Category: STORIA, MITI E LEGGENDE


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Alcmeone era un giovane guerriero perseguitato dalle Furie per essersi macchiato di matricidio.
Non che Erifile, così si chiamava la madre, fosse uno stinco di santo. Al contrario. Per entrare in possesso di una Collana e di un Velo appartenuti a Venere, la donna aveva causato la morte del marito, Anfiorao e per poco anche quella dello stesso Alcmeone.
Il giovane andò peregrinando per il mondo scacciato da tutti fino a quando non giunse in Arcadia dove Tegeo, il Re, non lo purificò della colpa. Non solo: gli dette anche sua figlia Arsinoe in moglie.
A lei, Alcmeone fece dono della Collana e del Manto di Venere che aveva portato con sé.
Nonostante la purificazione, però, le Furie continuarono a perseguitarlo e il giovane dovette ripartire.
Raggiunse un’isola alla foce del fiume Archeolao e qui formò una nuova famiglia con la bellissima e vanitosissima Calliroe, di cui si’innamorò così profondamente da dimenticare Arsinoe.
Quando Calliroe gli chiese di riprendere Collana e Manto di Venere donati all’altra moglie, Alcmeone non ebbe esitazione. Tornò in Arcadia e raccontando un sacco di frottole alla ingenua Arsinoe ed a suo padre, si fece restituire i gioielli.
Ripartì subito, assicurando la donna che sarebbe ritornato appena deposti i gioielli sull’altare di Apollo.
Ma un servo svelò l’inganno e i fratelli di Arsinoe inseguirono il fedifrago e lo uccisero, poi tornarono dalla sorella e poiché questa si arrabbi e non voleva sentir ragione, pensarono bene di metterla a tacere per sempre.
Ma non finisce qui…
Calliroe, venuta a conoscenza della morte del marito, incarica i due figlioletti (cresciuti nel giro di una notte per intercessione di Giove) di vendicare il padre e portarle i gioielli maledetti.
I due pargoli partirono subito, raggiunsero l’Arcadia ed uccisero il padre e i fratelli di Arsinoe.
A questo punto, però, la maledizione e la persecuzione delle Furie si spostò su di loro e cessò soltanto quando i gioielli maledetti furono depositati sull’altare del Tempio di Apollo.

Edificante!

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Come sempre i miti hanno più di una versione e questo non sfugge alla regola. Qui è stata scelta quella più romantica, benché triste e amara.

Acamante, uno dei guerrieri Achei di ritorno da Troia, durante il viaggio si ferma in Tracia.
Qui conosce la bellissima Fillide, figlia del Re e se ne innamora, ricambiato appassionatamente.
I due si sposano, ma la nostalgia della terra lontana afferra ben presto il guerriero che fa un patto con la sposa: si recherà ad Atene, ma sarà di ritorno un anno dopo.
Prima della partenza, Fillide gli consegna un misterioso scrigno raccomandandogli di aprirlo solo nell’impossibilità di tornare da lei.
Acamante parte, ma, spinto da spirito di avventura, si ferma a Cipro, dove finisce per restare… forse al fianco di un’altra principessa.
Fillide si reca ogni giorno sulla spiaggia a guardare il mare, nella speranza di vedere una vela spuntare all’orizzonte, infine, trascorso il tempo stabilito e non vedendo tornare l’amato, decide di porre fine alla sua vita.
Impietosita, la dea Atena trasforma il suo corpo in un mandorlo.
Acamante arriva il giorno dopo e non può fare altro che abbracciare il tronco nudo dell’albero.
Ecco, però, che sotto le sue carezze, il mandorlo si copre di fiori e non di foglie… come accade ancora oggi!
A questo punto, Acamante decide di aprire lo scrigno, ma resta sconvolto da quello che è custodito al suo interno: i segreti della Madre-Terra.
Atterrito da quella visione, il giovane fugge, ma inciampa nella propria spada e si trafigge a morte.

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Una gran brutta fine per una donna così bella!
Nel mondo antico Elena raffigurava il mito dell’incarnazione della bellezza a cui tutto era dovuto
ad a cui era giusto sacrificare tutto.
Sappiamo che era moglie di Menelao, Re di Sparta e che fu rapita da Paride, principe troiano. Sappiamo che per questo ne derivò una guerra sanguinosa che si trascinò per dieci anni e finì con l’inganno del cavallo di legno e sappiamo che molto fu perdonato a questa donna, in nome della sua impareggiabile bellezza.
Non tutti, però, perdonarono le sue colpe.
Polyxo, moglie di Tiepolemo, Re di Rodi, morto a Troia, non lo fece.
Alla morte di Menalo, Elena si trasferì proprio a Rodi, ma, appena messo piede sull’isola, Polyxo la catturò e la fece impiccare.

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Recita una delle più belle canzoni napoletane:
“… sò doce o sò amare…
sò semp parole d’ammor…”

Amore e Morte è il tema di questo piccolo corollario di Storie e Leggende.

La Leggenda di MERLA e TIBALDO

Da sempre chiamiamo “Giorni della merla” gli ultimi, rigidissi tre giorni del mese di gennaio.
Molte leggende sono sorte intorno a questo fenomeno atmosferico e in questa sede ne presento una: forse, la più romantica e triste insieme.
Viveva, nel ‘500, nella Rocca di Stradella, in provincia di Pavia, una nobile famiglia di gastaldi di nome Merli.
Tibaldo, un giovane della famiglia, fu inviato a Pavia a studiare. Terminati gli studi, il giovane ritornò nel contado.
Qui incontrò una giovanissima ragazza di nome Merla e se ne innamorò; Merla era talmente bella, che in tutto il contado si diceva: “Bella come la Merla”.
La ragazza ricambiò immediatamente il sentimento di Tibaldo, ma un grosso ostacolo separava i due innamorati: il grado di parentela.
Merla e Tibaldo, infatti, erano cugini stretti.
Per un po’ i due innamorati riuscirono a tenere segreta la loro relazione, infine, dovettero rendere pubblico quel loro amore senza speranza.
Sembrava, ai due giovani innamorati, che non ci fosse per loro altra soluzione che un romantico suicidio.
Quel sentimento, però, così forte, profondo e sincero, finì per attirare su di loro simpatia, benevolenza e comprensione.
Lo stesso vescovo di Pavia, parente dei due giovani, si mosse a commozione e riuscì ad ottenere una dispensa papale che consentisse loro di sposarsi.
Le nozze furono celebrate in pompa magna e i festeggiamenti si protrassero per tre giorni: gli ultimi, tre gelidi giorni del mese di gennaio e tutto il paese vi partecipò.
Il festoso evento, però, finì in tragedia.
Per raggiungere Pavia, i due sposi attraversarono il Po gelato a bordo della loro carrozza.
Durante il viaggio, la superficie gelata del fiume si ruppe e i due giovani sposi finirono tragicamente annegati.

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Siamo in Egitto, Antico Regno – IV Dinastia.
Djoser, un ragazzo di sedici anni, allievo del Tempio di Ptha, lavora al cantiere della Piramide del faraone Khafra.
Abbandonato ancora bambino sulle rive del Nilo, Anubi, la più inquietante delle Divinità egizie, lo pone sotto la sua protezione facendo di lui una “creatura” diversa dagli altri mortali: gli permette perfino un viaggio attraverso la Duat, l’Oltretomba egizia, durante un percorso iniziatico.
La storia del ragazzo si intreccia con le vicende di un popolo unico e straordinario: scene di vita quotidiana, tecniche di costruzione di enormi strutture architettoniche, rivalità tra caste sacerdotali, intrighi di corte…
Si affacciano su questi scenari, lungo le rive di un fiume brulicante di vita, personaggi come Mosè il Ratto, piccola e simpatica canaglia, Osorkon di Tanis, ufficiale di Sua Maestà, arrivato dal Delta con l’inseparabile falco, il principe Thaose, nipote anticonformista del Faraone, e non mancano personaggi come Hetpher. Djeda o Kabaef, “grandi di magia”… Tutti loro condurranno il lettore attraverso un percorso di magico splendore e misteriosi rituali, ma sempre segnato da rigorosa ricostruzione storico.

Questo libro, l’ultimo di Maria Pace, edito da Società Editrice MONTECOVELLO, costa meno di una scatola di cioccolatini o di sigarette, ma gratifica lo spirito e fa sentire più buoni perché sostiene il progetto ONLUS “Save the children”.
A richiesta nelle migliori librerie, ma anche presso la Casa Editrice oppure on line.

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Inno ad ATON

Compari pieno di bellezza nell’orizzonte del cielo
Disco vivo che hai dato inizio alla vita
Non appena ti sei innalzato nell’Orizzonte Orientale,
hai riempito ogni Paese della tua perfezione.
Sei bello, brillante, alto nel tuo universo
I tuoi raggi abbracciano i Paesi fini alla fine di tutto quello che hai creato.
Li hai conquistati fino ai loro limiti e li tieni legati per il tuo amato figlio.
Anche se sei lontano, i tuoi raggi toccano la Terra.
Stai davanti ai nostri occhi, ma il tuo cammino continua ad essere per noi sconosciuto.
All’alba ti innalzi all’Orizzonte, mandi via le tenebre e brilli su ogni cosa
L’Universo esiste grazie alle tue mani con cui lo hai creato: se Tu sorgi, vive e se tramonti, muore.
Tu sei la durata della vita stessa. Si vive grazie a te….

composto da Amenopeth IV – conosciuto anche come Akhenaton o Faraone-Eretico
XVIII Dinastia dei Faraoni

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Siano in Egitto, Antico Regno – IV Dinastia.
Djoser, un ragazzo di sedici anni, allievo del Tempio di Ptha, Patrono delle Arti e degli Architetti, lavora al cantiere della Piramide del faraone Khafra (meglio conosciuto con il nome Kefren).
Abbandonato ancora bambino sulle rive del Nilo, viene accolto ed allevato da Pthahotep, architetto di Ptha, e da sua moglie Nsitaten.

Anubi, la più inquietante delle Divinità egizie, lo pone sotto la sua protezione, facendo di lui una “creatura” diversa dagli altri mortali: gli permette perfino un viaggio attraverso le insidiose vie della Duat, l’Oltretomba egizia, lungo Labirinti, Foreste del Tempo, Pehu e Kherty (Paludi e Caverne), frequentati da Demoni, Spiriti malvagi, Geni Protettori ed Anime defunte.
La storia del ragazzo si intreccia con le vicende di un popolo unico e straordinario: scene di vita quotidiana, tecniche di costruzione di enormi strutture architettoniche, rivalità tra caste sacerdotali, intrighi di corte…

Si affacciano su questi scenari, lungo le rive di un fiume brulicante di vita, personaggi come Mosè il Ratto, piccola e simpatica canaglia, cresciuto per strada grande e con un passato pieno di misteri; Osorkon di Tanis, ufficiale di Sua Maestà, arrivato dal Delta con l’inseparabile falco e grande amico di Djoser; il principe Thaose, nipote idealista ed anticonformista del Faraone, sacerdote di Ptha, perseguitato dai preti di Ra e trascinato in una (la prima, nella Storia) guerra religiosa. C’è anche la dolce e bella principessa Nefer, ultimogenita del Faraone, verso cui il ragazzo è irresistibilmente attratto… ricambiato.
Non mancano personaggi come Hetpher, Djeda o Kabaef, “grandi di magia” che, con geloso accanimento, detengono il potere del “Sapere e della Conoscenza” e non sono per nulla disposti a dividerlo con altri.

Tutti loro condurranno il lettore attraverso un percorso di magico splendore e misteriosi rituali: lo presenteranno alla corte del Faraone, lo trascineranno lungo i sotterranei di Templi, Sfingi e Piramidi per mostrare loro i segreti nascosti, lo inviteranno a salire sulla Barca Reale del Faraone in corteo sul Nilo, ma anche sulla Barca Solare di Ra in transito nel cielo notturno. Prenderanno per mano il lettore e lo spingeranno nel caos di un mercato faraonico e poi lo faranno sedere a riposare, alle fiamme di un bivacco… il tutto, però, attraverso una rigorosa ricostruzione storica.

chi volesse conoscere le vicende di Djoser e dei suoi amici, può leggere:
“DJOSER e lo Scettro di Anubi” di Maria Pace
edito da SOCIETA’ EDITRICE MONTECOVELLO
nelle migliori librerie

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Ancora più mostruosa era quest’altra creatura mitologica, essa pure figlia di Echidna: testa di leone, corpo di capra e coda di serpente… e poiché il gusto per l’orrore era spiccato già a quei tempi, il mito la dotò anche di alito infuocato e pestilenziale.

Il mostro seminava il terrore in territorio di Licia e il Re di quelle contrade, si vide costretto a chiedere aiuto ad un suo ospite: un certo Bellerofonte.
“Il Re di Carnia, mio nemico, – gli disse – tiene in casa quel mostro come se si trattasse di un animale domestico.”
L’eroe non si fece ripetere l’invito e partì subito per l’impresa. Per prima cosa domò Pegaso, il cavallo alato, nato dal sangue della Medusa, una delle Gorgoni e la sola delle tre sorelle ad essere mortale.
Domare Pegaso, però, non fu impresa facile. Bellerofonte lo trovò che stava abbeverandosi ad una delle fonti che lo stesso Pegaso faceva sgorgare battendo il suolo col uno degli zoccoli. Riuscì a catturarlo con una briglia d’oro, dono della dea Atena e, naturalmente, con l’aiuto della Dea stessa.

Riuscire ad uccidere la Chimera, però, era tutt’altra impresa; Bellerofonte le piombò addosso in groppa a Pegaso e la colpì con la lancia dalla punta di piombo che le conficcò in bocca. L’alito di fuoco della mostruosa creatura fece sciogliere il piombo, che scivolò giù, attraverso la gola, sciogliendo tutti gli organi vitali e causandole la morte.

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Pegaso, il cavallo alato, inevitabilmente richiama un altro nome, quello della madre: Medusa, l’orrendo mostro.
Medusa, in realtà, era una fanciulla bellissima, la più bella delle sorelle Gorgoni:
- Steno, la Forte
- Curiale, la Spaziosa
- Medusa, la Dominatrice.
Delle tre sorelle, Medusa era la sola a non essere mortale, ma commise l’errore di accoppiarsi con Immortale, nientemeno che con Poseidone e lo fece in un Tempio dedicato ad Atena.
Atena si risentì tanto a causa di quell’oltraggio, che per punirla la tramutò in un essere mostruoso: occhi di brace, enormi zanne al posto dei denti, in testa una selva di serpenti al posto dei capelli, gambe e braccia artigliate. Il suo aspetto era così orribile che, a guardarla negli occhi, si restava pietrificati dal terrore.

Polidette, re del Seride, nell’Egeo, affidò a Perseo, figlio di Danae e di Zeus, la rischiosa e quasi impossibile impresa di uccidere la mostruosa creatura.
Ad aiutare l’eroe, però, provvide la stessa dea Atena, con l’apporto di suo fratello, il dio Mercurio.
Le due Divinità fornirono l’eroe di tutto quanto potesse aiutarlo nella disperata impresa.
Per affrontare Medusa senza restare pietrificato dal suo sguardo, Atena gli consegnò il suo scudo da usare come specchio attraverso cui guardarla, evitando il contatto diretto con il suo sguardo
La Dea gli fece dono anche di una sacca magica in cui riporre la testa del mostro, i cui poteri continuavano a sussistere anche dopo la morte.
Anche Mercurio fu generoso nei suoi doni: gli consegnò un ricurvo pugnale dalla magica proprietà di penetrare qualunque materiale. Gli mise ai piedi i suoi calzari per renderlo velocissimo negli spostamenti ed in testa un casco che rendeva invisibili chi lo indossava.

L’eroe si recò nella terra degli Iperborei, dove vivevano le GORGONI.
Le trovò che stavano dormendo e sorprese Medusa nel sonno, tagliandole di netto la testa con il magico pugnale.
Dal corpo della Medusa balzarono fuori i figli concepiti a Poseidone: Pegaso, il cavallo alato e il guerriero Crisaore.
Prima di darsi alla fuga con la sacca contenente la tesa del mostro, Perseo si fermò a raccoglierne il sangue dalle magiche proprietà. Quello sgorgato dalla vena destra resuscitava i morti mentre quello della vena sinistra procurava la morte.
Il primo fu donato, fra gli altri, ad Esculapio, dio della Medicina; del secondo, invece, assai velenoso, Perseo ne fece dono ad Atena. La Dea tenne per sé anche la testa della mostruosa creatura che posa sopra il suo scudo per terrorizzare i nemici.

Mettersi in salvo, appena ucciso la Medusa, però, non fu facile per Perseo, inseguito da Pegaso, Crisaore e dalle altre due Gorgoni. L’elmo e i calzari di Mercurio, però, gli favorirono la fuga.

I miti greci erano sempre simbolici… Quale significato nascondeva questo mito?
La Medusa, con il suo sguardo pietrificatore, rappresentava l’ammonimento all’uomo che voleva avvicinarsi troppo al Mistero Divino per volerlo scrutare o, addirittura, servirsene.
In tutte le Antiche Religioni, a volersi avvicinare troppo alle “Questioni Divine”, c’era il rischio di restarne sopraffatti. Sempre nelle antiche credenze delle varie Religioni, eroi come Gilghemesh, Adamo e altri, furono puniti per essersi avvicinati troppo ai Misteri-divini.

Nell’antichità, i fornai greci usavano dipingere una testa di Medusa sui loro forni per impedire che qualcuno aprisse lo sportello e danneggiasse la cottura del pane.
Ancora nell’Antichità, durante i riti pagani in onore della dea Luna, le sue sacerdotesse si coprivano il volto con orrende maschere allo scopo di tenere lontano i curiosi.

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La vera storia del MINOTAURO

Conosciamo tutti la leggenda del Minotauro di Creta, ma, per chi l’avesse scordata, eccola, così come ci è stata tramandata dalla mitologia tradizionale.
Minosse, figlio di Giove, per legittimare il suo diritto di successione al trono di Creta, chiese a Poseidone, Dio del Mare, una degna vittima da sacrificare durante la Cerimonia.
Dalle onde del mare, Poseidone fece emergere uno splendido toro bianco, così bello che Minosse volle tenerlo per sé e offrire in sacrificio, al suo posto, un toro comune.
Brutto affare, offendere la suscettibilità di una Divinità: Poseidone, infatti, se la prese così tanto, che per vendicarsi dell’affronto, ne escogitò una davvero bella: scatenò in Pasifae, sposa di Minosse, (donna non propriamente fedele, come anche il marito, d’altronde), una passione contro natura per lo splendido animale.
Ah… questi popoli antichi!
Come fare per soddisfare l’insano desiderio?
Semplice! Ci pensò quel geniale di un architetto, ospite del Re, che allietava la corte con i suoi giocattoli meccanici.
Parlo del famoso Dedalo, noto a tutti.
L’ingegnoso artista trovò subito il sistema: costruì la sagoma di una mucca in cui fece sistemare quella pazza della Regina; la rivestì di pelle bovina e la fece porre in bella vista sul prato dove pascolava il bel Tauros. (questo il nome imposto allo splendido toro).
Quel che accadde, lo lasciamo all’immaginazione. Quello che accadde invece alla Regina dopo nove mesi, fu di mettere al mondo un bel bimbo con la testa di toro: il Minotauro, per l’appunto, a cui fu imposto il nome di Asterione.
L’increscioso fatto dispiacque così tanto a Minosse (cornificato già troppo spesso dalla moglie, ma mai prima con un toro) che impose a Dedalo di costruire un Labirinto in cui fece rinchiudere il Minotauro, la regina Pasifae e lo stesso Dedalo, che in seguito riuscì a fuggire, ma… quella è un’altra storia.
Il Minotauro era nutrito con carne umana, procurata dagli Ateniesi fino all’arrivo di un eroe di nome Teseo… ma anche questa è un’altra storia.
Interessante, invece, è sapere chi era davvero il Minotauro, tenendo presente che sul bacino Mediterraneo si affacciavano Popoli nella cui cultura era sempre presente il “culto del toro”: ricordiamo l’orientale Mitra, l’egiziano Hapy, ecc…
Già ai tempi di Plutarco, quella figura da “Sodomia”, era stata riscattata.
Il Minotauro, ossia Asterione, in realtà, era nato da una relazione tra la regina Pasifae e il bel Tauros, generale di re Minosse e atleta di tauromachia. (spettacolo con i tori)
Sempre di corna si trattava, ma non di corna animali!
Secondo questa più accettabile versione dei fatti, poco conosciuta perché non piccante come la prima e per questo meno capace di catturare quel “lato oscuro” che è sempre stato in ogni essere umano, Teseo combattè non con il mostruoso Minotauro, ma con suo padre Tauros e lo vinse in un regolare incontro.
Le leggende, soprattutto quelle nere e scabrose, sono lunghe a morire. Ecco perché oggi tutti conoscono il Minotauro, figlio di un toro, e ignorano Asterione, figlio di un atleta.