L’harem nel mondo arabo
Fu l’istituto della poligamia a favorire l’uso dell’harem, nel mondo arabo.
L’harem, il cui significato letterale è: “luogo sacro e proibito”, era la parte della casa destinata alle donne.
L’usanza di relegare le donne in un appartamento della casa è antichissima ed in alcuni Paesi viene ancora oggi praticata. Un’usanza che trasformava la donna in un oggetto e la defraudava della dignità e della individualità di persona.
Prigioniere senza sbarre, le donne dell’harem, di natura pigre ed indolenti, conducevano un’esistenza inoperosa; al contrario della donna beduina, ad esempio, sulle cui spalle gravava il peso della famiglia, ed al contrario anche della popolana cittadina, attiva e lavoratrice.
Analfabeta, ignorante, fuori del tempo e del mondo, la donna dell’harem viveva esclusivamente per il piacere dell’uomo, perciò, ogni azione, ogni pensiero, ogni cura, erano rivolte a tale, unico scopo.
L’uomo, dal canto suo, rispondeva a questa totale dedizione, appagando ogni suo capriccio, naturalmente secondo i propri mezzi; spesso, infatti, queste donne disponevano di appartamenti propri e di proprie schiave.
Arrivavano numerose, negli harem, vendute dalle famiglie o frutto di quella dolorosa piaga che l’Europa conosceva come la: “Tratta delle bianche”.
Tra questo elevato numero di donne, il Sultano sceglieva le sue Kadin, le concubine. Generalmente quattro.
Rispetto alle altre donne, queste godevano di particolare considerazione, ma dovevano obbedienza alla padrona, cioè alla moglie: la Valde Sultan, ossia la Sultana-Madre, donna libera, cui tutti, lo stesso marito, dovevano rispetto.
Il problema più assillante di un harem era quello di vincere la noia di interminabili giornate oziose. Non potendo uscire di casa, se non in rare occasioni, quando ciò accadeva, queste donne finivano sempre per vagabondare nei bazar, mettendo a dura prova la pazienza dei venditori.
Entrare ed uscire dai negozi, tra estenuanti contrattazioni e senza comprare niente, era il loro divertimento preferito.
Un altro passatempo era quello di recarsi ai bagni pubblici.
In quelle scorribande, però, non erano mai sole; c’era sempre qualcuno a sorvegliarle: una donna anziana oppure un eunuco, un uomo, cioè, privato della propria virilità a tale, unico scopo. L’uso di affidare le donne ad un eunuco era passata al mondo musulmano dalla civiltà bizantina.
Quando mancavano le occasioni per uscire di casa, queste impareggiabili, oziose creature, organizzavano feste e visite di cortesia all’interno del palazzo: nell’arte di intrattenersi a vicenda, quelle oziose e lussuriose donne, erano vere maestre.
Su splendidi terrazzi affacciati sul mare, potevano passeggiare, danzare, bere the, mangiare focaccine di farina di datteri e sfoggiare gioielli: orecchini, collane e bracciali di preziosissima e finissima filigrana, nella cui arte gli orafi arabi sono sempre stati grandi maestri.
I divertimenti erano quasi sempre sciocchi ed infantili; andavano dalla “moscacieca” al “nascondino”, dal “gioco dei perché” a “gioco della verità”.
La loro preferenza, però, andava agli scherzi perfidi e pesanti a spese di ancelle ed eunuchi. Soprattutto questi ultimi, costretti a subire crudeli commedie per lo spasso di un pubblico sciocco, insensibile ed annoiato.
Donne ed eunuchi si odiavano profondamente: le prime, perchè scaricavano su quelli i rancori verso il maschio, i secondi perchè non potevano sottrarsi alle angherie di quelle… entrambi vittime di un malcostume che ha preteso molta legna da ardere, prima di diventare cenere…
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