Category: ANTICO EGITTO


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Il falso storico più eccellente della Storia dell’uomo è senza dubbio la schiavitù in Egitto. La schiavitù degli Ebrei. Si legge nella Bibbia – Esodo
“Torme di schiavi assetati muovono giganteschi blocchi di pietra e schiene annerite dal sole e piagate dalle fruste si curvano nello sforzo immane; talvolta qualcuno cade sfinito dalla fatica per non rialzarsi mai più, mentre le gigantesche piramidi vengono innalzate lentamente…” e ancora:
“Vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi emanciperò dalla loro schiavitù”
Per secoli e generazioni si è prestato fede a questi “equivoci” E come sottrarsi a questa “verità”? Sulla Bibbia si giurava e da qualche parte si giura ancora. Da sempre si è creduto ed è stato fatto credere che la società egizia fosse una società schiavista: proveniva da libri, testi scolastici, incontri religiosi e da qualunque altra fonte.
I nostri occhi si sono riempiti di scene di sadismo e crudeltà, quelle riportate dalle illustrazioni di libri, da quadri di famosi pittori, film hollywoodiani e i nostri cuori si sono riempiti di compassione e di furore. Sprecata la prima, ingiusto il secondo.
Ma su che cosa ha fatto affidamento l’uomo comune, ma soprattutto lo storico e lo studioso, per così lungo tempo, nel sostenere questa affermazione? Su un libro che racconta che l’uomo è stato creato con un pugno di terra e che parla di un certo Giosué che ferma il sole con un gesto e un ordine.
Si riuscirà mai a rendere giustizia ad uno dei popoli antichi più civili, ma vilipeso ? Sono in molti a credere ancora che davvero Giosuè abbia comandato al Sole di fermarsi e che in Egitto davvero esistesse la schiavitù.
Oppure non sappiamo che cosa significa il termine schiavitù? Ecco cosa recita il dizionario: ” Condizione di chi è giuridicamente considerato come proprietà privata e quindi privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del proprietario.”
Senza addentrarci nella questione sotto l’aspetto antropologico o giuridico, una cosa la possiamo affermare, riguardo gli schiavi ebrei in Egitto: se uno schiavo forniva il lavoro senza trarne compenso alcuno, come potevano possedere… e ne possedevano, dice la Bibbia… beni e perfino servi?
Forse la risposta c’è! Forse perchè il lavoro di quegli “schiavi” era compensato da una retribuzione, un salario. Non solo. Quel lavoro era anche “tutelato” da un contratto: un contratto di lavoro. Non certo come quello dei giorni nostri. Diverso.Come diverso è il nostro concetto di “schiavo” rispetto a quello dell’antichità.
Mai, nell’Antico Egitto, proprio in quello più remoto, gli uomini furono considerati e trattati come merce che si potesse acquistare o vendere. Per indicarli, il termine era “hem”, che significa servo. I lavoratori, semplici operai oppure personale qualificato, beneficiavano perfino di assistenza medica.
C’erano, poi, altri lavoratori, nella qualità di prigionieri di guerra o di altra condizione che pestavano gratuitamente il loro lavoro e questi sono fatti assodati. Ma non era di certo una condizione che potesse chiamarsi schiavitù e la società non era certo schiavista. Si sa, invece, che questa seconda categoria di lavoratori, i servi., finivano sempre per integrarsi nella società stessa.
Che fossero mano d’opera o tecnici qualificati, gli operai beneficiavano di un contratto di lavoro e di un salario corrispondente alle loro competenze.
Varia la documentazione che riporta lamentele per mancato pagamento della retribuzione, per la richiesta di permessi e altro ancora, tutte situazioni assolutamente incompatibili con uno stato o condizione di schiavitù. In un papiro si parla addirittura di un operaio che chiede un permesso per curare l’asino ammalato e di un altro che chiede un alloggio più confortevole per la moglie che ha appena partorito.
A diffondere la diceria che la costruzione delle Piramidi si deve solo al lavoro degli schiavi, furono, soprattutto storici greci, come Erodoto…che però parlavano di qualcosa accaduto due mila anni prima. Oggi sappiamo che a costruire templi e palazzi non furono schiavi, ma lavoratori regolari, artigiani e contadini e personale qualificato, che percepiva un salario in natura corrispondente al lavoro ed alla qualifica.
Quanto agli ebrei costretti a lavorare sotto la sferza di capomastri sadici ed aguzzini, mentre alle spalle la Piramide lentamente si innalzava, è assolutamente falso: gli ebrei sono entrati in Egitto in epoca assai posteriore. Presumibilmente durante la XII Dinastia, come molti Asiatici,. Entrarono in massa, e come gli altri asiatici, inizialmente lavorarono come manodopera a buon mercato; in seguito riuscirono anche ad occupare mansioni di responsabilità. L’episodio di Giuseppe ne è uno degli esempi più lampanti.
A causa della loro mentalità e religione, assai diverse da quella degli egizi, non si inserirono mai nella società del paese che li ospitava. Erano arrivati bisognosi e quando non ci fu più bisogno, decisero di lasciare il Paese che li aveva ospitati. Probabilmente non onorando quei contratti di lavoro che avevano stipulato, che li faceva sentire schiavi perchè costretti ad un lavoro che non desideravano più fare. Questo ai tempi del faraone Ramesse II e di suo figlio Merempthha,.
E allora, chi erano i lavoratori “ebrei” citati nella Bibbia, costretti a lavorare alle Piramidi? Probabilmente popolazioni nomadi asiatiche che si spostavano lungo i confini egizi e che talvolta sconfinavano prestando occasionalmente la loro opera. Non è a questo tipo di prestazione, però, che si riferisce la documentazione egizia che ci è pervenuta, dove non si fa mai cenno a “schiavi” nella costruzione di templi e palazzi e monumenti, bensì ad una prestazione volontaria della popolazione, soprattutto contadini, durante il periodo di inondazione. Tre mesi, per la verità. Un obbligo per tutta la popolazione.
Assodato che la schiavitù, intesa come assenza totale di diritti legali, non esisteva in Egitto, quale era la condizione di coloro che occupavano l’ultimo grado della piramide sociale? Erano uomini e donne, spesso prigionieri di guerra o persone estremamente indigenti, privati della libertà, che si occupavano dei lavori più umili, ma che si vedevano riconosciuti i diritti più elementari.
Il loro status naturalmente mutò con il tempo. Così, nell’antico Regno, nell’epoca della costruzione delle piramidi, il lavoro era volontario, fatta eccezione dei pochi prigionieri di guerra, di razza libica e nubiana.
I primi “schiavi”comparvero durante il primo Periodo Intermedio, in arrivo dai mercato asiatici di schiavi, ma si dovette aspettare il Medio Impero per vedere le prime leggi in favore degli schiavi:con la disgregazione dello Stato Faraonico e il potere quasi illimitato dei funzionari di stato, sicuramente si verificarono degli abusi.Si comincia a parlare apertamente di schiavi, solo con la fine di questo periodo, ma un vero concetto di schiavitù lo si accettò solo con il Nuovo Impero. In questo periodo, infatti, affluì nel Paese una massa di prigionieri i quali col tempo si integrarono divenendo ad ogni effetto membri della società del Paese che li ospitava.
In quest’epoca, tutte le classi sociali potevano avere schiavi.

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Qualcuno crede ancora nella “Maledizione dei Faraoni”? Probabilmente sì!
C’è qualcosa di vero? Naturalmente no!
Come e quando è sorta questa leggenda? Che cosa l’ha alimentata così a lungo?
Tutto cominciò quando l’archeologo inglese Haward Carter scoprì la tomba del celeberrimo faraone Thut-ank-Ammon, durante una spedizione archeologica finanziata dal magnate americano Carnarvon.
Rimanderemo ad altra occasione la straordinaria e clamorosa scoperta di questa tomba e resteremo nell’ambito della più colossale “bufala” (così la chiameremmo oggi), architettata ad arte per sfruttare un’inaspettata ingenuità, dilagante nel momento intero.

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Innanzitutto bisogna riconoscere l’uso che nel Mondo Antico si faceva di formule di maledizione per colpire o annientare un nemico. (uso che purtroppo persiste ancor oggi: basta seguire qualche programma televisivo)
Una delle forme più comuni di Maledizione, presso l’antico popolo egizio, era quello di scrivere una formula magica su un vaso o un coccio, facendola seguire dal nome del malcapitato: una formula con cui, naturalmente, si augurava ogni sorta di sciagura. Nel corso di una cerimonia si mandava in frantumi il vaso, accompagnando l’atto con le Parole Magiche: le He-kau.
Studiosi ed archeologi moderni, sia quelli seri, sia quelli che seri non erano affatto, conoscevano perfettamente l’uso di quelle pratiche.
Una di queste tavolette maldicenti fu trovata da un assistente di Carter. Fu dapprima catalogata come tutti gli altri reperti, ma in seguito, ripulita del terriccio, venne decifrata.
I geroglifici recitavano così:
“la morte colga con le sue ali
chiunque disturberà il sonno del Faraone.”
Fra il personale addetto agli scavi si diffuse un’immediata inquietudine: consapevoli delle paure ancestrali degli uomini del posto (manovali, sterratori, portatori) in primo momento si cercò di tenere segreta la notizia di quel ritrovamento e si fece perfino scomparire il reperto. Ancora oggi non si sa dove sia… né se sia davvero esistito.
Si trattava, però, di una notizia davvero ghiotta; impossibile da nascondere. Non passò molto tempo, perciò, prima che arrivasse a gente di pochi scrupoli e con conoscenze archeologiche e scientifiche praticamente nulle: avventurieri, truffatori e, immancabilmente, esoterici.
Quasi ad avvalorare le teorie di costoro, che sostenevano l’esistenza di una “maledizione”, una seconda iscrizione maldicente comparve all’interno della camera principale del sepolcro e recitava pressappoco così:
“Io respingo i ladri di tombe
e proteggo questa hut-ka (sepolcro)”
La notizia fece il giro del mondo e la leggenda della “Maledizione di Thut-ank-Ammon” ebbe inizio.
Come resistere a quell’affascinante storia di fantasmi e mistero?
Tredici, delle ventidue persone che componevano la Spedizione-Carter, persero la vita, si disse. Si disse e si ripeté per anni in tutto il mondo e in tutte le lingue, alimentando una superstizione che aveva il fascino del più profondo mistero. Si alimentarono ad arte un’inquietudine ed una paura sempre crescenti.
“Chiunque entri a contatto – si diceva – con la tomba del faraone Thut-ank-Ammon, resta vittima della sua Maledizione.”
Quel che si ometteva di dire, però, era il fatto che tutte quelle morti erano spiegabili, perché provocate da fattori naturali (cattiva igiene, malaria, morsi di serpenti, ignoranza). E si omise di precisare che molte di quelle morti erano avvenute in tempi molto successivi e per cause tutt’altro che misteriose.
La leggenda della Maledizione, però, era estremamente affascinante e quel fascino catturava molti… Troppi, forse. Catturò letteratura e cinema. Soprattutto il cinema, che girò una pellicola dal titolo suggestivo: “La Mummia”, che fece da battistrada ad un filone di genere nuovo e accattivante: il “fantasy”.
Cos’è, dunque, la “Maledizione dei Faraoni”?
Gli studiosi conoscono perfettamente la profonda religiosità dell’antico popolo egizio: religiosità permeata di magia e superstizione, prodigi e misteri.
Una elite di persone, però, si staccava dalla moltitudine e nella misura in cui la Conoscenza cresceva (Scienza, Astronomia, Matematica, Medicina, Architettura, ecc) crescevano anche il loro sapere e il divario con un popolo lasciato nell’ignoranza. ( come in tutte le culture, naturalmente. Non esclusa la nostra)
Gli studiosi moderni conoscono anche lo sforzo costante degli antichi Sacerdoti egizi per proteggere le tombe da profanatori e saccheggiatori, in azione fin dai tempi più remoti. ( la tomba di Thut, ad esempio, fu violata durante il primo anno successivo alla sua morte).
Congegni, trabocchetti, trappole: nulla di tutto ciò avrebbe tenuto lontano ladri audaci e con nulla da perdere.
Una sola forza poteva trattenerli e fermarli. I Sacerdoti egizi la conoscevano bene: la paura. La paura alimentata ad arte dalla superstizione; la paura dell’inspiegabile e dell’ignoto. In altre parole: la paura di una “maledizione”.
Per farlo, però, bisognava rendere credibili ed efficaci le minacce di una “maledizione”.
Quali mezzi avevano, gli antichi Sacerdoti egizi, per farlo? Possedevano conoscenze scientifiche e tecniche totalmente ignote al popolo e che custodivano assai gelosamente.
Un esempio? Gli antichi Sacerdoti egizi conoscevano gli effetti (ignorandone la causa) di sostanze radioattive come il radio o l’uranio; soprattutto quest’ultimo, che trovavano in profondità nelle miniere d’oro, (profondità in cui erano mandati a lavorare i condannati… soprattutto di reati gravi) . Conoscevano le proprietà allucinogene o letali di certe piante e sostanze: oppio, aconito, cicuta, arsenico, i cui fiori dai petali colorati rallegravano i famosi “giardini di Hathor”… e non solo quelli.
Nessun congegno, per quanto pericoloso, poteva essere efficace quanto un’allucinazione o una morte inspiegabile. Se ancora oggi esistono persone ingenue che credono nelle maledizioni e si affidano a responsi, (lo attesta la numerosa clientela di santoni, veggenti e chiromanti) come stupirsi che in un passato così remoto ne fosse vittima gente ignorante e superstiziosa?
Ed ecco la domanda cruciale: che cos’è, in realtà, la famosa “maledizione dei Faraoni”?
Sono le conoscenze scientifiche e tecniche che gli Antichi Egizi possedevano e mettevano in pratica per proteggere le loro tombe. Sone le misture di allucinogeni dei colori utilizzati nelle pitture murarie… sono gli oggetti resi radioattivi e poggiati in bella mostra, che toccati o portati via potevano condurre ad una misteriosa e sono accorgimenti di tale tipo
Com’è nata, in tempi moderni, quella leggenda?
Nacque dall’incredibile interesse mondiale sorto intorno a quella tomba, la più ricca mai scoperta prima, e fu alimentata da una stampa irresponsabile e da fantasiosi narratori, i quali cavalcarono l’emotivita, l’ignoranza e quell’inconscio desiderio di favole che è in fondo allo spirito di ognuno di noi. Esoterici e pseudo-studiosi fecero il resto, proponendo le più stravaganti ed improbabili fantasie e spacciandole per teorie che… se non sbaglio, sono cose che vanno dimostrate.
La “maledizione dei Faraoni” non è neppure una teoria, ma solo una fantasia per tutti quelli che credono in questo genere di favole.

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Che cosa ne è stato di Seth, Signore della Distruzione? Verrà scaraventato nel Mondo Sotterraneo a scontare le sue malefatte, vien da pensare.
Invece no!
Il Dio-Supremo dispone per lui un “castigo” assai singolare: Seth sarà condannato a proteggere la Barca Solare nel suo percorso notturno dagli attacchi di Apep (meglio conosciuto come Apofi), il Grande Serpente Primordiale.
Apep è la Forza della disorganizzazione primordiale; se guerre e carestie si abbattono sul Paese, é perché la Barca Solare si è arenata sul “banco di sabbia” di Apep.
Apep e Seth si assomigliano, ma non sono uguali. Sono due aspetti del Male, ma assolutamente diversi. Seth è il “male necessario”: l’inondazione disastrosa o la tempesta del deserto, che si posso imbrigliare e controllare. Apep, invece è il “male assoluto” il cui scopo é solo l’annientamento.
Seth il Perturbatore, è Colui che sconvolge le regole e l’ordine dell’Universo, Apep il Distruttore, è colui che mira alla distruzione dell’Universo: una lotta che si ripete ogni notte a bordo della Meskhenet, la Barca Solare Notturna.
E’ la lotta fra il Bene e il Male e sarà proprio Seth, ogni notte, ad uccidere Apep con la sua Fiocina da bordo della Barca, per ritrovarselo davanti la notte successiva.
Così sarà fino alla fine del mondo… fino a quando regneranno ordine e giustizia.
Tutto questo, Horo vincitore, deve riferire al padre, Osiride, affinché la sua “passione” si compia e dia i suoi frutti.

Vita, morte, cicli vegetativi, rinnovo generazionale: l’uomo antico e non solo l’antico egizio, subisce la quotidianità di tali complessi fenomeni ed é da essi che attinge per creare i propri miti. Le acque in secca, la natura spoglia, sono espressione di morte; la germinazione, il rigonfiare delle acque, sono espressioni di rinascita.
La Natura rinasce. Osiride rinasce, ma è l’azione di suo figlio a compiere il miracolo.
Immobile e passivo, ma “in potenza”, nel luogo nascosto ed inaccessibile del Busiris, che gli antichi egizi chiamano Gedu, Osiride aspetta l’arrivo del figlio.
Lo chiama:
“Oh, Horus, vieni a Busiris!
Provvedi.
Fai il giro della mia casa
Vedi le mie condizioni…”
Ed Horo accorre, ma non prima che il tempo sia maturo, poiché l’anima di Osiride è il grano che germoglia e il ciclo della fertilità della Natura deve essere completato.
Così si legge nei Testi delle Piramidi:
“Il cielo è buio, la Terra trema.
Horus viene, appare Thot
Essi sollevano Usiris su un fianco
lo fanno comparire davanti alla Divina Compan accorre personalmentegnia…”

Di altro tono, però, è la composizione dei Testi dei Sarcofagi, d’epoca più tarda, quando identificarsi con Osiride non era appannaggio di soli Re e nobili, ma anche della gente comune.
Horo non accorre personalmente dal padre, ma manda un messaggero in vece sua, alterando, in tal modo, la sequenza stessa del mito.
Horo prega suo padre di aspettare. Anzi, lo sollecita a scuotersi ed a regire: lo invita a fare appello alle proprie energie.
“Guardati nella tua condizione e metti in movimento l’animo tuo.
Fallo venir fuori e controlla il movimento, sì che il tuo seme
si sparga fra il genere umano…”

Il Messaggero che Horo invia al padre è un Essere divino e primordiale che egli investe della propria forma di Falco-Divino ed a cui infonde il suo Santo Spirito.

Impossibile, a questo punto, non riscontrare un’altra analogia: quella con la TRINITA’ ebraica e cristiana: PADRE – FIGLIO – SPIRITO SANTO (quest’ultimo, sotto forma di colomba)

Il viaggio del Messaggero è un racconto pieno di pathos e di estrema vivacità.
La Duat, il Mondo Sotterraneo, è un posto pieno di insidie e pericoli. Ma non sono soltanto demoni e spiriti malvagi, paludi, orridi e caverne a creare difficoltà al Messaggero Divino.
Le stesse Divinità si mostrano poco disponibili con lui, tanto che più volte il Supremo deve intervenire in suo soccorso:
“Horus è assurto ai suoi troni e questo (il falco) che ha la sua forza.
E’ un potente egli stesso ed é uno che il suo signore (Horo)
ha equipaggiato e investito dell’animo suo…”
oppure esortare:
“La Sacra Via sia aperta per lui quando i Demoni
vedranno la sua forza e udranno quello che ha da dire.
Giù! Col viso a terra, o Dei del Mondo Sotterraneo…”

E così, al passaggio del Falco-Divino, tutti gli Dei degli Inferi si ritirano per lasciargli il passo: gli Abitanti delle Caverne, i Custodi della Casa di Osiride, Aker, il Guardiano delle Porte, i Custodi del Cielo e i Sorveglianti della Terra. Perfino Ruty, il Demone più infessibile, che dimora in una caverna all’estremo nord del mondo e che si mostra il più ostinato fra tutti, poiché il Falco non porta la Corona Nemes, simbolo di potere, finisce per arretrare.
Tutti, alla fine, sono costretti a cedere di fronte al potere del Falco-Divino, che gli viene direttamente da Horo, il nuovo Signore dell’Universo.
Gli viene riconosciuto il diritto di proseguire e gli vengono consegnati Corona ed Ali e finalmente il messaggero può raggiungere la Casa di Iside, nella Palude, per farsi raccontare della nascita di Horo e delle sue peripezie da riferire a suo padre Osiride.
Da qui potrà spiccare il volo verso l’alto e chiedere a Nut, Signora delCielo, il permesso di attraversare la volta celeste, possibilmente indenne dalle insidie che vi si nascondono.

Un viaggio lungo e irto di pericoli, dunque, quello del Falco Divino, prima di poter raggiungere gli Inferi e Busiris, la Casa dove Osiride giace sempre immobile e sofferente e in attesa di notizie.
Il Falco lo informa della grande vittoria conseguita da suo figlio sul nemico e l’annientamento di questi e gli riferisce la volontà del Supremo di ritirarsi e lasciare il comando dell’Universo ad Horo, suo erede legittimo, quinto nella linea di successione:
– Atum il Supremo
– Shu, suo figlio
– Geb, il di lui figlio
– Osiride, figlio di questi
– Horo

Così come il Benu, la Fenice, fu Angelo dell’Annunciazione della Vita, ora il Falco-Divino è Angelo dell’Annunciazione della ricostituita Ma’at, ordine e giustizia universale.
Il viaggio, che anche l’anima del defunto dovrà affrontare, è diviso tre tappe: dalla terra per raggiungere il cielo e dal cielo per ridiscendere nel mondo sotterraneo.
L’essenza del mito, dunque, é che Osiride esprime sia le forze cicliche dell’uomo (nascita, vita, morte) che quelle della Natura (acque e vegetazione), ma anche dell’intero Cosmo, con la Luna, le Stelle, il Sole, la Luce e le Tenebre.

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HORO-GIOVANE…. il Salvatore

Salvatore di Osiride e Salvatore dell’umanità.
Se Osiride è considerato il Dio della gente comune poiché al contrario di Ra, Ptha o Ammon non fornì mai un base al potere politico, Horo è certamente una delle massime concezioni del pensiero filosofico religioso della cultura eglizia.
Ad Horo è affidata la missione di riportare Ordine e Giustizia in un mondo caduto nel Disordine e nella Confuzione compromessi e stravolti da Seth il Perturbatore.
Suo padre Osiride è morto e; giace inerte e completamente passivo e questo stato di cose durerà fino a quando il suo erede non vincerà sui nemici.
I nemici di Horo sono Seth e i suoi sotenitori.
La lotta sarà lunga e terribile, poiché Seth, nel mito osiriaco, è la personificazione della Morte e del disfacimento fisico. Sarà una battaglia durissima, a tratti tragicomica, durante la quale Horo strapperà i testicoli a Seth e Seth caverà un occhio, quello sinistrao, ad Horo.
Una lotta senza quartiere che si trascinerà per lungo tempo senza vinti né vincitori, ma che sconvolgerà “l’età d’oro” istaurata da Osiride e spingerà La Divina Compagnia ad intervenire perché vi si ponga fine.
Sarà Thot, Personificazione dell’Ordine, incaricato da Atum il Supremo, del delicato compito.
“Oh, Thot! Che cosa sta succedendo fra i figli di Nut?
Essi han creato la lotta; hanno eccitato la confusione.
Hanno agito male, hanno suscitato la rivolta…”

HORO… il Salvatore
Seth e Horo, i due Contendenti, saranno chiamati a interrompere le ostilità e presentarsi al cospetto della Divina Compagnia che deciderà a chi dei due assegnare la palma della vittoria e il diritto ad occupare il trono d’Egitto.
Il Giudizio divino favorisce Horo: Ordine e Ragione prevalgono su Disordine e Violenza.
Horo è riconosciuto erede di suo padre; é riconosciuta la discendenza paterna ed assicurata la pace e la giustizia.
“…. la Terra fu solcata e sconvolta dai due che avevano combattuto
………. La contesa ebbe fine. La lotta si fermò.
L’ardente fiamma fu spenta. L’odore del sangue spazzato via…”
Horo vincitore può finalmente prendere il potere e sedere sul trono come Nuovo Re e subito dopo partire per recarsi nel Mondo Sotterraneo a portare al padre, sempre inanimato ed immobile, la Buona Novella.

Osiride giace nel Mondo di Sotto, ma non è morto, bensì trasformato in forza “inerte” della Natura che aspetta di “mettersi in movimento”
“Il mio corpo alla Terra
La mia anima al Cielo.”
farà dire, in un testo risalente all’epoca del faraone Zoser.

Sarà suo figlio Horo, il Nuovo Signore dell’Universo che, rendendolo consapevole della Buona Novella del ricostituito Ordine Cosmico, “metterà in movimento” il suo corpo inerte e lo scuoterà dallo stato di incosciente torpore:
“Sorgi, Tu che fosti buttato giù a Nedit!
Respira felicemente in Pe!”
e ancora:
” Questi é Horus che parla.
Egli ha allestito un processo per suo padre
Si è rivelato padrone della Tempesta (Seth)
Si è opposto alle tonanti minacce di Seth…”

Osiride è riportato in vita. Osiride si scuote. Rinasce. Rivive, ma non nella vecchia forma, bensì come Spirito della Vegetazione, poiché egli è la Natura. La Natura così come era intesa all’epoca: con la desolazione estiva e lo spirito della vita che poteva addormentarsi e morire, ma che poi si svegliava per tornare a vivere.
Altrettanto era il destino di Osiride:
“Se ne andò, si addormentò, morì.”
ma poi, la salvezza ad opera del figlio Horo:
“Tornò, si svegliò, vive di nuovo!”

L’intervallo, però, tra queste due fasi, la Morte e la Resurrezione, è un momento critico e delicato. Pieno di pathos. Il pericolo di disfacimento e corruzione fisica è altissimo.
E’, questo, l’acme dell’intero dramma.
Vulnerabile ed inerme, esposto ad ogni insidia, l’Inanimato Osiride, ma anche lo Spirito della Natura che simboleggia, così come il corpo del defunto che in Lui si identifica, hanno bisogno di protezione.

Questa “vigilia”, questo periodo di “transizione”, nelle vicenda di Osiride era colmata dalla “veglia” e dal pianto di Iside e Nefty in attesa di Horo.
Nelle vicende umane, invece, erano familiari, amici e prefiche ad assistere e piangere il defunto. Lo facevano nel corso delle numerose cerimonie funebri, come quella, fondamentale, della “Apertura della Bocca”.
Era sempre un momento di grande tensione emotiva.
Il sacerdote esorcista funerario di massimo grado fingeva di dormire e di svegliarsi al richiamo della voce che lo “chiamava in soccorso”.
Così il Rito. Così il Mito.

Nel Mito, quello risalente ad epoca successiva, Osiride invoca il soccorso del figlio Horo che discende nel mondo sotterraneo, lo raggiunge e lo libera della “Immobilità”, annunciandogli la Buona Nvella: la Ma’at, il Ricostituito Ordine delle Cose e della Giustizia.
Da Osiride, invece, Horo riceve il Ka, ossia lo Spirito e l’eredità del Comando e può prendere il suo posto sul trono.
Ora che è “riemerso” dalle tenebre, rinato e risorto, Osiride può finalmente liberare la propria Anima.
Egli, che giaceva impotente in un nero antro del Mondo Sotterraneo, avvolto nelle spire del serpente Nehaher, al comparire del Disco Solare mostra i primi segni di rianimazione. Il Disco Solare sta attraversando gli Inferi nel suo percorso notturno e nel vederlo dice:
“Oh, Osiride, Tu che il Grande Serpente circonda
e voi, o sanguinari, che precipitate a capofitto,
…………..
Possa la mia Luce illuminare la tua Caverna
senza che ilserpente se ne accorga…
… Sorgi dalla Terra.”

I “sanguinari” sono gli avversari di Osiride e seguaci di Seth, che la potenza di Horo ha già atterrato e il “sorgere dalla Terra” è l’attestazione del trionfo di Osiride.
E’ il momento più elevato del dramma. E’ il momento della vittoria e del trionfo: é l’apice della Rinascita e della Trasformazione di Osiride.
Anche l’opera di Horo è terminata; come terminata è l’assistenza di Iside.
Questa è la volontà del Dio -Supremo! Atum in persona è entrato in scena a questo punto del dramma. Con lui c’é l’onnipresente Thot, Signore dell’Ordine.
E’ il momento culminante della trasformazione di Osiride, ma non è più quello della “passione”, bensì quello del “trionfo”.
Nella “passione” erano state Iside e Nefty a sorreggerlo, nel “trionfo” è Atum il Supremo a condurre l’azione. E’ Atum ad autorizzare ogni atto da questo momento: la consegna dell’”Occhio di Horo” e della “Parola divina”, simboli di Vita-attiva e di Supremo-potere.
Ed é Atum a sollecitare l’arrivo del Vento del Nord che con il suo respiro annunzia l’Inondazione e l’inizio del nuovo ciclo di vita della Natura e della Resurrezione del Dio morto.
Osiride ha lasciato il luogo di tenebre e d’ora in poi dimorerà nel Luogo Primevo e il suo trono poggerà sul Tumulo della Creazione, nella “Niwt”, la “Vittà Luminosa”, dove ridìsiederà per Giudicare.
Per farlo, Egli siederà in un Palazzo del Tumulo, che è al centro del Mondo.
Egli è Signore della Rettitudine e Signore dell’Ordine della Natura e dello Spirito della Germinazione.
Osiride, dunque, è il Signore dei defunti i quali dopo un esame da parte di 42 Giudici Divini, vengono condotti in sua presenza da Horo per essere giudicati.

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LA TRIADE o SACRA FAMIGLIA

Le vicende di: OSIRIDE – ISIDE – HORO

La più complessa, ma straordinaria espressione del pensiero etico-filosofico-religioso egizio è senza dubbio la figura di Osiride.
Osiride è diverso da tutte le altre Divinità.
Osiride è simbolo del dramma dell’esistenza umana: l’ineluttabilità della morte e la speranza della resurrezione. Osiride è il simbolo del Ciclo: Vita-Morte-Resurrezione.
Osiride è la “vittima” per eccellenza: viene sacrificato, ma il suo sacrificio e la sua passione, vengono compensati dalla Giustizia e dall’Ordine Universale ristabiliti.
Sposo e padre amato, viene soccorso dalla sposa Iside e dal figlio Horo…

Ma vediamo un po’ più da vicino il Mito di questa “Sacra Famiglia” e le sue vicende quasi umane.
Nut e Geb, Signora del Cielo e Signore della Terra, avevano quattro figli: Osiride, Iside, Seth e Nefty. Iside ed Osiride, narra il mito, erano innamorati ancora già nel grembo materno. Belli, generosi ed operosi, costituivano la coppia perfetta. Al contrario degli altri due figli della coppia divina, Seth e Nefty, che si detestavano cordialmente ed erano irresistibilmente attratti l’uno da Iside e l’altra da Osiride.

I Testi, gli Inni, le Litanie che raccontano questo Mito, però, non hanno i toni e gli accenti del dramma e della tragedia; però, sono pervasi dal dolore profondo della “Passione” e dalla esultanza della “Resurrezione”: Osiride è Fondatore di una “Epoca d’Oro” raggiunta attraverso la instaurazione della Giustizia e dell’Ordine.
Recita un Inno del Nuovo Regno:
“Egli stabilì la Giustizia su tutte e due le sponde
Mise il Figlio al posto del Padre…”

Ma Osiride ha un grande nemico. Si chiama Seth ed è suo fratello minore.
Seth è litigioso, violento e irascibile. In una parola: Tempestoso. Seth è la personificazione della Violenza e della Forza Cieca. Perfino la sua nascita fu una esplosione di forza a violenza.
“Tu, che la Dea pregnante, Nut, Signora del Cielo, partorì
quando spaccasti il Cielo in due,
Tu sei investito con la forma di Seth,
che proruppe fuori con violenza…!”
Fu Seth a distruggere l’Ordine Precostituito delle Cose e lo fece uccidendo Osiride.

Come avvenne il fattaccio?
Varie le versioni di questo delitto.
Il mito più recente é quello riportato da Plutaro (II° secolo d.C.) che parla di una festa durante la quale Seth convinse l’ingenuo Osiride a stendersi in una cassa per vedere se riusciva a contenerlo, dopo di che, gettò la cassa nel Nilo.
La cassa, continua il mito, fu spinta dalla corrente fino a Biblos e finì su un albero che, crescendo a dismisura, attirò l’attenzione del Re di quella città il quale fece tagliare il tronco per farne la colonna portante del suo Palazzo.

Iside, giunta a Biblos, si fa consegnare il corpo dell’amato Osiride intrappolato in quel tronco e lo riporta in Egitto; qui, però, Seth, approfittando di un suo momento di disattenzione, riesce a trafugare la salma, tagliarla a pezzi ( 7 oppure 14) ed a gettarli in diverse zone del Paese.
Il mito più antico e primitivo, appartenente alla Teologia Memfitica, parla, invece, di annegamento nelle acque del Nilo e descrive così l’evento.
“Nefty ed Iside accorsero subito perché Osiride stava annegando.
Esse lo guardarono, lo videro e inorridirono.
Horo comandò a Iside e Nefty di afferrare Osiride per impedirgli di annegare…”

Altra versione, di Testi delle Piramidi ancora più antichi, indica un luogo chiamato Nedit, dove Osiride sarebbe stato ucciso, il corpo fatto a pezzi e i pezzi sparpagliati per tutto il Paese.
Ma ecco accorrere Iside in aiuto dell’amato sposo ed insieme alla sorella Nefty, andare alla ricerca dei pezzi e ricomporli attraverso una prima forma di imbalsamazione, con l’aiuto di Anubi, il figlio che Osiride aveva avuto da Nefty.
E’ la prima “mummia”, ma non è ancora la “Rinascita… per questo bisognerà aspettare che il dramma si compia per intero.
“Benefica Iside che protesse il fratello e andò in cerca di lui
né volle prendere riposo finché non l’ebbe trovato…”

Alla ricerca dei pezzi del corpo di Osiride, attraverso le paludi e le rive del fiume, Iside si era recata assieme alla sorella Nefty; li recuperarono in varie località: a Philae, a Letopolis, ad Abidos, ecc…. eccetto il fallo, ingoiato da un pesce.
Iside, però, voleva dare un erede al suo sposo amatissino, affinché da grande potesse vendicarne la morte. Cosa che fece, prima di dargli sepoltura.
Ecco come recita l’Inno:
“Ella ravvivò la stanchezza dell’Inanimato
e ne prese il seme nel suo corpo, dandogli un erede.
Allattò il fanciullo in segreto,
il luogo ove egli stava essendo sconosciuto…”
Quel luogo segreto, quel nascondiglio, era il Chemmis o Cespugli-Sacro e si trovava nelle paludi del Delta, nei pressi della cittadina di Buto.

Con la morte di Osiride anche la vita di Iside e quella del figlioletto Horo erano in pericolo: Seth si sentiva minacciato da quel figlio che crescendo avrebbe sicuramente vendicato la morte del padre, poiché, il rapporto scambievole fra il Figlio-vivente e il Padre-morto, fu sempre alla base del pensiero etico-filosofico-religioso dell’antico egizio.

Seth, infatti, racconta una tarda leggenda, catturata Iside, la rinchiuse in una filanda con le sue ancelle, ma la Dea con l’aiuto di Thot riuscì a fuggire e raggiungere la Palude del Delta e il Chemmis, dove, per l’appunto, dette alla luce il figlio di Osiride.
Qui, però, il piccolo era esposto ai molti pericoli della palude, come il veleno di serpenti e scorpioni, ma, soprattutto, il rischio di cadere nelle mani del malvagio zio Seth. Questi, infatti, assumendo la forma di serpente, strisciava nelle acque di quei pantani ed un giorno attaccò il piccolo Horo il quale, però, come recita l’Inno, riuscì a sconfiggerlo:
“… io ero un bimbetto lattante
e sebbene fossi ancora debole
abbattei Seth e lo intrappolai sulla riva…”

A vegliare sul pargolo divino, in verità, erano in tanti oltre al saggio, onnipresente ed innamorato Thot. Tante Divinità minori, tutte impegnate a giocare con lui e distrarlo: Bes, il Deforme Dispensatore delle Sabbie del Sonno, che per tenerlo quieto improvvisava grotteschi passi di danza con le sue gambette sgraziate; le Divinità della Palude, Pehut, Sechet ed altre, che cantavano per coprire il suo pianto onde non arrivasse alle orecchie di Seth.
Iside infatti era costretta ad allontanarsi dal Cespuglio-Sacro per andare in giro a mendicare per provvedere a se stessa ed al piccolo.
Durante il suo peregrinare, racconta il mito, seguita da 7 Scorpioni che le facevano da scorta, la Dea capitò in un piccolo villaggio. Qui, nel vederla da lontano, una donna molto ricca ma molto avara, senza riconoscerla, le chiuse la porta in faccia. Fu, invece, una fanciulla molto povera, figlia di pescatori, ad aprile la porta della sua casa e lasciarla entrare.
La cosa dispiacque molto ai 7 Scorpioni che decisero di dare una bella lezione alla donna ricca e ingenerosa. I 7 raccolsero tutto il loro veleno e lo misero in Tefen, il più malvagio di loro e questi strisciò sotto la porta di casa della donna e punse il figlioletto che stava giocando, ma che cominciò ad urlare dal dolore.
Disperata, la donna uscì dalla casa con il bimbo in braccio, correndo attraverso tutte le strade dl villaggio in cerca di soccorso; nessuno, però, ma poteva aiutarla.
Fu la stessa Iside, mossa a pietà del piccolo innocente, ad intervenire e ad ordinare al veleno di lasciare il corpo del bambino.
Pentita della propria ingenerosità, la donna ricca divise tutti i suoi averi con la fanciulla povera.

Di ritorno alle paludi ed al Chemmis, però, Iside trovò che anche il piccolo Horo era rimasto vittima del veleno di un serpente, opera del malvagio Seth e le sue grida di dolore l’accolsero insieme alle disperate invocazioni d’aiuto al Padre degli Dei, di Nefty, Selkhet e delle altre Divinità delle Paludi.
In quel momento la Barca di Ra stava transitando nel Cielo con a bordo l’intera Divina Compagnia e Nefty la invitò a richiamare la loro attenzione. Cosa che Iside fece immediatamente levando al cielo alti lamenti.
Quando la arca di Ra arrivò, spinta dal Vento Cosmico, ne discese Thot, Signore delle Scienze e della Magia, armato, dice il Mito
“… di potenza e di suprema autorità per mettere le cose a posto.”
Dopo aver confortato e rassicurato sia Iside che la sorella Nefty e tutte le Divinità della Plude, Il Grande Mago mise in atto il suo esorcismo e scacciò il veleno.
“Indietro, oh Veleno!
Tu sei esorcizzato dall’incantesimo delle stesso Ra.
E’ la parola del più grande degli Dei che ti caccia via.
La Barca di Ra resterà ferma e il Sole resterà al posto di ieri
finché Horo guarirà, per la gioia di sua madre!”
E Thot continua, con il suo incantesimo enumerando tutte le sciagure che avrebbero colpito la Terra e l’umanità se Horo fosse morto:
“… le Tenebre coprirebbero ogni cosa
Non ci sarà più distinzione di tempo.
Le Sorgenti saranno chiuse e il grano appassirà
e non ci sarà più cibo…”
E termina così:
“Giù! A terra, oh Veleno!
Il Veleno è morto.
La febbre non tormenterà più il Figlio dell Signora…
Horus vive di nuovo, per la gioia di sua madre.”

Horo, dunque, nacque, visse e crebbe fra i pantani del Delta e quando ebbe raggiunto la maggiore età si accinse a rispondere al richiamo di Osiride, sempre immobile ed impotente nel Mondo Sotterraneo ed ad affrontare il suo nemico: Seth il Perturbatore.
Il Giovane-Horo calzò i “sandali baianchi” che sua madre iside gli aveva consegnato e si accinse ad attraversare la Terra per andare in soccorsdo del padre, Osiride.

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IL BENU – LA FENICE


Il BENU o BENEV, meglio conosciuto come FENICE, Uccello dell’Annunciazione e Ambasciatrice della Vita e della Luce, è sicuramente il simbolo più affascinante della mitologia egizia. I Greci ne tradussero il termine in Phoi-nix, da cui Fenice.
Già Erodoto e Tacito ne parlano, ma nessuno dei due riesce a cogliere il profondo simbolismo del “Principio della Via” racchiuso in questa che è una “Epifania” o Apparizione di Dio.

I due autori, infatti, riducono questo simbolo straordinario in una splendida, ma semplice favola.
Erodono racconta:
“Questo uccello, dall’aspetto di aquila e dal piumaggio d’oro rosso-fiammeggiante, ogni cinquecento anni volava dall’Arabia ad Eliopoli trasportando in un uovo la salma del padre per seppellirla nel Tempio di Ra, il Dio-Sole.”
Si tratta, dunque, di una delle tante leggende sorte intorno a questo mitico uccello, ma che si distaccano notevolmente dal suo vero simbolismo originale.
E Tacito se ne allontana ancora di più con il suo racconto. Egli ci narra che la Fenice si costruisse un nido in Arabia, dal cui interno, dopo cinquecento anni, usciva una nuova Fenice che uccideva il padre e lo bruciava per poi andare a costruirsi un nuovo nido.
La leggenda più suggestiva, ma ancor più lontana dal mito originale egizio, è certamente quella che vede la Fenice, sempre dopo cinquecento anni, salire sul rogo di un pira di legni odorosi di resine e risorgere dalle sue ceneri.

Ma qual è il mito originale nato in Egitto e facente parte della Dottrina Eliopolitana?
Qui, la Fenice non è simbolo di morte, ma Principio di vita e la fiaba greca è lontana anni luce dal simbolismo ieratico egizio.
Nella mitologia egizia il Benu era una delle forme primordiali assunte da Atum, il Dio Supremo, per annunciare l’avvento della Vita e della Luce all’interno del NUN, le Acque Primordiali.
Assunto l’aspetto di un airone grigio (al contrario della fiammeggiante aquila del mito greco rubacchiato agli egizi), Atum sale sul Ben-Ben, la prima terra emersa e “aprendo il becco ed emanando il suono” rompe il silenzio della “Notte Primordiale”.
Il Benu o Fenice, è dunque, l’Incarnazione della Parola Divina: il Logos dei greci.

L’aspetto dell’incarnazione in airone non va presa alla lettera (come ha fatto Erodoto) ma come simbolo: si tratta della prima apparizione del Dio Supremo per annunciare la comparsa della Vita e della Luce.
Benu, dunque, è l’Anima di Atum, così come, più tardi, il Ba, sarà l’anima dell’uomo (uccello con testa umana).

Un brano dei “Testi dei Sarcofagi” mette queste parole sulla bocca dell’anima di un defunto:
“Io vengo dall’Isola-del-Fuoco,
dopo aver riempito il mio corpo di Heka.
Vengo come l’Uccello che riempì il mondo
di quello che il mondo ancora non sapeva..”

L’Isola-del-Fuoco (O dell’Avvampamento) per molti è stata identificata con Eliopoli, la citta del Sole e l’Heka è l’”essenza della Vita”; l’Uccello, infine, è il Benu che “riempì il mondo di quello che non sapeva”.
E’, cioè, l’Uccello che attraversò l’Universo ancora immerso nella “Notte Primordiale” e giunse ad Eliopoli, la prima terra emersa, per annunciare l’Avvento della Vita e del Tempo, con tutti i suoi cicli ricorrenti: il giorno, la decade, il mese, l’anno e il tempo infinito.

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IL NUN – Caos o Acque Primordiali

I “Testi delle Piramidi”, una sorta di raccolta di scritti di carattere religioso, così riportano:
“Salute a Te, Atum, Salute a te.
Salute a Te, il Divenente, che avesti origine da te stesso…”

Atum vive nel NUN, Acque Primordiali e Abisso sconfinato che si stende all’infinito e in ogni direzione. Tutto è Tenebra informe, senza aria né luce.
Il NUN, però, non è il Nulla, poiché esiste ed è la materia che successivamente darà la vita al Cosmo o Universo: è la bolla creata da Atum in mezzo al NUN.

Atum vive in completa inerzia in mezzo a tanto tenebrore e si sa che ozio e solitudine, prima o poi, finiscono per fiaccare lo spirito… anche quello di un Padre Eterno.
Così, un bel giorno, Atum decide di porre fine alla propria solitudine
e procurarsi compagnia. Lo fa autoprocreando, poiché Egli è il “Grande Lui-Lei, un Essere bisessuale: un maschio ed una femmina.

Ma come andò la cosa?
Ci sono due versioni del fatto: lo fece attraverso la masturbazione o il Verbo, la Parola-Divina.
La prima è una visione primitiva e fisica della Creazione e la seconda, invece, è una concezione più intellettuale o spirituale.
In realtà, i due aspetti sano complementari, poiché la masturbazione spiega l’aspetto riproduttivo della Vita mentre il Verbo, ossia il “Soffio Divino” alitato attraverso le narici, ne spiega l’aspetto spirituale .
La prima si trova alla base della Dottrina Eliopolitana e la seconda, invece, della Teologia Memfitica.

Ed eccoci giunti al mito della “Creazione della Luce e della Prima Alba”.
Shu e Tefnut, sono i Figli Divini così concepiti.
Shu è lo “Spazio” in mezzo alla “Tenebra Primordiale”, è Luce e Aria.
Tefnut è Umidità e Vapore. Insieme i due costituiscono la “Prima Coppia” in grado di procreare sessualmente.
ATUM è stanco della propria inerzia; vuole mettervi fine. Allora chiede al NUN come procurarsi un luogo su cui posare e l’ABISSO gli dice di baciare sua figlia Tefnut : la collocazione dell’Universo o Mondo-Creato all’interno del Nun è, dunque, un atto d’amore di ATUM, Il Supremo.

Creato l’Universo non resta che creare l’Ank, la VITA.
SHU e TEFNUT accontentano subito ATUM e procreano due figli: NUT e SHU, i quali costituiscono la Prima Coppia creata sessualmente.
I due all’origine sono una sola cosa: due divine entità sessualmente entità avvinte.
Ma SHU è geloso di NUT e la separa con forza dallo Sposo, sollevandola in alto e sorreggendola con le braccia: i Pilastri che sorreggono il Cielo.
Quell’atto del dramma della Creazione Cosmica, però, sarà anche causa e origine della Creazione della Vita: GEB e NUT potranno generare i loro quattro figli.
I loro nomi sono: Iside, Osiride, Seth e Nefty..
Dove andranno a vivere?

Ecco come è descritta nei “Testi di Shu” la comparsa della Luce e della Vita fuori del CAOS:

“quel soffio di vita che sgorgò dalla gola dell’uccello BENU,
in cui ATUM apparve nel Nulla: l’Infinito e la Tenebra
e il Mistero Premevo…”

Possiamo, dunque, immaginare una Terra emersa dall’Abisso (fu un monte a forma di piramide ad ON, nome egizio di Eliopoli), su cui andò a posarsi la Fenice, l’Uccello-BENU, Araldo della Vita.
Possiamo immaginarlo nell’atto di aprire il becco e rompere il “Silenzio” per annunciare la Vita.
Il BENU, La Fenice, dall’aspetto di un grande airone grigio, è la incarnazione del LOGOS, ossia il Verbo, che annuncia la Vita.
Il BENU, la Fenice, è Simbolo e Principio della Vita: è l’Angelo dell’Annunciazione.
(continua)