatici di schiavi, ma si dovette aspettare il Medio Impero per vedere le prime leggi in favore degli schiavi:con la disgregazione dello Stato Faraonico e il potere quasi illimitato dei funzionari di stato, sicuramente si verificarono degli abusi.Si comincia a parlare apertamente di schiavi, solo con la fine di questo periodo, ma un vero concetto di schiavitù lo si accettò solo con il Nuovo Impero. In questo periodo, infatti, affluì nel Paese una massa di prigionieri i quali col tempo si integrarono divenendo ad ogni effetto membri della società del Paese che li ospitava.
In quest’epoca, tutte le classi sociali potevano avere schiavi.

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Il legno su cui il Cristo subì il supplizio, oggi non esiste quasi più. In realtà, sparsi per il mondo vi sono decine e decine di frammenti custoditi in Stauroteche (questo il nome delle teche).
Il più grande di questi frammenti si trova a Roma nella Basilica di Santa Croce, fatta edificare da S. Elena, madre dell’imperatore Costantino.
Molti altri frammenti, in Italia si trovano: nel Duomo di Vico del Gargano, nella Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino,ecc.. e ancora: a Cantabria, in Spagna e così via.

Ma che cosa ne è stato della Croce e come è arrivata in Occidente, da Gerusalemme?
Bisogna tornare indietro di duemila anni fino al triste giorno della crocifissione e morte del Cristo.
Deposto dalla croce, sappiamo tutti, il Cristo non fu sepolto nel cimitero comune. Per gli Ebrei, seppellire in luogo consacrato un condannato a morte, era considerato un atto di profanazione e per questo un atto proibito.
Anche gli strumenti di morte, croce, spada, pietre… venivano sotterrati con il condannato o nei pressi del luogo della sua sepoltura, che era sempre il luogo ove era stato giustiziato.
Lo sapeva bene l’imperatrice Elena, già avanti negli anni, la quale non voleva morire prima di aver visitato i luoghi del martirio di Cristo.
Si recò, dunque, circa quattro secoli più tardi, in quei luoghi, nella zona del Golgota, alla ricerca di qualche traccia di quei fatti dolorosi.
A lungo si aggirò fra ruderi e grotte; fece scavare qua e là ed infine trovò in un anfratto tre croci e su una c’era scritto: ” Gesù Nazareno Re dei Giudei”.

Era una Reliquia molto preziosa. La più preziosa della Cristianità e tutte le Chiese ambivano possederne almeno un frammento.
La regina Elena cercò di accontentare un po’ tutti: lasciò a Gerusalemme il palo verticale, inviò a Costantinopoli al figlio, l’imperatore Costantino, un secondo pezzo ed un terzo lo portò con sé a Roma.
Molti altri piccoli frammenti, infine, presero altre vie, come si è già visto; sono gli unici rimasti e tutti insieme costituiscono soltanto il dieci per cento di tutta la Croce.

Ma che cosa ne è stato della Vera Croce (il palo verticale), quella rimasta a Gerusalemme?
Attraversò indenne più di un millennio, ma non superò la “valanga” Crociate.

Nella primavera del 1.119, re Ruggero fece arrivare la Santa Croce da Gerusalemme e la fece innalzare su una collinetta per sollevare il morale dell’esercito crociato.
Soprattutto Baldovino, re di Gerusalemme, praticava il culto della Croce e prima della battaglia la innalzava per mostrarla ai combattenti affinché infondesse in loro coraggio e ardimento.
In verità, la Chiesa di Gerusalemme non approvava la disinvoltura con cui i vari principi e sovrani esponevano la Sacra Reliquia ai pericoli delle battaglie.
E ne aveva ben donde.
Nel 1.187, durante la disastrosa battaglia di Hattin, contro Saladino, la Croce andò perduta e non se ne seppe più nulla.

Del legno impregnato del sangue di Cristo, dunque, oggi non rimangono che frammenti.

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Un nome così gentile fa pensare ad un bel quadro che ritrae una dolce fanciulla o ad un romantico romanzo di fine ‘800 con protagonista sempre una dolce fanciulla… e invece, la “Vergine di Norimberga” era un infernale strumento di tortura e di morte.
La mente umana è stata piuttosto prodiga nell’escogitare di tali strumenti, allo scopo di provocare nel disgraziato sottoposto a tortura il massimo della sofferenza, ma mai si era giunti a tanto.
La “vergine” era una enorme statua riproducente le fattezze femminili (chissà perché questa scelta di sesso…) , piuttosto innocua a vederla dall’esterno.
Il suo interno, però, riservava una forma di supplizio senza eguali: vi erano fissati coltelli e lame lungo tutta la superficie e due lame, più lunghe e sottili, erano piazzate all’altezza degli occhi.
Alla base era sistemata una doppia fila di lame rotanti sopra una botola che si apriva quando il disgraziato vi veniva introdotto per subire il fatale “abbraccio” della “Vergine”.
Le lame dell’infernale ordigno si mettevano tutte in azione
Contemporaneamente, facendo letteralmente a piccoli pezzi il condannato, i cui resti finivano, attraverso la botola, in un fiume sotterraneo senza lasciarne traccia.
Ma… quali gravi reati potevano meritare tanta spietata crudeltà? Il più comune era quello di eresia e poi tanti altri, fra i quali: omicidio, vilipendio alla religione, ecc..
L’aspetto più inconsueto era che ad emettere e ad eseguire tali condanne, non era un Tribunale statale, ma un Tribunale segreto: la famosa Santa Vehme.

Nacque in Westfalia, in Germania, alla morte di Federico II, quando il braccio di ferro dell’Impero con lo Stato Papale portò ad un indebolimento del potere imperiale.
La Vehme, che si definiva abusivamente Santa perché pretendeva di essere sostenuta dalla Chiesa di Roma, si prefiggeva di punire i colpevoli sfuggiti alla Giustizia normale e, per tale ragione, il numero di Tribunali andò sempre aumentando e distribuendosi su tutto il territorio.

Nessuno sfuggiva alla caccia: uomini di ogni ceto sociale, ma anche donne e bambini al di sotto dei dodici anni.
Una caccia spietata, sostenuta da semplice accusa; perfino in anonimato.
Poiché il pericolo di accusa era reale e poiché, al contempo, per entrare a far parte di quei Tribunali bastava cedere una congrua somma di denaro, furono in molti ad iscriversi alla Setta per evitare eventuali accuse e relative condanne.
Il Tribunale era così istituito: un Presidente della Corte e 14 Giudici, di cui 7 nobili e 7 borghesi, uno dei quali doveva assolvere al dovere di boia.
I Giudici, che erano anche membri della Setta, dovevano prestare Giuramento di fedeltà:
“Giuro sul mio onore di mantenere i segreti della Santa Vehme celati al Sole e alla Luna, all’uomo e alla donna, all’erba e alla bestia, al grande al piccolo. Giuro che non parlerò né per dono, né per spergiuro, né per paura né per amore, né per argento né per oro e neppure per capriccio di donna.”
Impossibile immaginare che un simile romantico giuramento nascondesse un segreto così orrendo come la “Vergine di Norimberga”.
La Setta più sanguinaria della Storia fu operativa per qualche secolo e il suo declino avvenne solo con il ritorno del potere imperiale e della Giustizia Governativa.

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Hashashin! Con questo termine era indicata la famosa Setta che tanto fascino perverso suscitò sull’Occidente.
Il termine “Assassino” deriva proprio da Hashashin, che significa: consumatore di hashish, una droga ottenuta dalla canapa indiana.
Il nome originale della setta era Isma’iliti, dal nome del suo fondatore, l’emiro Isma’il ibu Gia’ far.

Isma’iliti… da non confondere con Ismaelita.
Isma’iliti erano i seguaci della Setta mentre, invece, Ismaeliti erano (e sono) i discendenti di Ismaele, figlio di Abramo e dell’egiziana Agar.

Come in ogni setta, anche in quella degli Isma’iliti esisteva una gerarchia con a capo il Djebal, o Gran Maestro, meglio conosciuto come “Il Veglio della Montagna” e con prerogative di Monarca assoluto.

Del “Veglio della Montagna” si tanto favoleggiato, in Occidente: fiumi d’inchiostro e chilometri di pellicola.
E non sempre a proposito.
Si è sempre parlato della crudeltà della Setta, ma non si è mai… o quasi mai, fatto cenno alle ragioni delle sue origini.
Nacque durante le Crociate e lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali: difendere il Santo Sepolcro.
Dai Cristiani, però.
Gli Isma’iliti erano gli avversari dei Templari e dei Teutonici, dunque. Tra questi opposti Ordini di combattenti, però, c’era una sorta di cavalleresca intesa.
Soprattutto con i Cavalieri Teutonici.
Interessante notare anche quanto l’organizzazione dei due Ordini fosse simile sia gerarchicamente, che nel comportamento, duro ed intransigente fino alla crudeltà.
Gerarchicamente i Teutonici si presentavano con una piramide così composta: Gran Maestro, Grande Priore, Priore, frate, scudiero; l’Ordine islamico invece era così costituito: Djebal, Sheik, Daiikebir, dais, ecc…
Sia i Templari che i Teutonici, dunque, tennero con questa Setta ogni genere di rapporto e stipularono Trattati spesso senza tener conto delle disposizioni papali.
Vale per tutti l’esempio di Federico II di Germania.
L’imperatore tedesco, per una dozzina e più di anni, era riuscito a continuare a rimandare la sua Crociata (ogni Sovrano europeo aveva la sua bella Crociata), finendo per attirare sul suo capo la Scomunica Papale.
Finalmente, il Sovrano si decise a partire per la Terrasanta. Assistito dalla fortuna e soprattutto dalla sua capacità di guerriero e stratega, l’imperatore conseguì una straordinaria vittoria e non esitò a proclamarsi Re di Gerusalemme e ad auto-incoronarsi.
Amante dei fasti orientali (Federico possedeva perfino un harem), egli intrattenne rapporti cordiali con il “Veglio della Montagna”, l’emiro Al-Djebal, che invitò perfino alla sua tavola.
Si trattava di rapporti diplomatici, naturalmente, e il punto principale era il permesso ai Musulmani di praticare il proprio culto nella città santa di Gerusalemme, ma l’atmosfera era di reciproco rispetto.

La setta degli Isma’iliti, come ogni altra setta, era selettiva nella scelta dei propri adepti: giovani coraggiosi, atletici e con la vocazione all’obbedienza ed alla fedeltà più cieca ed assoluta; una volta entrati a farne parte, non era più possibile uscirne.
Si è sempre pensato ( e forse è anche vero) che alla base di tanta fedeltà al “Veglio”, ci fosse l’uso e l’abuso di sostanze come l’hashish, che schiavizzava i seguaci, rendendoli sempre più dipendenti del Gran Maestro, come accadeva (sia pur con altri mezzi, ai Teutonici).
Il caso, però, che li ha resi famosi, è legato soprattutto al sultano Aloylin, una figura inquietante, dispotica, sadica e crudele.
Di lui si raccontava che, per legare sempre più a sé i giovani adepti, egli ricorresse ad un espediente profondamente ingannevole. Li drogava con hashish e li faceva vivere per qualche giorno in un luogo di delizie ed incanti, serviti e riveriti da belle fanciulle pronte ad assecondarli in ogni richiesta. Passato l’effetto della droga, i giovani credevano davvero di essere stati in Paradiso, finendo in tal modo di cadere completamente in balia dell’infido Gran Maestro.
Annullata ogni loro volontà e personalità, i giovani adepti erano pronti ad eseguire qualunque ordine del Sultano, per tornare in quel “Paradiso”.
Perfino uccidere o uccidersi.
Sempre a voler dar fede a questi racconti, il sultan

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Ambigua e circondata dal più profondo mistero, era anche la Cerimonia di Iniziazione dei Templari, ispirata ai rituali dei Misteri Eleusini ed al culto di Mitra.
Ciò non deve stupire: il Culto di Mitra era praticato dai legionari romani, considerati i guerrieri per eccellenza e i Cavalieri Teutonici li avevano presi come esempio di condotta militare.
Cavalieri duri, dunque, a tratti anche spietati, ma ligi alle regole dell’Ordine, soprattutto a quella della più cieca obbedienza, che fece di loro un organismo compatto e con sempre maggior desiderio di espansione territoriale.

L’occasione arrivò quando, invece di combattere in Terrasanta, i Cavalieri Nero-Crociati, furono inviati in Occidente a difendere i luoghi di transito dei pellegrini tedeschi verso Gerusalemme ed a combattere popolazioni eretiche ed idolatre come i Prussiani.
La conquista del territorio fu un gioco per gli spietati Cavalieri dalla Croce Nera sul bianco mantello.
Come ogni altro conquistare, l’Ordine si affrettò ad edificare
castelli, cattedrali e, soprattutto, la città di Konigsberd , la sua Capitale.

La domanda che molti studiosi si pongono, riguardo quelle azioni belliche è: I Cavalieri Teutonici, si macchiarono oppure no di genocidio per conquistare quel territorio e fissarvi la loro capitale?
Certo è che, l’Unico Ordine Cavalleresco a fondare uno Stato, fu proprio quello Teutonico.
Alcuni studiosi suggeriscono che vi siano stati battesimi di massa, con la volontà della gente oppure contro di essa, altri, invece, parlano di vero genocidio.
Comunque sia andata, i Cavalieri hanno ubbidito ad un ordine, legati com’erano da cieca ubbidienza al Gran Maestro, il cui potere eguagliava quello di un Sovrano assoluto.
Ci si è chiesti anche quale non fosse la causa di una ubbidienza così totale, cieca e assoluta nei confronti della Causa e soprattutto del Gran Maestro.
Solamente la condivisione di segreti e misteri, è la prima risposta che, all’interno di un universo così esclusivo e chiuso agli estranei, doveva esserne il precetto primario .
Quali erano questi segreti e misteri? Di natura esoterica, dice qualcuno; scientifica, affermano altri… certamente, Conoscenze ignote ai più!
Prestare Giuramento era un atto irrevocabile, ma non bastava a fare dell’adepto un Cavaliere; doveva seguire un secondo Giuramento per rendere indissolubile il legame con il Gran Maestro .
Durante questa seconda Cerimonia, detta “Appannaggio”, al futuro Cavaliere veniva consegnato il bagaglio militare : spada, lancia, elmo, scudo, speroni e cintura per la spada.
Il tutto avveniva durante la celebrazione di una Messa Solenne e si concludeva con il Bacio della Fratellanza e con grandi festeggiamenti.
Tutto questo, però, non prima che il futuro Cavaliere non avesse messo per iscritto il suo giuramento di fedeltà all’Ordine e al Gran Maestro, fino alla morte e con l’annullamento totale del proprio individualismo.

Eletto a vita come un vero e proprio Monarca, il Gran Maestro possedeva le stesse prerogative di un Sovrano Assoluto, compreso quello di con potere di vita e di morte sui “sudditi”.
D’altra parte, le punizioni erano assai dure, essendo il perdono considerato una forma di debolezza.
Scrive lo storico L. Daillier:
“I Teutonici erano germanici e il Gran Maestro non era il rappresentante dell’Ordine, ma l’incarnazione, nella sua veste di capo spirituale-temporale, della potenza della morte, comunione perfetta del ferro, del fuoco e del sangue, sotto il simbolo della Croce.”

Oggi, per fortuna, dopo avere per secoli ispirato Sette, Istituzioni e Società Segrete (non sempre lecite), l’Ordine Teutonico sopravvive in una Istituzione religiosa e benefica con sede a Vienna, come si è già detto.
Le procedure di Investitura sono immutate dai tempi delle Crociate, e negli atti e nelle parole e perfino nell’ ”Appannaggio”, la consegna, cioè, della spada simbolica e, certamente, immutati sono anche i segreti che accomunano questi Cavalieri moderni, sia pure per altre ragioni che si sperano lecite e benefiche, così come affermano.

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Per cominciare, una nota è doverosa: troppe “crociate” in seno al Regno Crociato e non tutte combattute in Terrasanta.
Ci furono “crociate” contro i mori in Spagna e quelle contro i pagani nel Baltico; queste ultime, combattute proprio dai Cavalieri Teutonici.

Il nome completo dell’Ordine di questi Cavalieri era: “Fratelli della Casa Teutonica di Santa Maria di Gerusalemme” ed è l’unico, fra tutti gli Ordini Cavallereschi, esistente ancora oggi. La sua sede si trova a Vienna ed è una benefica istituzione di volontariato.

Come ogni altro Ordine di Cavalieri, la sua origine è circondata da segreti e misteri.
Secondo la leggenda, fu un mercante tedesco, in pellegrinaggio in Terrasanta, che, viste le precarie condizioni in cui versavano i suoi connazionali, decise di costruire una struttura ospedaliera, per soli tedeschi, dedicandola alla Vergine Maria.
Dopo varie vicissitudini, quasi tutte disperate e sfavorevoli alla causa, finalmente alcuni principi tedeschi si decisero ad intervenire, trasformando la struttura in un Ordine Cavalleresco: dotandolo, cioè, anche di una forza armata.
La Cerimonia di inaugurazione avvenne alla presenza dei capi degli altri Ordini dei Cavalieri, oltre che di principi tedeschi.
Questa investitura, però, condusse l’ospedale, pian piano, ma inesorabilmente, verso una radicale trasformazione: da Ente assistenziale si trasformò in struttura para-militare.
Si continuò ad assistere malati e feriti, naturalmente, ma sempre di più, si finì per occuparsi di faccende guerresche che contribuirono a cambiare sia lo spirito che la natura della Confraternita.
Se prima era facile entrare nell’Ordine, essendo la sua natura di carattere umanitario, dal momento in cui diventava Ordine Cavalleresco, l’adesione diventava faccenda assai più selettiva, aperta soprattutto a principi, baroni, duchi, militari, ricchi mercanti, banchieri… tutti, rigorosamente di nazionalità tedesca. Solo più tardi, ma molto più tardi, vi furono ammessi anche italiani, inglesi, ungheresi, ecc.. sempre di nobile estrazione.
Con affiliati di tale calibro, l’Ordine non tardò a diventare un organismo potente, prepotente e con non pochi episodi di violenza e crudeltà.
Gente dura ed inflessibile con se stessi e con gli altri, e pronta a sacrificare alla Causa, per l’appunto, se stessi e gli altri.
Gente dura e fiera di appartenere alla razza teutonica.

Proprio questo aspetto, però, finì per attirare su di loro l’accusa di nazionalismo (estraneo, fino a quel momento, alla Causa) e perfino di razzismo: una ambiguità che affascinò il 3° Right, durante la seconda guerra mondiale, fino a punto da volerlo prendere come esempio di modello da seguire.
A causa, infine, della forza e del carattere dei suoi seguaci, l’Ordine divenne sempre più ricco e potente, palesemente insofferente verso la sovranità papale, ma con il grande merito, grazie alle figure carismatiche di alcuni Grandi Maestri, di farsi “Mediatore” tra Stato e Santa Sede.
Un esempio di tale “virtù” si ebbe ai tempi delle grandi tensioni fra l’imperatore Federico II di Germania con la Santa Sede.
L’Ordine fece da intermediario fra il Papa e l’Imperatore tedesco che per più di una dozzina di anni aveva continuamente rimandato la partenza della sua Crociata (ogni Sovrano ne aveva una propria, indipendente dalle altre), adducendo sempre qualche scusa, tanto da attirarsi addosso una scomunica papale… ma questa è un’altra storia.

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Qualunque fossero, non avremo mai modo di conoscerli veramente, poiché qualunque azione veniva sbrigata nel più stretto segreto e quasi mai in forma scritta.
La regola scritta era riservata solo ai vertici dell’Ordine; tutti gli altri ne erano completamente all’oscuro.
Accanto alla Regola ufficiale, è ormai certo, ne esisteva una seconda, segreta e non ufficiale, consistente in
“3 articoli – come ebbe a dire il templare De Montpezat- che nessuno conosce e conoscerà mai. All’infuori di Dio, il diavolo e i Maestri.”
Intorno a questa Regola segreta si è molto favoleggiato.
Tracce di essa comparvero per la prima volta alla fine del ‘700, per scomparire e ricomparire circa un secolo dopo in una Loggia Massonica e scomparire poi definitivamente.
In essa vi era contenuta forse, la prova di una delle accuse principali rivolte ai Templari: quella di eresia?
Molto studiosi si chiedono ancora oggi se i “Cavalieri di Cristo” fossero davvero eretici oppure no.
Domanda che resterà sempre senza una risposta certa, soprattutto se si tiene conto che molti nobili, appartenenti all’eresia degli Albigesi si convertirono, entrando a far parte dell’Ordine. E’ presumibole pensare che qualcuno di loro abbia portato con sé anche il seme di quella eresia.

In realtà, in seno alla Chiesa erano sorti sospetti già da un secolo, quando l’Ordine era all’apice della propria potenza: Papa Innocenzo III, prima, e Clemente IV dopo, ammonirono più volte l’Ordine, minacciando un più severo controllo.
Poiché l’Ordine era costituito da monaci-guerrieri rudi, supinamente fedeli al voto d’obbedienza e nella maggior parte piuttosto ignoranti, è difficile ipotizzare, in siffatte persone, quella sottigliezza mentale capace di elaborare idee di eresia e disubbidienza religiosa.
Quanti Templari, dunque, erano (se lo erano) davvero eretici?
L’ipotesi potrebbe condurre all’esistenza di una seconda gerarchia al suo interno, indipendente da quella ufficiale: una società segreta, in seno all’Ordine, dedita a pratiche particolari come l’alchimia e l’esoterismo.
Non solo. E’ nota la passione dei Maestri Templari per l’arte della crittografia, come è noto che utilizzassero scritture segrete arricchite da simboli esoterici.
Numerosi messaggi criptati, infatti, sono stati trovati in molte delle strutture architettoniche dell’Ordine e nelle celle dove i Templari furono ospitai durante il Processo.

Il mistero più inquietante resta, però, quello legato agli atti blasfemi durante i riti di Iniziazione, come quello di sputare sulla Croce.
Si trattava di un atto di negazione del Cristo?
Assai improbabile per dei “Cavalieri di Cristo”.
E se fosse stato, invece, la negazione della Croce, essendo stata, la Croce, lo strumento di morte del Cristo?
Un’ipotesi, certo, ma non del tutto peregrina: questo tipo di eresia, che considerava il culto della Croce una forma di superstizione, era assai diffusa, all’epoca, e punita con il rogo.

Un’altra domanda: sciolto l’Ordine, che cosa ne fu dei Templari che sopravvissero ai roghi ed ai tribunali dell’Inquisizione?
Tornati alla vita civile, si presume che molti di loro abbiano ingrossato le file di mendicanti ed erranti. Molti altri, però, sia pure una minoranza, sono sicuramente riusciti a “consegnare” la Regola del Tempio a nuove generazioni. E sicuramente sotto altre forme: società segrete, associazioni e confraternite. In clandestinità e nell’anonimato.
Hanno attraversato i secoli, fino ad oggi, e rivendicato le proprie radici, affondandole nella “Regola morale dell’Ordine dei Templari.

SETTE e CONFRATERNITE: I Templari (terza parte)

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Il passo dal rancore alla vendetta fu breve e l’occasione gliela dette la visita a Parigi del Gran Maestro, preoccupato delle strane voci che circolavano sull’Ordine e sui Cavalieri.
All’alba del 13 ottobre del 1307, alla stessa ora e in tutto il territorio francese, uomini armati si presentarono alle Commende. ( i conventi con annesse proprietà, dei monaci-guerrieri). Circa 2000.
I soldati del Re arrestarono tutti i Templari e sequestrarono i loro beni con l’accusa di eresia, così formulata:
. rito segreto di Iniziazione attraverso cerimonia blasfema.
- Adorazione di un “idolo” non ben definito, da parte del Gran Maestro e delle alte gerarchie dell’Ordine.
- Omissione della consacrazione dell’Ostia durante la celebrazione della Messa
- Sodomia

Come ogni Confraternita che si rispetti, anche i Templari , in verità, avevano tutta una serie di rituali segreti, soprattutto legati all’Iniziazione, suggestiva, ma discutibile e talvolta incomprensibilmente blasfema, come risulta dalle Carte Vaticane del Processo intentato contro l’Ordine nel 1308.
Seguiamo una cerimonia d’Iniziazione.
L’adepto, accompagnato da due Scudieri, si reca alla “Casa dell’Ordine” dove, attraverso uno spiraglio, due Templari gli chiedono. “Cosa desideri?”
“Entrare nel Tempio.” è la risposta.
La porta si apre ed egli è condotto alla presenza del Gran Maestro e di 12 Templari, tutti con indosso il bianco mantello con sulla spalla sinistra ricamata la Croce.
Inizia l’Interrogatorio e segue il Giuramento, che si conclude con il “Bacio della Pace” sulla bocca, ma anche
(risulterà dagli atti di accusa) “in fine spine dorsi”… e non occorre traduzione.
Se gli atti di accusa sono veritieri, risulterà che all’adepto viene richiesto perfino di sputare sul Crocifisso… ma questo era un particolare ancora ignoto prima del processo e, in verità, un particolar assai debole, considerata la fonte: le “confessioni” ad un altro detenuto, di un Cavaliere espulso dal Tempio e finito nelle carceri di Parigi.

Ma torniamo al Processo.
Re Filippo ne affidò il corso a Guillaume de Nogaret, inflessibile ed implacabile Inquisitore della Chiesa di Francia ed amico suo personale.
Si trattava di un processo di carattere religioso e non spettava al Re intentarlo, essendo esclusivo diritto della Chiesa: un palese abuso di potere da parte della Francia.
Filippo, che voleva sbrigare la faccenda in poco tempo, ordinò la tortura per far confessare gli accusati e farli condannare al rogo, pena prevista dalla Chiesa Romana per quei “reati”.

Clemente V, però, il Papa, non ne fu affatto contento: il diritto di sottoporre a torture, mutilare e bruciare in nome di Cristo, spettava solo alla Chiesa ed egli rivendicava per sé e per la Chiesa quel “diritto”.
Nel febbraio dello stesso anno, egli annullò ogni potere dell’Inquisitore francese e pur tra le vivaci proteste di re Filippo, intentò un nuovo processo, conducendo personalmente l’interrogatorio su 72 Templari; gli altri furono interrogati da vescovi e cardinali.
La Chiesa era sempre stata dalla parte dei Cavalieri e questi, forse, si aspettavano lo fosse anche Papa Clemente.
Invece, il Papa (forse per opportunità o forse per timore nei confronti della Francia) ordinò lo scioglimento dell’Ordine: una decisione che segnò la fine dei Cavalieri.
Quelli che avevano confermato la confessione furono liberati, gli altri, condannati al rogo.
Quanto al Gran Maestro ed ai vertici dell’Ordine, proprio sul sagrato di Notre Dame, essi confermarono le proprie confessioni e vennero condannati al carcere perpetuo, ma il Gran Maestro, Jacques de Molay, appreso dello scioglimento dell’Ordine, ritrattò ed affermò che la Regola del Tempio era giusta, lecita e cattolica e che i Cavalieri non erano colpevoli di alcuna forma di eresia.
Re Filippo ordinò immediatamente il rogo per lui e gli altri.
Era il 18 marzo del 1314.
Il Gran Maestro affrontò il rogo senza l’abito sacro dei Templari, quale gesto simbolico d’affermazione d’innocenza ed accompagnò il gesto con una solenne Maledizione nei confronti delle due istituzioni, colpevoli di quelle morti: lo Stato e la Chiesa e predisse, entro l’anno, la morte dei rappresentanti di entrambe.
Gli eventi si verificarono esattamente in aprile e nel novembre del 1314.

A questo punto sorge una domanda: perché tante confessioni, nessuna delle quali sotto tortura? (solo re Filippo fece accompagnare gli interrogatori con la tortura)
La risposta sembra essere una soltanto: il Tempio aveva i suoi “segreti”, ma anche una limitata gerarchia a cui era consentito di accedervi.
Quali erano questi segreti?

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Durante i primi cento anni, lasciti e conquiste, consentirono all’Ordine di accumulare un’enorme ricchezza.
Una ricchezza incalcolabile, proveniente da donazione dei propri beni da parte degli stessi Cavalieri, lasciti di famiglie di nobili e ricchi mercanti, regalie di Principi e Re in compenso dei servigi ottenuti: un’enorme ricchezza in denaro, oro, terreni, palazzi, castelli, e altro ancora.
Da aggiungere a questa, l’enorme bottino portato via dall’Oriente.
Tanta ricchezza fece di loro i banchieri di Papi e Re e la sola sede di Gerusalemme non bastò più.
Se ne crearono molte altre: ad Antiochia, a Tripoli, in Francia, Inghilterra, Portogallo, Italia, Ungheria, ecc.. e l’Ordine divenne una vera e propria “multinazionale” economica, politica e militare.

Militarmente aveva una struttura assai diversa da quella degli eserciti delle Crociate, i quali combatteva sotto la bandiera del proprio Paese e poco conoscenza avevano del nemico.
I Templari, al contrario, combattevano sotto un’unica bandiera, erano animati da profondo ardimento religioso e conoscevano perfettamente la mentalità dell’avversario.
Possedevano, inoltre, una straordinaria qualità: in un’epoca di intolleranza religiosa (quasi quanto quella dei giorni nostri), nutrivano profondo rispetto per la cultura dell’avversario.
E, contrariamente a quanto ci è stato sempre fatto credere, il rispetto era reciproco.
Fu così che, quella che un tempo era stata la piccola confraternita dei “Poveri Cavalieri di Cristo”, si vide trasformata nel più potente organismo di amministrazione di denaro pubblico di vari Paesi, come Francia ed Inghilterra, che all’Ordine affidarono l’amministrazione del proprio Tesoro e dello stesso Papa, che lo stesso fece con il famoso “obolo” per le Crociate.

Tanta ricchezza, però, finì per creare intorno all’Ordine dei Cavalieri un alone di mistero, alimentare diffidenze e sospetti, suscitare gelosie e destare appetiti.
Si diceva di loro che avessero scoperto la Pietra Filosofale, che praticassero l’Alchimia e custodissero altri segreti.
Si diceva che non adorassero solo il Cristo e la Croce, ma anche un misterioso “idolo”.
Oggi, in molti concordano nel ritenere che quell’”idolo”, che tanta parte ebbe nel Processo intentato contro di loro, altro non fosse che il lenzuolo piegato della Sindone con l’immagine del Cristo.
Se consideriamo la loro grande loro capacità di Cacciatori e Ricercatori di Sacre Reliquie, non si fatica a credere che si trattasse proprio della famosa reliquia custodita a Torino.

L’attacco all’Ordine era, dunque, questione di tempo.
Arrivò nel 1307 nella persona del re di Francia, Filippo il Bello, il quale, per voler mettere nei guai i Cavalieri, aveva molte ragioni:
- era debitore nei confronti dell’Ordine per una ingente somma.
- Aveva chiesto e mai ottenuto di diventare Gran Maestro dell’Ordine, privilegio concesso ad altri Sovrani.
- Gli era stato negato un ulteriore e più ingente prestito per fronteggiare la guerra contro l’Inghilterra.

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L’Ordine dei Cavalieri nacque dall’esigenza e dall’interesse, in Terra Santa, di proteggere l’afflusso di pellegrini, curare i feriti, combattere o presidiare le fortezze costruite dai Crociati:
- dei feriti si occupavano i Cavalieri di Malta e i Cavalieri Teutonici
- della difesa militare si fero carico soprattutto i Cavalieri Templari.

In realtà, troppi, gli Ordini e le Confraternite all’interno di quel grande organismo che era il “Regno delle Crociate”
e, di conseguenza, troppe discordie…
In questa prima fase ci occuperemo di due Ordini:
- Templari
- Teutonici
- I TEMPLARI

Innanzi tutto chi erano?
Usando un linguaggio moderno, li definiremmo: “Corpo Scelto con licenza di uccidere.”
In realtà erano molto di più.
Erano monaci-guerrieri francesi e costituivano il baluardo armato della Cristianità, con l’impegno di difendere il pellegrino e combattere il Saraceno.
Erano anche una Confraternita ricchissima e potentissima. Troppo ricca e potente. Tale da impensierire la Chiesa e stuzzicare gli appetiti dello Stato. (soprattutto di quello francese).
Ricchezza e potenza furono proprio la causa della loro rovina che arrivò insieme all’accusa più facile e veloce per l’epoca, se si voleva annientare qualcuno: l’eresia.
Il 18 marzo del 1314, nei pressi della Senna furono mandati al rogo con quell’accusa, i capi della Confraternita.

Ma… cominciamo dall’inizio.
L’”Ordine del Tempio”, monastico-guerriero, fu fondato nel 1118, nel Regno Cristiano di Gerusalemme, da nove Cavalieri francesi,
Nei pressi delle rovine del Tempio di Salomone, i nove, davanti al Patriarca di Gerusalemme, fecero solenne voto di: castità, povertà ed obbedienza, col giuramento di difendere la Cristianità
Il loro nome della confraternita era: “Poveri Cavalieri di Cristo” e come poveri vivevano, seguendo le regole di vita di qualunque monaco.
In realtà, non erano monaci come gli altri.
Ben presto si rivelarono essere uomini ambiziosi e pronti ad impugnare il ferro per la “Causa”.
E non erano poveri, ma sostenuti da facoltose famiglie, prima fra tutte, quella di S. Bernardo.
Dieci anni dopo i membri della Confraternita erano saliti a 300, con una milizia armata di 3000 uomini e per la prima volta nella storia della Chiesa, per fissare le Regole del nuovo Ordine, l’Ordine del Tempio”, venne addirittura fissato un Concilio.
L’ordine era composto di Cavalieri (rigorosamente di nobile origine) cappellani, scudieri e soldati.
A capo c’era il Gran Maestro; seguivano:
- Il Siniscalco (assistente del primo)
- Il Maresciallo (capo delle Forze Armate)
- Il Commendatore ( amministratore dei beni)

I privilegi dell’Ordine erano davvero tanti: beni esenti da tasse, diritto di riscossione di tributi sui beni e perfino facoltà di amministrare la Giustizia all’interno dei possedimenti.

(continua)