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Agar e Ismaele nel deserto

Figura biblica femminile fra le più controverse. Forse la più controversa. Perfino nel significato del nome: amarezza, straniera, fuggitiva, nell’intrepazione egizia, ebraica o araba.
Sempre tracciata da mano maschile, mai femminile.
Eppure oggi questa figura, come disse in un’intervista la scrittrice pakistana Thamina Durrani (autrice del libro Schiava di mio marito), è stata scelta come simbolo islamico per rappresentare l’impegno delle donne musulmane di uscire da una condizione di dipendenza ed immobilismo .
Ma non solamente delle donne musulmane.
Agar è una donna che, rispetto ai costumi del tempo, si pone in una posizione critica mettendo in discussione privilegi (maschili e femminili) ed offrendo spunto per riflettere sulla condizione femminile.
Ma chi é il personaggio Agar?
La tradizione ce la consegna quale schiava di Sarai, Sposa Primaria di Abramo, capo del popolo degli Ibrihim (figli di Abramo) rifugiati in Egitto durante una carestia.
Secondo il racconto biblico durante la sua permanenza in Egitto Abramo acquistò servi serve e qualcuno ipotizza che Agar fosse tra queste.
La prima domanda che viene spontanea é: poteva una persona appartenente al popolo dominante essere schiava di una persona appartenente al popolo ospite e dominato?
Fra le tante leggende sorte intorno a questa figura (di cui non esistono tracce né prima né dopo questi fatti) una la vuole figlia del Faraone che si era invaghito di Sarai. La ragazza si sarebbe talmente affezionata a quella donna dai gusti raffinati (Sarai era di origine mitanne: una babilonese) assai diversa dalle donne egiziane, da averla voluto seguire quando Abramo lasciò l’Egitto… come andò a finire lo vedremo presto!

Agar: schiava o sposa?
Sposa, sorella, serva… (solo madre, con ben altra funzione) erano termini che si attribuivano indipendentemente alla donna.
Nella cultura ebraica Agar é soltanto la schiava di Sarai, per quella islamica, invece, é la Sposa Secondaria del Patriarca.
Nella Genesi Sarai dice al marito – verso 16:2
“Ecco, il Signore mi ha fatta sterile, ti prego vai dalla mia serva: forse avrò un figlio da lei.”
La consuetudine glielo consentiva: in caso di sterilità il figlio nato dalla schiava, partorito sulle sue ginocchia come dal proprio grembo, le apparteneva. Era suo figlio!
Oggi un simile costume è considerato una violenza inaccettabile. Per entrambe le donne: per il dolore e la mortificazione di Sara e per l’oltraggio su Agar.
La donna sterile all’epoca era considerata una sciagura per la famiglia e Sarai era sterile.

Sarai non può adempiere alla promessa di Dio di fare di Abramo “Il Padre di una grande Nazione”: la sua sterilità compromette il Disegno Divino, che è il tema dominante di tutto il racconto. Ed é proprio Sarai ad intervenire.
Abramo resta nell’ombra. Egli “ascolta la voce di Sarai” quasi fosse un personaggio secondario del dramma.
Ma le due donne non sono alleate e quell’atto genera conflitti e rivalità. Ogni diritto viene calpestato: Agar diventa un oggetto, uno strumento da usare.
Anche i termini “prendere” “dare” … utilizzati quando si parla di lei, sarebbero per una donna dei giorni nostri, oltremodo offensivi.

Agar, riporta la tradizione biblica, si insuperbisce e si carica di arroganza quando resta incinta e Sarai si lagna con Abramo il quale, ancora una volta:
“E’ la tua schiava ed é in tuo potere, fanne che cosa vuoi.” dice, rientrando nuovamente fra le quinte e lasciando la scena del dramma alle due donne.
“Sarai la maltrattò tanto che quella se ne andò.” riporta testualmente la scrittura.
Sara é forte, ma Agar é ribelle. Scappa, ma poi ritorna; si umilia e restituisce il prestigio all’altra.

“Quanta sofferenza, quanta angoscia e desolazione ha causato Agar con la sua complicità nell’intento di dare un erede ad Abramo” – Genesi 15 -4:5.
Quasi una aticipazione alla tribolazione che verrà: quella rivalità di Popoli che ha attraversato i secoli ed ha raggiunto i nostri giorni. Rivalità di Popoli che ha avuto origine proprio dalla rivalità di quelle due donne: Sarai, gelosa e prepotente e Agar, intollerante e ribelle.
La rottura finale giunge, però, con la rivalità dei figli: Ismaele, il figlio di Agar e Isacco, il figlio di Sarai e ancora una volta Abramo ascolta Sarai, che adesso é diventata Sara, cioé Signora-Regina:
“Scaccia quella schiava e suo figlio perché il figlio di quella schiava non sia erede con mio figlio.”
Abramo scaccia Agar e Ismaele.

L’analisi finale del racconto può sembrare addirittura un gesto spietato e immorale: scacciare un figlio e votarlo a morte quasi sicura.
“Abramo le dà del pane e un otre d’acqua.” – Genesi 21 8:4
Ai nostri poveri occhi ciechi non pare vi sia della morale in questo gesto: un otre e del pane per affrontare da soli il deserto?
In realtà, per il credente, il disegno divino non si conclude con la cacciata di Agar. Agar e Ismaele non periranno nel deserto: in loro soccorso arriverà l’Angelo il cui intervento condurrà all’adempimento delle Promesse Divine:
“Io farò diventare una grande nazione anche il figlio della tua schiava che é tua prole”
la stessa Promessa fatta per Isacco:
“Farò di lui il Padre di una grande nazione.”

Ma qui un’altra domanda é d’obbligo: Chi… o Cosa é l’Angelo?
Chi ha soccorso veramente Agar e Ismaele? La Provvidenza Divina… Certo!
Lo dice la tradizione biblica, lo conferma quella islamica attraverso alcuni riti del pellegrinaggio alla Mecca, la corsa attraverso le collinette di Safa e Marwa, che rievocano l’affannosa corsa di Agar alla ricerca di acqua per dissetare il figlio: Agar é forte. Agar é coraggiosa. Agar non si arrende. Agar ha sempre dovuto conquistarsi ogni cosa.
Agar e Ismaele non sono più tornati alle querce di Mambre, ma sono rimasti nel deserto del Paron. Nessuna notizia, nessun cenno su quel ritorno, solo che “sua madre gli (a Ismaele) prese una moglie del paese d’Egitto.”
Questo potrebbe far supporre che siano tornati in Egitto o rimasti in terra di Sinai, il cui territorio di frontiera era disseminato di avamposti militari egiziani… questo, però, conduce inevitabilmente ad altre supposizioni.

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